martedì 22 aprile 2008

IL VOLTO DELL'AMORE


di S.Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 7,10 Dio è amore (1Gv 4,9).

Che volto ha l`amore? Che forma ha? Che statura ha? Che piedi ha? Che mani ha? Nessuno lo può dire. Ha tuttavia piedi: conducono alla Chiesa; ha mani: si stendono pietose verso il povero; ha occhi: per essi infatti si può comprendere chi è bisognoso: Beato chi comprende il bisognoso e il povero (Sal 40,2). Ha orecchie, di cui dice il Signore: Chi ha orecchie per udire, ascolti (Lc 8,8). Non si tratta di membra separate in luoghi diversi, ma chi ha la carità vede con la mente il tutto e allo stesso tempo. Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te; resta in essa ed essa resterà in te. Che, fratelli miei: che uno ama ciò che non vede? Ma perché quando si intessono le lodi dell`amore vi sollevate, applaudite, lodate? Cosa vi ho mostrato? Qualche bel colore? Vi ho posto avanti oro o argento? Ho tolto gemme da un forziere? Ho mostrato qualcosa di simile ai vostri occhi? O forse il mio volto si è mutato parlandovi? Porto la mia carne: sono nello stesso stato in cui sono venuto: siete nello stesso stato in cui siete venuti. Si loda la carità, e gridate. Certo non vedete nulla. Come vi piace ciò che lodate, vi piaccia conservarlo nel cuore.
Comprendete ciò che dico fratelli: vi esorto, quanto mi dà il Signore, d`impossessarvi d`un grande tesoro. Se vi mostrassi un vaso cesellato, dorato, lavorato artisticamente, attirerebbe i vostri occhi, adescherebbe la brama del vostro cuore: vi piacerebbe il lavoro artistico, il peso dell`argento, lo splendore del metallo. Ciascuno di voi non direbbe: Potessi possedere questo vaso? E lo direste senza giovamento, perché non è vostro. Può darsi che qualcuno, desiderandolo, pensasse di rubarlo in casa altrui. Vi si intessono le lodi della carità: se vi piace, l`avete, la possedete: non c`è bisogno che commettiate furto, non c`è bisogno che pensiate di comprarla: è gratuita. Tenetela salda, abbracciatela: nulla è più dolce! Se quando ne parliamo è tanto bella, come sarà quando l`avremo?

LA STANZA DELLA PREGHIERA


Tu invece, quando preghi,
entra nella tua camera e,
chiusa la porta,
prega il Padre tuo nel segreto;
e il Padre tuo, che vede nel segreto,
ti ricompenserà.
Pregando poi,
non sprecate parole come i pagani,
i quali credono di venire ascoltati
a forza di parole.
Non siate dunque come loro,
perché il Padre vostro
sa di quali cose avete bisogno
ancor prima che gliele chiediate.
Mt 6,5-8


