martedì 27 maggio 2008

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
ha la vita eterna e io lo risusciterò nell`ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo
e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
dimora in me e io in lui.

Gv 6, 54-56

L’Eucaristia sacramento di unità


di Giovanni Paolo II - UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 8 novembre 2000

“Sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità!”.

L’esclamazione di S. Agostino nel suo commento al Vangelo di Giovanni (In Johannis Evangelium 26,13) raccoglie idealmente e sintetizza le parole che Paolo ha rivolto ai Corinzi e che abbiamo appena ascoltato: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti, partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,17). L’Eucaristia è il sacramento e la sorgente dell’unità ecclesiale. E ciò è stato ribadito fin dalle origini della tradizione cristiana, basandosi proprio sul segno del pane e del vino. Così, nella Didachè, uno scritto composto ai primordi del cristianesimo, si afferma: “Come questo pane spezzato era prima disperso sui monti e, raccolto, è divenuto una sola realtà, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno” (9,1).
San Cipriano, vescovo di Cartagine, facendo eco nel III secolo a queste parole, afferma: “Gli stessi sacrifici del Signore mettono in luce l’unanimità dei cristiani cementata con solida e indivisibile carità. Poiché quando il Signore chiama suo corpo il pane composto dall’unione di molti granelli, indica il nostro popolo adunato, che egli sostenta; e quando chiama suo sangue il vino spremuto dai molti grappoli e acini e fuso insieme, indica similmente il nostro gregge composto di una moltitudine unita insieme” (Ep. ad Magnum 6). Questo simbolismo eucaristico in rapporto all’unità della Chiesa torna frequentemente nei Padri e nei teologi scolastici. «Il Concilio di Trento ne ha compendiato la dottrina insegnando che il nostro Salvatore ha lasciato l’Eucaristia alla sua Chiesa “come simbolo della sua unità e della carità con la quale egli volle intimamente uniti tra loro tutti i cristiani”; e perciò essa è “simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo”» (Paolo VI, Mysterium fidei; cfr Conc.Trid., Decr. de SS. Eucharistia, proemio e c. 2). Il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza con efficacia: “Coloro che ricevono l’Eucaristia sono uniti più strettamente a Cristo. Per ciò stesso, Cristo li unisce a tutti i fedeli in un solo corpo: la Chiesa” (CCC 1395).
Questa dottrina tradizionale è fortemente radicata nella Scrittura. Paolo nel brano già citato della Prima Lettera ai Corinzi la sviluppa partendo da un tema fondamentale, quello della koinonía, cioè della comunione che si instaura tra il fedele e Cristo nell’Eucaristia. “Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione (koinonía) con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione (koinonía) con il corpo di Cristo?” (10,16). Questa comunione è descritta più precisamente nel vangelo di Giovanni come una relazione straordinaria di “interiorità reciproca”: ‘lui in me e io in lui’. Gesù, infatti, dichiara nella sinagoga di Cafarnao: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56). È un tema che sarà sottolineato anche nei discorsi dell’Ultima Cena mediante il simbolo della vite: il tralcio è verdeggiante e fruttifero solo se è innestato nel ceppo della vite da cui riceve linfa e sostegno (Gv 15,1-7). Altrimenti è solo un ramo secco e destinato al fuoco: aut vitis aut ignis, «o la vite o il fuoco», commenta in modo lapidario sant’Agostino (In Johannis - Evangelium 81,3). Si delinea qui un’unità, una comunione, che si attua tra il fedele e Cristo presente nell’Eucaristia, sulla base di quel principio che Paolo formula così: “Quelli che mangiano le vittime sacrificali sono in comunione con l’altare” (1 Cor 10,18).
Questa comunione-koinonía di tipo ‘verticale’ perché ci unisce al mistero divino, genera nel contempo una comunione-koinonía che possiamo dire ‘orizzontale’, ossia ecclesiale, fraterna, capace di unire in un legame d’amore tutti i partecipanti alla stessa mensa. “Pur essendo molti, siamo un corpo solo - ci ricorda Paolo -: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,17). Il discorso sull’Eucaristia anticipa la grande riflessione ecclesiale che l’Apostolo svilupperà nel capitolo 12 della stessa Lettera, quando parlerà del corpo di Cristo nella sua unità e molteplicità. Anche la celebre descrizione della Chiesa di Gerusalemme offerta da Luca negli Atti degli Apostoli delinea questa unità fraterna o koinonía connettendola alla frazione del pane, cioè alla celebrazione eucaristica (At 2,42). È una comunione che si compie nella concretezza della storia: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nella comunione fraterna (koinonía), nella frazione del pane e nella preghiera (…) Tutti coloro che erano divenuti credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (At 2,42-44).
Si rinnega perciò il significato profondo dell’Eucaristia, quando la si celebra senza tener conto delle esigenze della carità e della comunione. Paolo è severo con i Corinzi perché il loro radunarsi insieme “non è più un mangiare la cena del Signore” (1Cor 11,20) a causa delle divisioni, delle ingiustizie, degli egoismi. In tal caso l’Eucaristia non è più agape, cioè espressione e fonte di amore. E chi partecipa indegnamente, senza farla sbocciare in carità fraterna, “mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). “Se la vita cristiana si esprime nell’adempimento del più grande comandamento, e cioè nell’amore di Dio e del prossimo, questo amore trova la sua sorgente proprio nel santissimo sacramento, che comunemente è chiamato: sacramento dell’amore” (Dominicae coenae n. 5). L’Eucaristia ricorda, rende presente e genera questa carità. Raccogliamo, allora, l’appello del vescovo e martire Ignazio che esortava all’unità i fedeli di Filadelfia in Asia Minore: “Una sola è la carne di nostro Signore Gesù Cristo, uno solo è il calice nell’unità del suo sangue, uno solo l’altare, come uno è il Vescovo” (Ep. ad Philadelphenses 4). E con la liturgia preghiamo Dio Padre: “A noi che ci nutriamo del corpo e del sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (Preghiera eucaristica III).