Siccome la preghiera è un incontro di persone che si amano, Gesù ci avverte circa l'importanza dell'interiorità. Dio, è il primo protagonista della preghiera. E' Lui che mi ama; perciò desidera e chiama all'incontro d'amore la mia persona. Un incontro personale, intimo, di amicizia sponsale non si realizza in piazza o al mercato. Un incontro tra Dio, la fonte della mia vita e me che mi so scaturito/a da Lui, avviene dentro, al centro di me, non fuori. E' importantissimo capirlo bene!
Siamo nel bel mezzo del discorso della montagna, dove Gesù fa del suo messaggio una fiaccola luminosissima che rivoluziona tanti criteri e modi di essere mondani. Ha gettato luce sulle negatività del voler apparire giusti per essere ammirati dagli uomini. Ha sferzato con forte humour quelli che donano roba e denaro, ma "suonando la tromba davanti a sé" per essere applauditi. Nell'intento dunque di guidarci sulle strade della verità e dell'autenticità, Gesù prepara ora il terreno all'insegnamento principe: quello della preghiera. E il suo mettere qui a fuoco l'imprescindibile importanza dell'interiorità - badiamo bene! - è la premessa a quel suo comunicarci poi, subito dopo, la preghiera per eccellenza: quella del Padre nostro.
v. 5 "E quando pregate non siate come gli ipocriti che amano pregare (…) per apparire davanti agli uomini". Chi è l'ipocrita? Sostanzialmente è una maschera di se stesso, l'opposto dell'autenticità, della verità di sé. L'ipocrita è l'uomo egocentrato: cerca la bella figura, il plauso della gente, una bella immagine di se stesso perfino nel proprio rapporto con Dio. Ma attenzione! In verità non mi riesce proprio di rapportarmi a Lui che nella verità del mettermi all'ultimo posto (Cf Lc 14,2-7), del conoscermi e accettarmi umilmente per quello che sono: uno che non sa amare, che spesso pecca, che non è degno degl'infiniti doni di Dio. Senza umiltà c'è ipocrisia e non preghiera. "Per pregare, dice S. Teresa d'Avila, maestra d'orazione, si richiede umiltà e ancora umiltà" (Mansioni, 10). Non bisogna però mai equivocare: umiltà non è avvilimento, disistima del proprio sé profondo.
v. 6 "Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera". Veramente il testo originale dice: entra nella tua dispensa: una stanza interna alla casa, senza finestre, dove si tenevano i viveri. Ed è molto significativo! In questa dispensa o cantina, o "cella vinaria" (per citare il Cantico dei Cantici) io attingo infatti vita. E' in realtà la parte più interna di me, è il mio cuore profondo. Si tratta di quel luogo "segreto" dove il mio "sé" è l'eco (o l'immagine) continuamente nutrita dal grande "IO SONO" che è Dio, il suo mistero sponsale che m'inabita, segreta sorgiva del mio "esserci" per sempre. Questa stanza o cantina è dunque il luogo segreto della preghiera più personale e profonda. E' il "fondo dell'anima" o "l'apice", la "punta dello spirito" - per dirla coi mistici - . Proprio in questo fondo segreto io sono veramente me stesso, immagine di Dio, capace di recuperarne la somiglianza, sono "l'uomo nascosto nel cuore", "figlio nel Figlio" (Cf 1Pt 3,4a). E' a queste profondità che lo Spirito Santo, con inenarrabile gemito, suscita anche in me quello che pregava Gesù: "Abbà, Padre" (Rm 8,15; Gal 4,6).
v. 6bis "Chiusa a chiave la porta…" Si tratta di chiudere decisamente la porta del cuore alle mille distrazioni, a tante "voglie" e bisogni spesso indotti artificialmente dal grande ipermercato della nostra società. Il raccoglimento non s'improvvisa. Se mente e cuore sono tutto il giorno allo sbaraglio, non posso pretendere di essere sgombro e libero per potermi rapportare a Dio nel momento specifico della mia preghiera. "…prega il Padre tuo nel segreto e il Padre tuo che guarda nel segreto… " La preghiera spesso è comunitaria: la preghiera liturgica, il pregare insieme rivolgendosi a Dio da figli che si sentono fratelli e dunque, a ragione, si rivolgono allo stesso Padre. Ma, a monte della stessa preghiera comunitaria ci deve essere il pregare "nel segreto", cioè nell'intimità unica e irrepetibile del mio essere persona. E "credere" vuol dire essere certi che Dio, "nel segreto" di questa intimità, mi "scruta" e mi "conosce" perché mi ama e mi cerca lì, nel profondo dove Lui è il grande "IO SONO", che se mi apro appunto in preghiera, sorregge e vivifica il mio piccolo "io sono". "…ti restituirà" (testo originale). Significa che l'orante viene da Dio restituito a se stesso (il se stesso più vero e più profondo), cioè "figlio nel Figlio" Gesù, colmo della Gloria che sta nell'essere icona di Dio, perché vuoto della propria vanagloria.
v. 7a "Pregando non moltiplicate le parole come i pagani…". Gesù ci mette in guardia dal rischio di robotizzare la preghiera. I grandi maestri spirituali insegnano che la mente e il cuore devono concordare con la voce, anche quando si tratta di preghiere vocali (salmi o altro). Giova anche un pregare ripetitivo e ritmato, ma solo se si coltiva l'attenzione del cuore, restando presenti al Grande Presente nel momento del nostro pregare. I pagani invece (di tutti i tempi) non conoscono questa interiorità e vanno su percorsi di parole che pretenderebbero magiche.
v.7b "…per essere esauditi". Troppe volte la preghiera disattende le grandi vie della lode, dell'adorazione, del ringraziamento. Molti pregano solo per "gettonare" Dio in ordine a quello di cui hanno bisogno, magari anche con stolte pretese di ottenere cose stolte. Pregare invece è anzitutto stabilire un contatto, un ascolto di Colui che per primo ci ama.
v.8 "Sa infatti il Padre vostro di che cosa avete bisogno prima che voi chiediate" Dio è Dio in quanto è l'AMORE che vede sa e può tutto, dunque provvede. Io invece non so bene quello che veramente giova a me e agli altri. Tuttavia è bene per me esplicitare le mie richieste, come il bambino balbettare a sua madre quello che vuole. La mamma però gli darà ciò che è veramente bene per lui, perché non tutto quello che il bimbo chiede gli giova, anzi! Così è di Dio nei nostri confronti. Ciò che comunque conta è che la mia fede-preghiera diventi grido d'invincibile fiducia, sempre.
Viviamo un'epoca in cui per molti la preghiera si è eclissata, per altri è un balbettio ancora confuso su strade sbagliate e dentro vite sbagliate. Ma c'è, soprattutto nei giovani, un grande bisogno d'imparare a pregare. "Abbiamo molti maestri negli ambiti più svariati del vivere -disse un giovane a Padre Andrea Gasparino- dai maestri di astrofisica a quelli di inglese e di nuoto. Ci mancano però veri maestri di preghiera". Ma per imparare a pregare e a nostra volta insegnare l'a.b.c. della preghiera, bisogna fare i conti - oggi più che mai - con questo forte richiamo di Gesù all'interiorità. Bombardati come siamo da messaggi, inviti, richieste, proposte di ogni genere (su telefonino, via internet, TV, altri media e richiami del grande supermercato di questa società) abbiamo assolutamente bisogno di trovare, concretamente, spazi e tempi per entrare in noi stessi, raccoglierci, fare silenzio, ascoltare veramente la Parola in profondità. Senza questa prassi evangelica così disattesa e così urgente oggi, la preghiera non è possibile. Perché non è possibile il contatto con noi stessi e tanto meno con Dio. Bisogna prenderne atto e agire di conseguenza.
Quando mi metto a pregare, premetto sempre l'invocazione allo Spirito Santo, dopo un esercizio di rilassamento fisiopsichico di raccoglimento al centro di me, nel mio cuore profondo?
Ho una certa familiarità col silenzio? Lo amo come condizione indispensabile alla consapevolezza interiorizzata della Parola di Dio, alla sua Presenza nel mio cuore, a quel che gli sto dicendo, fosse pure il ripetere adagio, con lunghe pause, le stupende parole del Padre nostro?
Quando mi capita di essere solo/a, mi sento a disagio o imparo a gestire solitudine e silenzio leggendo pacatamente qualcosa che mi aiuti a pregare o richiamando alla mente qualche parola dei salmi che mi metta a contatto col Dio d'amore, sempre presente in noi?
Cerco, almeno una volta nella giornata, un angolo silenzioso per starmene solo/a col Signore della mia vita, per dirgli con la preghiera più semplice e intima: Credo, so con certezza di fede che Tu mi ami. Sono qui per dirti anch'io che ti amo?
Per la preghiera Cerco un angolo silenzioso, alla presenza di Gesù Sacramentato o un angoletto appartato nella natura. Mi metto alla Presenza del Signore. Rileggo la pagina del Vangelo e la traduco in preghiera, molto semplicemente. Posso dire per esempio: Signore, insegnami ad entrare nella stanza segreta del mio cuore. Insegnami a "starmene" qui con Te, a non scappare, a non "sparpagliarmi" in tante cose e preoccupazioni inutili. Insegnami a percepire che mi stai cercando, che mi stai amando perché io sia restituito al mio vero sé profondo, perché io abbia vita in te.
Cerco un angolo silenzioso, alla presenza di Gesù Sacramentato o un angoletto appartato nella natura. Mi metto alla Presenza del Signore. Rileggo la pagina del Vangelo e la traduco in preghiera, molto semplicemente. Posso dire per esempio: Signore, insegnami ad entrare nella stanza segreta del mio cuore. Insegnami a "starmene" qui con Te, a non scappare, a non "sparpagliarmi" in tante cose e preoccupazioni inutili. Insegnami a percepire che mi stai cercando, che mi stai amando perché io sia restituito al mio vero sé profondo, perché io abbia vita in te.

NATI PER ADORARE


di Ewa Princi

Proverbi 16,4
Il Signore ha fatto ogni cosa per uno scopo

Romani 11,36
Il nostro scopo è per Lui. Dio ha creato ogni cosa per uno scopo preciso.

Isaia 43,7
Che Lui ha creato per la Sua gloria, siamo stati creati per dare gloria a Dio.Vivere per la gloria di Dio sarà quello che ci darà sempre molta soddisfazione. Come possiamo vivere per la gloria di Dio. Glorificare Dio significa dargli piacere. La gloria di Dio ci porta ad adorare, dobbiamo vivere una vita di adorazione. L'adorazione non è solo preghiera, é vivere a stretto contatto con Dio. Condurre una vita che piace a Dio, questo è un tipo di adorazione. Possiamo continuamente adorare Dio durante tutta la giornata.

Marco 12,30.
Ogni volta che esprimiamo amore per Dio, lo adoriamo, e ogni cosa che facciamo per farGli piacere Gli è gradita.

1 Corinzi 10,31
E' possibile fare ogni cosa per la gloria Dio, non è solo preghiera o musica, il nostro scopo è adorare Dio. Adoriamo il Signore e Lui ci riempie.

Romani 12,1
Non è per pregare, non per ricevere, ma presentarci come sacrificio vivente. L'adorazione è un atteggiamento, uno stile di vita. Siamo stati progettati per adorare Dio, vivere una vita per piacere a Dio.

EFESINI 5,9-10
Facciamo ogni cosa che è gradita al Signore. Siamo stati creati per adorare Dio.

ESODO 20,3
Dobbiamo stare molto attenti a non dare la priorità ad altre cose, dimenticandoci di mettere Dio al primo posto.

APOCALISSE 1,8
Non è solo per quelli che adorano statue o immagini, ma per tutti quelli che mettono altre cose al posto di Dio.Come si riesce ad adorare Dio?


AVENDO UNA RELAZIONE CON LUI

GENESI 6,8
Noè piaceva a Dio, il cuore di Noè corrispondeva ai parametri di Dio, lui viveva una vita che piaceva a Dio, camminava con Dio, aveva una relazionecon Dio. Quando il nostro principale obiettivo è conoscere Dio, Lui vuole che Lo conosciamo al punto da lasciare ogni cosa per Lui.

OSEA 6,6
Più di qualsiasi altra cosa Dio desidera che noi pratichiamo la bontà e che desideriamo conoscerLo sempre di più, non i nostri sacrifici, non chissà quali sforzi per piacerGli, ma cercare il Suo volto, questo Lui chiede ad ognuno di noi.Dio vuole che abbiamo una stretta relazione con Lui, vuole essere nostro amico.

FIDANDOSI DI LUI


EBREI 11,7 -
Noè ha confidato in Dio, ha lasciato a Dio il controllo della situazione, e, ha fatto quello che Dio Gli aveva chiesto.

LUCA 7,36-50
Simone il fariseo, aveva invitato Gesù a pranzo, aveva piacere di averlo a pranzo, ma non l'ha onorato come avrebbe dovuto. Così succede a noi, a volte chiediamo a Dio di entrare, e quando Lui viene, non lo onoriamo e non Lo adoriamo come Lui vuole. Forse per orgoglio, forse perchè vogliamo controllare noi ogni cosa , a volte diamo noi gli ordini a Dio sul come comportarsi e su che cosa fare. Dio usa solo le persone che si arrendono a Lui.

UBBIDENDOGLI

GENESI 6,22
Noè è stato ubbidiente,aveva fatto tutto quello che Dio gli aveva comandato, si fidava di Lui e non aveva bisogno di conferme perchè conosceva il suo Dio. Impariamo da Noè a conoscere Dio e a ubbidire.

MATTEO 21,28-30
Due figli, entrambi avevano ricevuto l' ordine di andare a lavorare nella vigna, uno ha detto di si ma poi non è andato, l'altro non aveva voglia di andare, ma poi si pentì,cambiò idea e ci andò.

GIOVANNI 17,4
Gesù è stato ubbidiente, ha fatto quello che Dio l'aveva mandato a fare, glorificandoLo.

LODANDOLO E RINGRAZIANDOLO

GENESI 8,20
Offrì al Signore un sacrificio. L'ha lodato, l'ha ringraziato (vers. 21 e 22 ). Quando Noè ha offerto il sacrificio, ha in un certo senso intenerito il cuore di Dio. Quando lodiamo e ringraziamo Dio tocchiamo il Suo cuore, e vediamo adempiersi cose impossibili.

PORTANDO FRUTTO

GENESI 9,1
Dio ha voluto che Noè e i suoi figli portassero frutto. Il portare frutto, vedere i risultati è messo per ultimo, a volte dimentichiamo gli altri passaggi.Lodare Dio , ubbidire e per ultimo, portare frutto è per conoscere Dio, fidarsi di Lui, offrire sacrifici, poi arriverà.

ASCESA DELL'ANIMA


Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 5,41


In quei giorni avvenne che egli se ne andò al monte per pregare, e passò la notte in preghiera a Dio (Lc 6,12). Non tutti coloro che pregano salgono sulla montagna - c`è infatti una preghiera che genera il peccato - ma colui che prega bene, elevandosi dai beni terreni a quelli celesti, raggiunge il vertice degli affetti sublimi. Non sale invece la montagna chi ha cura delle ricchezze o degli onori del mondo, non raggiunge la vetta chi ha cupidigia dei beni altrui. Sale la montagna chi cerca Dio, sale la cima chi implora, per la sua ascesa, l`aiuto di Dio. Tutte le anime grandi, tutte le anime elevate raggiungono la vetta: il profeta non dice a uno qualsiasi: Sali sull`alta montagna, tu che dai la buona novella a Sion, eleva con forza la tua voce, tu che dai la buona novella a Gerusalemme (Is 40,9).
Non con i passi del tuo corpo, ma con le tue azioni elevate sali questa montagna. Segui Cristo, in modo che tu stesso possa divenire un monte.

IL VOLTO DEL PADRE (prima parte)


vi propongo questo cammino alla scoperta del volto del Padre attraverso la Sacra Scrittura di questa Suor maria Gloria Riva autrice del "Codice dell'Amore" Adoratrice perpetua del SS.mo Sacramento, suora di clausura che ha aperto le "grate" del web al cuore di molti che ardono di passione per Dio. La presenterò in più parti perchè è lunghissimo, e penso che non vada perso nulla. Vi accorgerete quanta teologia "comprensibile" e padronanza con l'Ebraico e tutto reso interessantissimo in questo cammino alla scoperta del volto del Padre!... Buona lettura a tutti!


L'ESPERIENZA DI ABRAMO
ABRAMO: AMBIENTE CULTURALE

Per comprendere quale volto Dio rivelò ad Abramo occorre delineare sia pur brevemente l'ambiente culturale in cui si svolse la vita del Patriarca.
La Scrittura ci informa che il padre di Abramo, Terach, era nato in Ur dei Caldei, una città della bassa Mesopotamia; ebbe tre figli: Abram, Nacor e Aran. Il terzogenito Aran morì prematuramente “mentre il padre era ancora vivo" (Gen 11,28), dice il testo sacro, lasciando la moglie e un figlio, Lot. Probabilmente il clan di Terach conduceva una vita nomade, poiché la Bibbia ci parla di una loro migrazione verso l'area nord-ovest della Mesopotamia: Carran. Tutti i popoli vivevano nel paganesimo, tributando culto agli idoli e anche Terach, come sappiamo dal libro di Giosuè 24, 2, serviva altri dei.
La tradizione rabbinica, dando al nome Ur il significato di fornace, commenta il passo in cui il Signore dice ad Abramo «ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei» (Gen 15, 7), affermando che Abramo fu tratto dalla vuota fornace di chi non conosce Dio. Inoltre, partendo dal v. 2 del cap. 24 di Giosuè, commentatori rabbinici narrano come già nella casa del Padre, prima della chiamata divina, Abramo riteneva gli idoli cosa vana.
“Nella casa paterna di Abramo si servivano gli dei. Si fabbricavano idoli che poi si vendevano al mercato. Un giorno toccò ad Abramo di andare a venderli. Si avvicinò un tale e gli chiese: Quanto costa questa statua? Tre mine, gli rispose e gli chiese: Quanti anni hai? Quegli gli rispose: Trent’anni. Allora gli disse [Abramo]: Hai trent’anni e vuoi adorare quello che io ho fatto appena oggi? Allora quello si girò e se ne andò.” (Seder Eliyaliu Rabbali 6).
Generalmente nel Midrash si spiega il testo del Cantico dei Cantici alla luce della storia di Israele. In un trattato (Tanhuma Lek leka 1-5) che parla della chiamata divina fatta ad Abramo, si applica al Patriarca il versetto 8 del Cap 8 del Cantico: «Una sorella piccola abbiamo che non ha ancora seni». Attraverso un gioco di parole possibile in ebraico sorella (ahot) diviene egli ha confessato l’unità (ihah [iyed]) e non ha ancora seni (shadayim) diviene poiché egli ancora (she - ‘adayin) non aveva figli.
Abramo dunque, pur vivendo immerso nell'idolatria, prima ancora di conoscere la promessa di Dio circa la sua discendenza (cioè prima di avere i due figli), aveva già in cuore il desiderio di confessare l'unità di Dio. Egli, dicono i rabbini, fu padre della fede anche per il proprio padre Terach. Fu infatti per dare ascolto ad Abramo e sfuggire alla tentazione del culto agli idoli che Terach lasciò i Caldei per recarsi a Carran. (cfr. Seder Eliyahu Rabbah 6).