IL CORPO E IL SANGUE DI GESU'


di Pd Raniero Cantalamessa

1 Corinzi 10, 16-17

San Paolo ci presenta l'Eucaristia come mistero di comunione: "Il calice che benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?" Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Proviamo ad applicare questa regola alla comunione eucaristica e ci renderemo conto della "enormità" della cosa.Che cosa ho io di propriamente "mio"? La miseria, il peccato: questo solo è esclusivamente mio. E che cosa ha di "suo" Gesú se non santità, perfezione di tutte le virtù? Allora la comunione consiste nel fatto che io do a Gesú il mio peccato e la mia povertà, e lui mi da la sua santità. Si realizza il "meraviglioso scambio", come lo definisce la liturgia. Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: "Ti voglio così bene che ti mangerei!". È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo...La mia carne è vero cibo...Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna". Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.

Guardiamo cosa avviene in natura, nell'ambito della nutrizione. È il principio vitale più forte che assimila quello meno forte. È il vegetale che assimila il minerale; è l'animale che assimila il vegetale. Anche nei rapporti tra l'uomo e Cristo si attua questa legge. È Cristo che assimila noi a sé; noi ci trasformiamo in lui, non lui in noi. Un famoso materialista ateo ha detto: "L'uomo è ciò che mangia". Senza saperlo ha dato un'ottima definizione dell'Eucaristia. Grazie ad essa, l'uomo diventa davvero ciò che mangia, cioè corpo di Cristo!

Ma leggiamo il seguito del testo iniziale di S. Paolo: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane". È chiaro che in questo secondo caso la parola "corpo" non indica più il corpo di Cristo nato da Maria, ma indica "tutti noi", indica quel corpo di Cristo più grande che è la Chiesa. Questo vuol dire che la comunione eucaristica è sempre anche comunione tra noi. Mangiando tutti dell'unico cibo, noi formiamo un solo corpo. Quale la conseguenza? Che non possiamo fare vera comunione con Cristo, se siamo divisi tra noi, ci odiamo, non siamo pronti a riconciliarci. Se tu hai offeso un tuo fratello, diceva S. Agostino, se hai commesso un'ingiustizia contro di lui, e poi vai a ricevere la comunione come niente fosse, magari pieno di fervore nei confronti di Cristo, tu somigli a una persona che vede venire verso di sé un amico che non vede da molto tempo. Gli corre incontro, gli getta le braccia al collo e si alza in punta di piedi per baciarlo sulla fronte...Ma, nel fare questo, non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate. I fratelli infatti, specie i più poveri e derelitti, sono le membra di Cristo, sono i suoi piedi posati ancora sulla terra. Nel darci l'ostia il sacerdote dice: "Il corpo di Cristo", e noi rispondiamo: "Amen!". Adesso sappiamo a chi diciamo "Amen", cioè sì, ti accolgo: non solo a Gesù, il Figlio di Dio, ma anche al prossimo.

Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: "Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?" e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: "Sono qui, non mi vedi? Sono con te!". Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: "Dov'è Dio?" e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: "In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete". La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava "lo stupore eucaristico".

Significato spirituale della carne e del sangue di Cristo

Origene, Omelie sul Levitico, 7,5

Il nostro Signore e Salvatore dice: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete la vita in voi. La mia carne infatti è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda (Gv 6,54-55). Gesù è puro in tutto e per tutto: perciò tutta la sua carne è cibo e tutto il suo sangue è bevanda. Ogni sua opera è santa e ogni sua parola è vera: perciò anche la sua carne è vero cibo e il suo sangue è vera bevanda. Con la carne e il sangue della sua parola abbevera e sazia, come con cibo puro e bevanda pura, tutto il genere umano. Così, al secondo posto, dopo la sua carne, sono cibo puro Pietro e Paolo e tutti gli apostoli; in terzo luogo i loro discepoli: e così ognuno, per la quantità dei suoi meriti o la purità dei suoi sensi, può rendersi cibo puro per il suo prossimo... Ogni uomo ha in sé un qualche cibo; se egli è buono e dallo scrigno del suo cuore porge del bene (cf. Mt 12,35), offre al suo prossimo, che vi attinge, cibo puro se invece egli è cattivo e porge del male, offre al suo prossimo un cibo immondo.