DIO SI RIVELA: LA PROMESSA

Proprio Carran diviene teatro del primo incontro tra Dio ed Abramo:

“Il Signore disse ad Abram:
«Vattene (=Lek leka) dal tuo paese,

dalla tua patria
e dalla casa di tuo padre,
verso il paese dove io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì

come gli aveva ordinato il Signore,

e con lui partì Lot.” (Gen 12, 1-4a)

Entriamo nel vivo della nostra meditazione. Quale Dio si rivela ad Abramo?
Abramo si era già allontanato da Ur a causa della sua ricerca spirituale, tanto lontana dagli abitanti della sua patria, eppure qui il Signore gli ingiunge di lasciare anche questa nuova terra. Non solo: gli chiede di lasciare la casa paterna. Se lasciare una patria, per un nomade, poteva essere relativamente facile, per una società di tipo patriarcale lasciare il proprio clan significava attuare uno sradicamento totale. E Dio gli chiede questo attraverso un semplice invito: “Vattene”, che in ebraico suona così: “Lek-leka!" e che tradotto letteralmente potrebbe diventare: “Va' per te!” oppure: “Va' verso te stesso!"
Dio si presenta dunque ad Abramo anzitutto come Colui che conosce la verità di ciò che Abramo è e lo sprona a scoprirla. È come se Dio gli dicesse: Lascia tutte le tue sicurezze e va’ alla scoperta di ciò che veramente sei ai miei occhi, alla scoperta di ciò per cui sei stato creato.
A questo fa seguire la promessa di una discendenza: «Farò di te un grande popolo (goj)» e quella di diventare lui stesso benedizione: «e diventerai una benedizione … in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12. 2-3). Dio si impegna con Abramo fin da subito in maniera radicale. Il termine usato nella promessa di fare di lui un grande popolo è goj, appellativo che indica generalmente i popoli pagani. Accordandogli la promessa di essere una benedizione e di benedire in lui ogni tribù della terra Dio in certo qual modo fa precedere la sua benedizione alla benedizione di Abramo.
E diventerai una benedizione. Questo significa che la tua benedizione precederà la mia benedizione. (Tanhuma, Lek leka, 4)
Ciò che sorprende dopo questa affermazione è che in nessun episodio narrato in Genesi si vede Abramo pronunciare una benedizione, mentre con minuzia, nello stesso libro, vengono descritte le benedizioni di Isacco e di Giacobbe ai figli. Abramo non conferisce alcuna benedizione perché la sua stessa vita, la sua risposta a Dio sarà benedizione per coloro che a lui faranno riferimento.
Ma come risponde qui Abramo? Notiamo infatti che da questa prima rivelazione non scaturisce alcun dialogo con Dio, Abramo non pronuncia alcuna parola, egli risponde semplicemente obbedendo: Abram partì come gli aveva ordinato il Signore.

IL DESIDERIO DI DIO E' GIA' PREGHIERA



di S.Agostino, Esposizioni sui Salmi, 37,10

Ogni mio desiderio è davanti a te, Signore (Sal 37,10). Non davanti agli uomini, che sono incapaci di vedere il cuore, ma davanti a te, mio Dio. Metti davanti a lui il tuo desiderio: il Padre che vede nel segreto lo riconoscerà (Mt 8,6). Il tuo desiderio è già preghiera; se il desiderio è continuo, continua è la preghiera. Quando l`apostolo raccomanda: Pregate senza interruzione (1Ts 5,17), non dice certo parole vane.
Ma è torse vero che noi, per adempiere a questo consiglio, dobbiamo stare continuamente in ginocchio, o prostrati, o a mani levate? Se per noi la preghiera consiste in questo, ebbene, io credo che non possiamo pregare senza interruzione. Ma c`è un`altra preghiera, che è interiore e non si interrompe mai: il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri la pace di Dio, in realtà preghi continuamente. Se non vuoi smettere di pregare, non smettere di desiderare. Se il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce. Taci solo quando smetti di amare. Hanno taciuto coloro dei quali è scritto: A motivo della crescente iniquità, in molti si raffredderà l`amore (Mt 24,12). Il gelo della carità è il silenzio del cuore, l`ardore ne è il grido. Se la carità rimane sempre salda, il tuo grido non si spegne; se il grido non si interrompe, il desiderio è continuo, e se questo desiderio lo hai sempre, vuol dire che non ti dimentichi della pace di Dio.
E` necessario capire bene chi è colui al quale il tuo cuore rivolge il suo gemito. Pensa a come deve essere un desiderio che si esprime a Dio. Dobbiamo forse desiderare che muoiano i nostri nemici, come sembra giusto agli uomini? A volte infatti nella preghiera chiediamo quel che non dovremmo... Quelli che chiedono la morte dei loro nemici, ascoltino questa parola del Signore: Pregate per i vostri nemici (Mt 5,44; Lc 6,27). Bisogna dunque pregare non perché i nemici muoiano, ma perché si convertano: ed essi moriranno, sì, ma solo perché, convertiti, non saranno più tuoi nemici.
Ogni mio desiderio è davanti a te. Se il desiderio è davanti al Signore, come potrebbe non esserlo anche il nostro gemito? Il gemito infatti è proprio l`espressione del desiderio. Perciò il salmo continua così: E il mio gemito non ti è nascosto. A te non è nascosto, ma può esserlo agli occhi degli uomini. Infatti, mentre a volte l`umile servo di Dio dice: E il mio gemito non ti è nascosto, altre volte sembra che sia pieno di gioia; dovremmo forse pensare che quel desiderio è morto nel suo cuore? E invece il desiderio c`è, e c`è anche il gemito, che, se talvolta non giunge alle orecchie degli uomini, è sempre presente all`attenzione di Dio.

DAL PROFONDO A TE GRIDO , O SIGNORE


di David Wilkerson13 Settembre 1999


Proprio nelle profondità la preghiera di Davide divenne più intensa!
Nella disperazione Davide gridò energicamente: "O Signore, ascolta il mio grido; siano le tue orecchie attente alla voce delle mie suppliche" (Salmi 130:2). Questo verso mi suona come l'ultimo appello di un uomo moribondo. Davide ovviamente non stava pregando con preghiere "pre-confezionate". Egli si trovava a faccia a terra – rotto, contrito, supplicando Dio dal profondo del suo cuore: " O, Santo Dio – ascolta il mio grido! Non potrò durare ancora per molto. Il mio peccato è sempre di fronte a me, io sto inabissandomi con timore e tremore. Ti prego Dio abbi pietà di me!"Davide sapeva che la sua anima aveva bisogno di liberazione. Quindi si volse solo a Dio per trovarla. Egli conclude: "Mi trovo in una terribile situazione, solo il Signore mi può ora aiutare. Io non posso fare affidamento su di un consigliere, un amico, neppure sulla famiglia. La mia unica speranza è nella preghiera. Così io griderò giorno e notte fin quando Dio non udirà la mia supplica!"