Cibo e bevanda di vita eterna



Gregorio di Nissa, Grande Catechesi, 37



Quelli che, cadendo nelle insidie loro tese, hanno preso il veleno, ne estinguono il potere mortifero con un altro farmaco. Allo stesso modo, come è entrato nelle viscere dell`uomo il principio esiziale, deve entrarvi anche il principio salutare, affinché si distribuisca in tutte le parti del suo corpo la virtù salvifica. Avendo noi gustato il cibo dissolvitore della nostra natura, ci fu necessario un altro cibo, che riunisce ciò che è dissolto, perché, entrato in noi, questo medicamento di salvezza agisse da antidoto contro la forza distruggitrice presente nel nostro corpo. E cos`è questo cibo? Null`altro che quel Corpo che si rivelò più possente della morte e fu l`inizio della nostra vita. Come un po` di lievito, secondo quanto dice l`Apostolo (cf. 1Cor 5,5), rende simile a sé tutto l`impasto, così quel Corpo, dotato da Dio dell`immortalità, entrato nel nostro, lo trasforma e lo tramuta tutto in sé. Come, infatti, il principio salutare mescolato al principio mortifero toglie il potere esiziale al miscuglio, così il Corpo immortale una volta dentro colui che lo ha ricevuto, lo tramuta tutto nella propria natura.
Ma non è possibile entrare in un altro corpo, se non unendosi alle sue viscere, se non cioè, come alimento e bevanda: dunque è necessario ricevere la forza vivificante dello Spirito nel modo possibile alla natura. Ora, solo il Corpo, ricettacolo di Dio, ricevette la grazia dell`immortalità, ed è dimostrato che non è possibile per il nostro corpo vivere nell`immortalità, se non partecipandovi per la comunione a quel Corpo. E` necessario considerare come mai sia possibile che quel Corpo, continuamente distribuito in tutto il mondo a tante migliaia di fedeli, rimanga sempre unico e identico in tutto se stesso, affinché la fede, riguardando ciò che è conseguente non abbia dubbi circa le nozioni proposte, è bene fermare un poco il nostro ragionamento sulla fisiologia del corpo.
Chi non sa che il nostro corpo, per natura sua, ha una vita che non è in sé sussistente, ma, per l`energia che in esso affluisce, si mantiene e resta nell`essere attirando con moto incessante a sé ciò che è estraneo ed espellendo ciò che è superfluo? Un otre pieno di un liquido, se il contenuto esce dal fondo, non può mantenere inalterata la forma e il volume, se dall`alto non entra altro liquido al posto di quello che se ne è andato: perciò chi vede la massa a forma d`otre di questo recipiente, sa che non è propria dell`oggetto che vede, ma che è il liquido che in lui affluisce a dare forma e volume al recipiente. Così anche il nostro corpo, per sua struttura, non ha nulla di proprio, a quanto ci consta, per la propria sussistenza, ma resta nell`essere per una forza che introduce in sé. Questa forza è e si chiama cibo. Essa poi non è identica per tutti i vari corpi che si nutrono, ma per ciascuno è stato stabilito il cibo conveniente da colui che governa la natura. Alcuni animali scavano radici e se ne nutrono, per altri nutrimento è l`erba e per altri ancora, invece, la carne. Per l`uomo, l`alimento principale è il pane, mentre la bevanda, necessaria per mantenere e conservare l`umidità, non è solo la semplice acqua, ma spesso unita al vino, che è di giovamento al nostro calore animale. Chi dunque guarda questi cibi, vede in potenza la massa del nostro corpo. Quando infatti sono in me diventano rispettivamente carne e sangue, perché il potere assimilante muta l`alimento nella forma del nostro corpo.
Esaminato così dettagliatamente tutto ciò, riportiamo il pensiero al nostro argomento. Ci si chiedeva dunque come il corpo di Cristo, che è in lui, possa vivificare la natura di tutti gli uomini che hanno fede, venendo a tutti distribuito e non diminuendo in se stesso. Forse non siamo lontani da una ragione plausibile. Infatti, se la realtà di ogni corpo deriva dall`alimentazione, che consta di cibo e bevanda, e il cibo è pane, la bevanda acqua unita al vino; se poi, come abbiamo detto sopra, il Logos di Dio, che è Dio e Logos, si unì alla natura umana, e venendo nel nostro corpo, non innovò la realtà di tale natura umana, ma diede al suo corpo la possibilità di permanere in vita per mezzo di ciò che è consueto e adatto, dominandone cioè la sussistenza, per mezzo del cibo e della bevanda; se quel cibo era pane; se come in noi - l`abbiamo già detto ripetutamente - chi vede il pane vede in un certo senso il corpo umano, perché il pane in esso entrato in esso si trasforma; così anche nel nostro caso: il corpo ricettacolo di Dio, preso il pane in nutrimento, era in un certo senso lo stesso che il pane, perché il nutrimento, come abbiamo detto, si tramuta nella natura del corpo.
Ciò che è proprio di tutti i corpi umani si verificava anche in quella carne: quel Corpo cioè veniva sostentato dal pane; ma quel Corpo, per l`inabitazione del Logos di Dio, si era trasmutato in dignità divina: giustamente credo, dunque, che anche ora il pane santificato dal Logos (Parola) di Dio si tramuta nel Logos di Dio; anche quel Corpo, infatti, era in potenza pane; fu santificato dall`abitazione del Logos che si attendò nella carne. Come il pane, trasformato in quel Corpo, si mutò in potenza divina, così anche ora diventa la stessa realtà. Allora la grazia del Logos rese santo il corpo la cui sussistenza dipendeva dal pane e in un certo senso era anch`esso pane; allo stesso modo ora il pane, come dice l`Apostolo (cf. 1Tm 4,5), santificato dal Logos di Dio e dalla preghiera, diviene corpo del Logos, non lentamente, come fanno cibo e bevanda, ma immediatamente come disse il Logos stesso: Questo è il mio corpo (Mt 26,26).
Ogni corpo si ciba anche di liquido: senza il suo apporto, infatti, l`elemento terrestre che è in noi, non resterebbe in vita. Come sostentiamo la parte solida del nostro corpo con il cibo solido e duro, così all`elemento liquido del nostro corpo aggiungiamo qualcosa della sua stessa natura. Quando questo liquido è in noi, per la funzione assimilatrice, si tramuta in sangue, soprattutto se dal vino ha ricevuto la forza di mutarsi in calore. Dunque, anche questo elemento accolse nella sua struttura quella carne ricettacolo di Dio, ed è chiaro che il Logos unì se stesso alla caduca natura degli uomini affinché per la partecipazione alla divinità ciò che è umano fosse anch`esso divinizzato; per questo motivo egli, per disegno della sua grazia, per mezzo della carne la cui sussistenza proviene dal pane e dal vino, quasi seminò se stesso in tutti i credenti, unendosi ai loro corpi, affinché per l`unione con ciò che è immortale anche l`uomo diventasse partecipe dell`incorruttibilità. Questo egli dona per la potenza della benedizione che tramuta in ciò la natura degli elementi visibili.