Sei disperato quanto lo era Davide? Vi siete chiusi insieme al Signore, cadendo sulla vostra faccia gridando verso di Lui? Fievoli, silenziose, oziose preghiere non portano da nessuna parte. Se non state rimettendo i vostri pesi su Dio, voi non volete veramente essere sanati – volete stare nella vostra condizione!
Davide testimonia: "... ruggisco per il fremito del mio cuore ... e i miei sospiri non ti sono nascosti" (Salmi 38:8-9). Devi piangere forte, come ha fatto Davide: "Signore ascolta la mia supplica! Non ti lascerò fino a quando non mi rispondi!"
Lasciatemi illustrare il tipo di disperazione che aveva Davide. Supponete di essere un giorno sulla via di casa. Come girate l'angolo della vostra via, vedete i camion dei pompieri fermi davanti casa vostra. Volute di fumo nero si alzano dalle finestre, l'intera casa sta andando in fiamme. Sapete anche che la vostra compagna ed i vostri figli sono intrappolati dentro.
Ditemi, quanto riuscireste a stare calmi e tranquilli in tale momento? Quanto riuscireste a stare senza fare nulla, sperando che il fuoco si spenga da solo? Stareste seduti tranquillamente a pregare: "Gesù, io spero che tu faccia cessare le fiamme"? No! Se avete un briciolo di amore nel vostro cuore, correrete attraverso il fumo dentro casa per cercare di fare qualcosa!
Quindi, correte a Lui e pregate diligentemente. Questo è il modo per il quale ogni guarigione ha inizio – chiamando urgentemente il Suo nome!


Davide comprese che non poteva restarea lungo nelle profondità della disperazione,altrimenti ne sarebbe stato distrutto.
Davide sapeva di avere bisogno di una parola salvifica, oppure ogni speranza sarebbe stata compromessa. Così gridò: "Se tu dovessi tener conto delle colpe, o Eterno, chi potrebbe resistere, o Signore?" (Salmi 130:3).
Se traducessi le parole di Davide in un linguaggio moderno e corrente, esse potrebbero suonare in questo modo: "Oh Signore – ti ho visto come se fossi il più grande investigatore privato del cielo – seguendo le mie orme ogni momento del giorno, notando ogni mio fallimento, intercettando il mio telefono, ascoltando ogni mio pensiero, video-registrando ogni mio passo, costruendo un caso giudiziario contro di me ogni giorno. E tu hai raccolto sufficienti prove per sbattermi fuori per sempre."
"Signore, con tutte le testimonianze che hai raccolto, quale possibilità mi rimane? Come potrei stare di fronte a Te, quando le mie stesse malvage parole ed i miei fatti segreti testimoniano contro di me? Cos'altro potrei fare se non attendere il giudizio e la condanna?"
"Ogni mattino mi risveglio avendo paura della Tua terribile ira contro i miei peccati. Chi può stare di fronte ad un Dio santo che punisce le iniquità? Neanche l'anima più santa, umile, fedele, può sfuggire al Tuo giudizio. E se essa non può essere all'altezza della Tua legge, quale opportunità posso avere? Io ho peccato più perfidamente di chiunque altro!"
"Io so che il mio peccato ti fa dispiacere, Signore. So pure che non permetterai che esso possa continuare. Ma se io non vedo almeno un segno della Tua grazia al più presto, sono un uomo finito. La mia anima è in rovina, senza speranza. Non posso andare avanti!"
Molti cristiani combattono allo stesso modo di Davide. Quando il santo, legittimo timore di Dio è instillato nelle loro anime, la Sua tremenda maestà costantemente li lavora. Torrenti della Sua fiammeggiante legge scorrono direttamente verso i loro cuori, ed essi cominciano a perdere il vigore agonizzando. Come Davide gridano: "Signore, chi può starti a fronte? Chi può durare davanti la Tua santità?"
Tragicamente moltitudini di omosessuali, lesbiche, alcolisti e drogati si sono suicidati perché sono caduti nelle più tetre tenebre dei luoghi profondi. Non riescono ad uscire fuori dalla sensazione che stanno continuamente fallendo verso Dio. E continuamente si dicono: "Io potrei avere la forza per oltrepassare questo problema, ma non ci riesco. Come potrò diventare libero?"
Giona si fece proprio la stessa domanda. Egli era letteralmente al fondo, nel più profondo dell'oceano, incapace di sfuggire al suo dilemma. Anch'egli gridò "Mi hai gettato in un luogo profondo, nel cuore dei mari, la corrente mi ha circondato e tutti i tuoi flutti e le tue onde mi sono passati sopra...Le acque mi hanno circondato fino all'anima, l'abisso mi ha avvolto..." (Giona 2:4-6)
Secondo Giona, chi lo ha gettato in queste profondità di tenebre? Il Signore! Effettivamente, fu Dio che spinse il profeta fino al fondo e preparò la balena per inghiottirlo. Quando Giona chiama i suoi problemi: "i tuoi flutti e le tue onde", si stava riferendo al Signore.
Ma Dio non si arrabbia con Giona, enumerandogli i suoi peccati. Quindi, perché permise che gli accadesse tutto ciò? Perché lo ha mandato in luoghi profondi? Egli volle fermare il Suo servitore dal fuggire dalla Sua volontà! Egli voleva che Giona seguisse il Suo piano, così sarebbe stato benedetto. In poche parole Dio mandò Giona nei luoghi profondi per ristabilirlo!
In Giona 2:3 vediamo esattamente cosa Dio fece dopo: "...Io ho gridato al SIGNORE, dal fondo della mia angoscia, ed egli mi ha risposto; dalla profondità del soggiorno dei morti ho gridato e tu hai udito la mia voce." Il Signore stava attendendo che Giona tornasse a Lui – che gridasse a Lui solo! "Io dicevo: "Sono cacciato lontano dal tuo sguardo! Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?" (verso 5). "Quando la vita veniva meno in me, io mi sono ricordato del SIGNORE ..." (verso 8).
Oggi, il Signore fa la stessa cosa con noi: ci libera, permettendo che noi andiamo a finire in luoghi profondi. Ci lascia affogare nella disperazione del nostro peccato, fino a renderci conto che non abbiamo altra fonte cui andare se non Lui solo. Finalmente, quando siamo fuori dalle viscere dell'inferno gridiamo: "Oh Signore, ti prego ascoltami! Ho toccato il fondo, senza avere alcuna speranza in vista. Solo Tu puoi liberarmi!"
Può darsi che abbiate toccato il fondo del vostro peccato. Non vedete come ottenere la vittoria sopra quel vizio o amarezza che vi circonda. Oltretutto il Signore vi ha permesso di arrivare fino al punto più basso dei luoghi profondi. Certamente tutto questo ha una ragione. Lui spera che come Giona, voi "guarderete di nuovo a Lui".
State certi che, quando Giona gridò al Signore, Dio venne a lui rapidamente: "E il SIGNORE diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sulla terraferma." (verso 11). Dio disse alla balena: "Basta così – ora, sputalo fuori. Il Mio servitore ha gridato a me ed io sto per rispondergli!"
Il tuo Padre celeste non vuole che tu rimanga sul fondo, indebolendoti sotto un grave peso di colpa e condanna. Egli desidera che tu impari una lezione in quel luogo – e poni la tua fiducia in Lui!

Troppi cristiani se ne stanno giù in luoghiprofondi, in totale scoraggiamento.
Per molti cristiani, andare verso il fondo significa la fine completa. Essi diventano così sommersi dai loro fallimenti che sviluppano un senso d'indegnità. In ogni momento si sentono imprigionati al di là di ogni possibilità di recupero. Isaia scrive a questo tipo di credenti: "O afflitta, sbattuta dalla tempesta, sconsolata ..." (Isaia 54:11).
Alla fine qualcuno si arrabbia con il Signore. Diventano stanchi di attendere che Lui agisca. Per cui gridano accusandolo: "Signore dov'eri quando io avevo bisogno di Te? Ho gridato per essere liberato ma non mi hai mai risposto. Ho fatto tutto quello che potevo fare, ma non sono ancora libero. Sono stufo di pentirmi e pregare, senza vedere alcun cambiamento!" Molti di questi credenti smettono di provare e si lasciano andare al loro vizio.
Altri cadono in una nebbia di apatia spirituale. Sono persuasi che Dio non si prende più cura di loro. Dicono a se stessi: "...La mia via è occulta al SIGNORE e al mio diritto non bada il mio Dio?" (Isaia 40:27). "Il SIGNORE mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata" (49:14).
Ma ancora altri finiscono per focalizzare la loro attenzione sul loro peccato, cercando di tenersi in uno stato costante di colpevolezza. Questo causa loro solo confusione; supplicano: "Le nostre trasgressioni e i nostri peccati sono su di noi, e a motivo di essi noi languiamo: come potremmo vivere?" (Ezechiele 33.10). il fatto è che rimanere nel sentimento di colpevolezza non serve a nulla di per sé. Quando siamo mortificati dalla colpa e dal pentimento dai nostri peccati, si suppone che non rimaniamo in questo stato. È chiaro che bisogna avere l'intenzione di arrivare alla fine di noi stessi - fino alla vittoria della croce!
Davide si riscosse dai luoghi profondi,ricordando la natura per donatrice di Dio!
Dopo tutto quel piangere e gridare al Signore, Davide finì per testimoniare: "Ma presso di te è il perdono, perché tu sia temuto." (Salmi 130:4). Lo Spirito Santo comincia ad inondare la sua anima con il ricordo della misericordia di Dio. In un momento Davide richiama alla mente tutto quanto a proposito della clemente, perdonatrice natura del Padre: " ... Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso, pieno di compassione, lento all'ira e di gran bontà ..." (Neemia 9:17).
E presto Davide gioiva ancora, ricordando a se stesso: "Poiché tu, o Signore, sei buono, pronto a perdonare, e misericordioso verso quanti t'invocano" (Salmi 86:5). "Egli perdona tutte le tue colpe ..." (103:3). Vediamo una delle fondamentali promesse del Nuovo Patto. Geremia dichiara: "...Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato" (Geremia 31:34). E Paolo aggiunge nel nuovo testamento: "...perdonandoci tutti i nostri peccati" (Colossesi 2:13). Dio ci ha promesso il Suo perdono, per ogni peccato!
Comunque tale promessa di perdono è limitata a certe persone. Si applica solo a coloro che sono stati schiacciati ed indeboliti dai loro peccati ... che sono stati nelle profondità della colpa ... che hanno perdurato nella ricerca che partiva dall'anima per lo Spirito Santo ... che si sono pentiti e sono tornati a Cristo con fede!
Gesù stesso ebbe a dire che non tutti coloro che gridano: "Signore, Signore," entreranno nel Regno di Dio. Tristemente molti cristiani non sono per niente preoccupati dei loro peccati. Le loro cattive abitudini li infastidiscono il meno possibile. Sono convinti da se stessi che Dio è talmente misericordioso e pieno di benevolenza che può perdonarli, anche se ostinatamente continuano a stare nel peccato.
No – assolutamente! Si sono appropriati di una falsa tranquillità! Hanno soffocato la condanna dello Spirito Santo, con il loro modo d'agire. Sono andati alla ricerca del perdono prima ancora che la loro colpa potesse mutarsi in un sincero pentimento!
Nondimeno, allo stesso tempo, il perdono di Dio può essere ottenuto solo tramite la fede. Non possiamo discuterne oltre. Cristo ci ha donato l'espiazione con il Suo sangue in modo così profondo, così pietoso, così misterioso, che è al di là di ogni capacità umana comprenderlo. Possiamo vedere chiaramente la legge applicata al nostro peccato. Possiamo provare condanna, paura e colpevolezza per le nostre trasgressioni. Ma il nostro Padre Celeste è sempre vicino a noi in ogni tempo, pronto a perdonarci. Il sangue di Cristo, l'amore del Padre, il desiderio di perdonare – tutte queste benedizioni possono essere conosciute solo tramite la fede: " ... perché il giusto vivrà per fede." (Galati 3:11).
Potreste essere curiosi di sapere quante volte il Signore può perdonarvi, per esservi indugiati sempre nello stesso peccato? State pur sicuri che il Suo incredibile perdono è illimitato. Ogni volta che peccate, potete andare a Gesù e trovare liberazione. Nondimeno il perdono del Signore non è certo insensato o cieco. Per essere chiari, il nostro Padre Celeste ci perdona – ma ad un certo punto, egli ci punisce per evitare che continuiamo nel nostro peccato.
Quando i miei quattro figli stavano crescendo, ebbi a punirli per delle cose sbagliate che facevano. Li chiamavo nella mia stanza per sculacciarli – e quando loro vedevano la cintura nelle mie mani, scoppiavano in lacrime. E supplicavano: "No, papà! Mi dispiace. Per piacere perdonami!"
Li perdonavo. Ma questo non mi fermava dall'usare la cinta. Sapevo che se non l'avessi usata, essa sarebbe diventata senza significato per loro – una burla, invece che una fonte di disciplina. Nello stesso modo la legge di Dio è sempre lì per ricordarci i Suoi santi principi. È un segnale della Sua santità verso di noi, per ricordarci le Sue vie, ed il Suo volere è quello che dice!
Permettete che vi lasci con una parola di speranza. Se sei in luoghi profondi proprio ora a causa del tuo peccato – se stai piangendo a causa della verga del Signore che si è abbattuta sul tuo fondoschiena – sii incoraggiato. Lui ti sta castigando a causa del Suo tenero amore per te. Egli ti sta umiliando perché vuole che tu conosca il Suo timore!
Che cosa esattamente significa il timore del Signore? Significa essere capaci di dire: "So che mio Padre mi ama. Io sono al sicuro per sempre con Lui, e so che non mi abbandonerà mai. Egli sente il mio dolore ogni volta che sono in una prova. Egli è paziente con me mentre combatto contro il peccato. È sempre pronto a perdonarmi ogni volta che mi rivolgo a Lui. Ma so pure che Egli non mi permetterà di continuare a disubbidire alla Sua parola. Il mio Padre Celeste non vuole trascurarmi – perché egli mi ama profondamente!"
Questo è il punto focale di tutto. Dio vuole che noi accettiamo il Suo perdono, in modo che abbiamo il Suo timore. "Ma presso di te è il perdono, perché tu sia temuto" (Salmi 130:4). Una volta che abbiamo il timore del Signore, vorremo ancora di più che solamente obbedirgli. Vorremo compiacerlo, fargli venire un sorriso sul volto. Questo è il benedetto risultato del santo timore di Dio!