Liturgia della cena nella Chiesa antica

Ordinamento ecclesiastico di Ippolito, 31,3-4; 46,8-11

I diaconi recano le offerte sacrificali, sulle quali il vescovo, insieme col presbiterio, pone le mani. Poi il rendimento di grazie, all`inizio alternato con la comunità:
«Il Signore sia con voi!».
«E con il tuo spirito!».
«In alto i cuori».
«Li abbiamo rivolti al Signore».
«Rendiamo grazie al Signore».
«E` giusto e retto».
«Ti ringraziamo, o Dio, per mezzo del tuo servo amato Gesù Cristo, che negli ultimi tempi tu ci hai mandato quale salvatore, redentore e nunzio del tuo volere: il Verbo divino da te inseparabile, per mezzo del quale tu hai fatto tutto e in cui hai trovato le tue compiacenze. Lo hai mandato dal cielo nel seno di una vergine e nel di lei corpo assunse carne e dimostrò di essere tuo Figlio con la sua nascita di Spirito Santo dalla vergine. Per adempiere la tua volontà e prepararti un popolo santo, stese le mani, perché soffrì per liberare dai dolori coloro che hanno confidato in lui. Liberamente si abbandonò agli strazi per affiggere in croce la morte, spezzare i lacci del diavolo, calpestare l`ade, illuminare i giusti. Per annunciare la risurrezione, prese il pane, ti ringraziò e disse: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che per voi viene spezzato". Similmente anche il calice, con le parole: "Questo è il mio sangue, che per voi viene versato. Quando fate questo, attuate il mio ricordo". Pensando dunque alla sua morte e alla sua risurrezione, noi offriamo a te il pane e il vino, e insieme ti ringraziamo che ci hai fatti degni di stare davanti a te e compiere per te il servizio sacerdotale. E ti preghiamo che tu mandi il tuo Santo Spirito sulle offerte sacrificali della santa Chiesa rendendola unita. Concedi a tutti quelli che partecipano alle tue sante cose di essere riempiti di Spirito Santo, a rafforzamento della fede nella verità, affinché ci sia dato di lodarti e glorificarti per mezzo del tuo servo Gesù Cristo; per mezzo suo a te gloria e onore, al Padre e al Figlio con lo Spirito Santo nella tua santa Chiesa, ora e per tutta l`eternità. Amen».
A questo momento con tutto il popolo possono pregare anche i neobattezzati che prima non potevano farlo con i fedeli, prima cioè di aver ottenuto tutto. E dopo che hanno pregato, possono dare con la bocca il bacio di pace. Poi dai diaconi vengano portati i doni al vescovo, ed egli renda grazie sul pane, simbolo - come dicono i greci per la somiglianza - del corpo di Cristo, e sopra il calice con vino e acqua, simbolo - come dicono i greci per la straordinaria somiglianza - del sangue, versato per tutti quelli che in lui hanno creduto; e anche sul latte misto a miele in compimento delle promesse venute dal Padre, che parlano di una terra dove scorre latte e miele, che Cristo ha dato come sua carne, e con cui i fedeli vengono nutriti quali fanciulli, mentre con la dolcezza delle opere raddolciscono l`amarezza del cuore. L`acqua nel sacrificio simboleggia il battesimo perché l`uomo interiore, sostanza animata, riceve quello che riceve il corpo. Su tutto questo il vescovo deve istruire i comunicandi.
Mentre spezza il pane, porge i singoli pezzetti dicendo: «Pane celeste in Cristo Gesù». Il comunicando invece risponde: «Amen». Se non vi sono presbiteri a sufficienza, anche i diaconi possono reggere, con venerazione e santo timore, i calici; il primo regge l`acqua, il secondo il latte, il terzo il vino. E i comunicandi possono gustare dei singoli doni, mentre il ministro dice tre volte: «In Dio, Padre onnipotente» - e il comunicando risponde: «Amen» - «e nel Signore Gesù Cristo e nello Spirito Santo e la santa Chiesa». E il comunicando dice: «Amen».