VIVERE NEL MONDO COME VERI ADORATORI DI DIO


(di Antonio Lanfranchi Vescovo di Cesena- Sarsina)

“ Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” ( Mt 2,12 )

Mi sembra utile , per comprendere che cosa voglia dire “ vivere nel mondo da veri adoratori” ricuperare il significato della parola “ adorazione”. L’etimologia della parola fa riferimento al gesto di portare la mano alla bocca per tacere e ascoltare, e al gesto di prostrarsi fino a toccare la terra con la bocca. Adorazione significa dunque umiltà profonda, silenzio pieno di stupore, ascolto attento e obbediente.
Portare la mano alla bocca per tacere e ascoltare: essere capace di silenzio profondo, quasi sospendere il respiro per avvertire la presenza discreta di Gesù che ci parla.
Mi ha sempre colpito il fatto che nel Catechismo della Chiesa Cattolica , nella quarta parte dedicata alla preghiera, a modello della preghiera di contemplazione, potremmo dire della preghiera di adorazione, non è stato scelto un grande mistico, come Santa Teresa d’Avila o San Giovanni della Croce, ma un umile contadino di Ars, che, alla scuola del suo parroco ( il Santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney), aveva imparato a recarsi in Chiesa prima di iniziare il suo lavoro o al termine di esso. Un giorno che il suo compagno di lavoro non lo vide arrivare, seppe dove andare a trovarlo. Entrò in Chiesa e lo trovò assorto in preghiera; gli chiese allora come mai si attardasse e il contadino rispose semplicemente: “ Io guardo Lui e Lui guarda me”, come a dire: io guardo Lui, cioè Gesù -Eucaristia, e cerco di comprendere me alla luce del suo sguardo.
Stupenda descrizione della preghiera di adorazione! Io comprendo me alla luce dello sguardo di Gesù su di me.
Adorare porta ad accogliersi dalle mani di Dio, del suo amore.
Nell’adorazione emerge la verità della nostra vita come “ appartenenza”.
La vera adorazione di Dio porta l’uomo a superare la falsa concezione di essere lui il padrone della sua vita per riconoscersi creatura.
Uno dei valori più grandi e più cari all’uomo d’oggi è indubbiamente quello della libertà. Ma come vive la sua libertà? Che uso ne fa?
A volte mi sembra che assomigli tanto all’indemoniato che Gesù incontra a Cerasa. L’evangelista Marco sottolinea che: “Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a temerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo” ( Mc 5, 3-4 ).
La scena è di una intensa drammaticità. Potremmo dire che quest’uomo goda di una libertà assoluta: nulla e nessuno riesce a mettergli dei freni.Ma che libertà è la sua, se la usa per percuotersi, per farsi del male?
L’uomo contemporaneo è giustamente geloso della sua libertà, ma tante volte spinge la concezione della libertà fino al punto di avere la pretesa di essere “ libertà che si autoprogetta”, e non semplicemente “libertà donata”. In altre parole ha la pretesa di determinare lui stesso ciò che è bene e ciò che è male, di determinare lui il senso e la verità della vita. E’ vero ciò che io ritengo sia vero, è falso ciò che io dico falso; è buono ciò che io ritengo che sia buono, mentre è male ciò che io chiamo male.
Al centro c’è il proprio io e tutto ruota intorno ad esso.
Questa concezione porta a penalizzare o a ridicolizzare i valori cristiani, da cui bisogna liberarsi per poter affermare veramente la propria vita. Oppure a non negare Dio o combatterlo, ma semplicemente ignorarlo : si vive praticamente , ignorandolo. Non si pone la questione di Dio, si vive come se non esistesse. Se questa visione può dare un senso di ebbrezza, di onnipotenza quando le cose vanno bene, può anche generare nell’uomo un’angoscia opprimente, quando le cose vanno male, facendogli sperimentare tutta la sua fragilità e non potendo confidare su nessuno per potersi rialzare.
Se vuole riconoscere la verità di se stesso, l’uomo non è libertà che si autoprogetta, ma libertà donata, non si appartiene, riceve da Dio la vita e la verità della vita.
Diventare sempre più veri significa cambiare la nostra falsa coscienza di essere padroni di noi stessi e arrivare alla consapevolezza di appartenere totalmente a un Altro.
Questo cambiamento di mentalità non è mortificante per l’uomo, ma è la via alla vera felicità, alla serenità, alla speranza.
Proviamo a pensare come sarebbe la nostra vita se sviluppassimo veramente la coscienza di appartenere a un Dio che è Padre?
Vi invito a leggere e a meditare il capitolo 43 del Profeta Isaia: “ Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: ‘Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno, se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo…Non temere, perché io sono con te” ( Is. 43, 1-5).
Proviamo a rileggere la nostra vita nella luce positiva dell’amore di Dio per noi, un amore fedele, qualsiasi sia stata o sia la nostra risposta; questo dovrebbe aiutarci a rinnovare la speranza , a dare un respiro più grande alla nostra vita. Dal riconoscere che tutti apparteniamo al Signore, dovrebbero nascere rapporti nuovi tra noi, più profondi di quelli che nascono dalla carne, dal piacere, dall’interesse, dalla convenienza.
La vera adorazione rende tutta la vita un culto gradito a Dio
Giovanni Paolo II nel Messaggio ci esorta con forza: “ Siate adoratori dell’unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza” ( n. 5 ).
E’ il secondo aspetto che vorrei richiamare Lo vorrei fare anzitutto con l’aiuto di S. Teresa d’Avila. Nella sua biografia leggiamo che a quarant’anni circa , dopo 20 anni di monastero vissuti nell’osservanza delle regole, Teresa viveva un momento di crisi, di stanchezza spirituale, perché in un certo senso sentiva ancora il cuore diviso tra Dio e le creature: amava Dio ma amava molto anche le creature. “ La mia vita – scrive – era tra le più penose che si possa immaginare perché non godevo di Dio, né trovavo felicità nel mondo…Anelavo a vivere, giacché mi rendevo conto di non stare vivendo, bensì lottando contro un’ombra di morte…” .
Teresa superò la crisi contemplando Cristo , in cui si componeva quella tensione che lei provava tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini, tra l’amore dovuto al Signore e quello dovuto al prossimo, Lui è insieme il nostro Dio e il nostro prossimo, l’eterno che è entrato nel tempo, l’amico con cui si può vivere, parlare, stare come e più di quanto si faccia con ogni altro amico.Cristo è il centro in cui tutto può e deve essere raccolto.
In Cristo Teresa comprese che Dio non andava messo tanto al primo posto ma all’unico posto nel nostro cuore, per ricevere da Lui tutto, creature umane e beni del creato, per amare con il suo amore tutte le creature ricevute in dono da Lui.
Dio non ci distoglie dall’amore delle creature, ma lo potenzia e nello stesso tempo gli toglie il carattere di assoluto, di idolo. Amare le creature con l’amore di Dio vuol dire tendere con il suo aiuto ad amarle con la stessa intensità di amore e con la stessa intenzionalità con cui le ama Dio. E Dio ci ama davvero in termini unici, gratuiti, eterni!
Quando uno si mette in questa prospettiva, diventa vero adoratore di Dio nel mondo.
Gesù disse alla Samaritana: “ E’ giunto il momento , ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori “ ( Gv 4, 23 ).
E’ vero adoratore del Padre chi in ogni momento della sua vita, in ogni situazione ricerca la volontà di Dio, come ha fatto Gesù.
Nella Lettera agli Ebrei leggiamo: “Entrando nel mondo,Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco,io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare , o Dio, la tua volontà. Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo” ( Eb.10, 5-10 ).
Forse non pensiamo abbastanza alla rivoluzione che Gesù introduce nella storia della religione e che queste parole manifestano. Prima il rapporto con Dio veniva significato dall’offerta a Dio di sacrifici, a cui non corrispondeva tante volte l’impegno a obbedirgli nelle scelte della vita.
D’ora in poi il sacrificio non sarà l’offerta di qualcosa, ma solo l’offerta della propria vita a Dio; d’ora in poi la vita religiosa non sarà più un settore, per quanto ampio, della vita dell’uomo ma coinvolgerà tutta la vita dell’uomo. Diventa culto il lavoro, lo studio, il divertimento, la vita familiare, i rapporti interpersonali, l’impegno politico, l’impegno culturale. Tutto. Tutto perché tutto può e deve essere vissuto secondo la volontà di Dio. Dio non vuole il sacrificio di una parte della vita; vuole che tutta la vita dell’uomo sia trasfigurata e diventi portatrice di amore e di giustizia. Se questo avviene, tutta l’esistenza diventa un sacrificio vivo, santo e gradito a Dio. Si diventa veri adoratori di Dio nella vita. San Paolo nella Lettera ai Romani ci dice: “ vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” ( Rom. 12, 1-2 ).
Sappiamo che nella concezione biblica il corpo non è una parte dell’uomo, è tutto l’uomo nella sua realtà sociale, nel suo rapportarsi con gli altri. Quindi offrire il corpo vuol dire offrire tutta la vita, anche i pensieri e i sentimenti, tutto quello che entra nella costruzione dell’esistenza.
Paolo esorta ad offrire il proprio corpo come sacrificio gradito a Dio. Gradito a Dio. Quando Dio lo guarda, lo riconosce conforme alla sua volontà, al suo progetto.Proviamo ad esemplificare.
Prendiamo il nostro rapporto con gli altri, è gradito a Dio, quando Dio, guardandolo, può dire : “ Mi piace! Lo approvo!”. Immaginiamo come è un’amicizia, un rapporto di amore che Dio gradisce. O pensiamo al lavoro o allo studio, fatti in modo che Dio li approvi, perché vi ritrova almeno una scintilla della sua volontà.
Tutto quello che fa parte della vita può trasformarsi in culto.
Se io dicessi che cosa istintivamente chiamo sacrificio offerto a Dio, mi verrebbe da dire l’atto di culto o i “ riti che celebriamo”. Invece , secondo Paolo, il culto autentico è la vita quotidiana. E’ culto il lavoro, lo studio, l’amicizia, l’amore, quando sono vissuti nella volontà di Dio.
L’adorazione di Dio nella vita porta a liberarsi degli idoli che di volta in volta possiamo costruirci.
Chi aderisce al Dio di Gesù Cristo sa apprezzare la bellezza e la bontà di tutte le creature, riceve tutto in dono. Nello stesso tempo non assolutizza nulla, non fa cioè diventare nulla idolo della sua vita.
La vera alternativa di fronte alla quale è messo ogni uomo non è tanto tra fede e ateismo, ma tra fede e idolatria, tra l’accettazione del Dio vivente attraverso il servizio obbediente per fede o il rifiuto di Lui con la conseguente accettazione del servizio agli idoli .
La Bibbia parla degli idoli in questi termini: “ Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non sentono…” ( Sal 115,4 ss), ma nei confronti dell’uomo che li serve, alienandosi in loro, sono delle potenze.
L’idolo è una realtà , di per sé buona, che s’insinua nel cuore dell’uomo prendendo gradualmente il posto di Dio, diventando la cosa più importante a cui subordinare tutto .Gli idoli sono potenti ed efficaci, non dimentichiamolo.
Il nostro mondo è popolato da idoli. Ogni creatura che viene assolutizzata , perdendo il suo riferimento al Creatore diventa un idolo,perché separa da Dio, usurpando a Lui la sua signoria.Tutto nella nostra esistenza può diventare idolo : le cose che sono e quelle che noi produciamo, se diventano un assoluto, se catturano la nostra libertà , se concentrano su di sé le nostre attenzioni dandoci le vertigini sono idoli.
Idolo può essere il corpo, il benessere, il denaro , il successo, il sesso, il potere, il divertimento, il lavoro, lo studio.
Non è sbagliato avere cura del proprio corpo, anzi è un dovere, ma quando questo diventa la preoccupazione dominante, che assorbe tutte le proprie energie, come se l’importanza della persona dipendesse dal suo corpo, allora diventa un idolo. Non è sbagliato cercare il successo, aspirare a migliorare la propria posizione, ma quando il denaro, la bramosia di guadagno, è tutto, fino a sacrificare affetti, cura di sé, doveroso riposo, allora diventa idolo. Così il divertimento, così il lavoro.Quante persone ,invidiate perché ricche o potenti, se potessero , darebbero tutto in cambio di un vero affetto. Quanti giovani ricercano la felicità in un esasperato divertimento e si ritrovano più soli e angosciati di prima. L’idolo è potente, schiaccia.
Mi verrebbe da dire che ,mentre il nostro Dio ha dato la vita perchè potessimo essere veramente liberi , l’idolo ti toglie la libertà, ti porta ad alienare la vita.
Non resta allora che smascherare gli idoli e abbatterli. Non con le nostre forze, ma in nome di Colui che li ha vinti sulla croce e ci ha donato il Suo Spirito perché potessimo contrastarli e vincerli anche noi: Gesù il Cristo, il Salvatore.
Ognuno di noi è sempre posto di fronte alla scelta tra gli idoli e Dio, ma in questa scelta non è mai solo.
Il fascino di una vita liberata dagli idoli ci è testimoniata dai Santi, in particolare dai martiri, che, chiamati alla fede in un mondo idolatra, per fede vivono, oltre la morte.
La vera adorazione di Dio non è dunque qualcosa di intimistico, ma la strada che porta alla vera libertà, ad apprezzare e a valorizzare il dono di tutto il creato, senza rendersene schiavi.
Vorrei concludere con un bellissimo principio di Edith Stein: “ Sento la mia anima sempre più libera quando obbedisco”. Nell’obbedienza a Dio la nostra vera libertà.