LA MANIFESTAZIONE DELLA PRESENZA DI GESU'


di David Wilkerson 1 7 Aprile 1989.


Chiedete a qualsiasi cristiano: "Ami Gesù?" e vi risponderà: "Assolutamente sì!". Ma le parole da sole non valgono a niente alla luce della Parola di Dio, perché Gesù stesso ha dichiarato che solo due cose possono provare il nostro amore per Lui. Se non hai queste due prove nella tua vita, allora il tuo amore per Gesù è solo a parole - non a fatti ed in verità. Queste due prove sono:

(1) la tua obbedienza a tutti i comandamenti di Gesù e

(2) una manifestazione della Sua presenza nella tua vita.
C'è un verso che recita così: "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, è uno che mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio; e io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Giovanni 14:21). "Manifestare" qui significa "splendere o irrompere" -- in altre parole, diventare uno strumento o un canale che irradia la presenza di Cristo.
La chiesa prega spesso: "O Signore! Rivelaci la Tua presenza. Vieni fra di noi -- scendi su noi -- muoviti nel nostro mezzo. Rivelati!". Ma la presenza di Dio non scende, non cade improvvisamente sorprendendo e riempiendo la congregazione. Sembriamo credere che la presenza di Dio sia un fumo invisibile che Dio spruzza nell'atmosfera, come la nuvola di gloria del Vecchio Testamento che riempiva così tanto il tempio che i sacerdoti non potevano ministrare.
Dimentichiamo che in questi giorni i nostri corpi sono il tempio di Dio, e che se la Sua gloria appare deve farlo nei nostri corpi e nei nostri cuori. Cristo non abita in costruzioni o in certe atmosfere particolari; tanto è vero che i cieli dei cieli non possono contenerlo. Egli si manifesta piuttosto attraverso i nostri corpi santificati ed obbedienti -- il Suo tempio: "Voi siete il tempio del Dio vivente, come Dio disse: Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (2 Corinzi 6:16). "Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi?" (1 Corinzi 6:19).
Ma perché nelle nostre chiese c'è così poca presenza di Gesù? Perché molte congregazioni sono morte? Perché o il pastore o le persone -- ma può darsi entrambi -- sono morti! Sperimentare la presenza di Gesù in una chiesa non è un problema corporale ma piuttosto individuale. E' vero che un pastore spiritualmente morto può contagiare la congregazione. Ma è altresì vero che ogni membro è un tempio ed è personalmente responsabile di obbedire a Dio ed essere disponibile come strumento della Sua presenza. La tua chiesa può essere morta ma tu puoi essere pieno della presenza di Cristo.
Recentemente quattro adolescenti mi hanno detto: "L'anno scorso hai predicato nella nostra chiesa ed era morta. Perciò noi quattro abbiamo iniziato delle riunioni di preghiera solo per noi. Volevamo metterci a posto con Dio, volevamo pentirci ed essere ripieni di Gesù. Il nostro gruppo pian piano è aumentato a dieci e abbiamo aiutato altri compagni a trovare la salvezza. Ora stiamo invitando il pastore e gli anziani a pregare con noi. Vediamo che la chiesa è cambiata. Adesso c'è il Signore!".
Un vero risveglio, per come la vedo io, è un ripristino di un immenso amore che abbiamo per Gesù. Questo amore è contrassegnato da un nuovo desiderio di ubbidire ad ogni Sua parola, un'attitudine del cuore che dice: "Qualsiasi cosa mi dirà, la farò". Inoltre un risveglio è un ritorno ad un amore obbediente da parte di un popolo che confessa ed abbandona individualmente i propri peccati, con l'unico desiderio di divenire canali della presenza di Cristo. Il risveglio è incarnato in queste persone. Esse portano con sé la gloria e la presenza di Cristo perché la Sua vita scorre sempre in loro.
Pastori di grandi chiese mi hanno detto: "Devi venire a vedere cosa sta facendo Dio. Stanno venendo migliaia di persone -- siamo stretti come sardine! La nostra adorazione è qualcosa di spettacolare!".
Sono andato in alcune di queste chiese con grandi aspettative, ma in queste riunioni di massa di rado ho sentito la vera presenza di Gesù. Nelle congregazioni non si vede un vero pentimento. Credo che se un profeta si alzasse e smascherasse tutti i divorzi, gli adulteri, le fornicazioni ed i compromessi che esistono in queste chiese, se ne andrebbe via mezza chiesa.
Si stanno divertendo -- in una chiesa, un leader invitò 50 persone ad una riunione di preghiera nella quale, invece, presentò loro buoni motivi per diventare membri di quella chiesa, "affinché vediate la risposta alle vostre preghiere". In quella congregazione, non c'erano strumenti o canali della presenza di Dio. Le cosiddette lodi e adorazioni erano solo dei rumori, e sapevo che non sarebbe passato molto tempo prima che la folla si fosse stancata di tutto quel divertimento. Dove non c'è la presenza di Cristo, il popolo cerca solo emozioni.
Me ne esco da queste riunioni sapendo nel mio cuore che in mezzo a loro Gesù non c'è. E' chiaro che non vivono obbedendo a Lui -- perciò non possono amarlo veramente. Gesù non si manifesterà a chi dice di amarlo ma non gli ubbidisce. Dovunque troverai la presenza di Gesù, troverai anche almeno quattro manifestazioni nel Suo popolo.
1. Una Profonda Convinzione Di Peccato
Dovunque ci siano dei vasi che contengano la presenza di Gesù, dovunque la Sua presenza sgorghi da cuori obbedienti, la persona che continua a coltivare il peccato nella sua vita farà due cose: o cadrà a terra confessando i suoi peccati o scapperà e andrà a nascondersi!
Verrà il giorno in cui Gesù si rivelerà ai malvagi e la gente griderà ai monti e alle rocce di cadergli addosso e di nasconderli dalla Sua meravigliosa presenza. "Si nascosero nelle spelonche e fra le rocce dei monti, e dicevano ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello" (Apocalisse 6:15-16).
Un martedì sera, durante un servizio di culto qui a Times Square, fui talmente invaso che la presenza di Gesù divenne manifesta fra gli adoratori che Lo stavano aspettando. Gente venne all'altare, alcuni piangevano. Il timore di Dio che si respirava in quel luogo era meraviglioso. Mi sentivo come Isaia che diceva: "Guai a me! Perché sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo ad un popolo dalle labbra impure!" (Isaia 6:5).
In questa chiesa predichiamo spesso contro il peccato e molti potranno dire: "Ho lasciato le redini allo Spirito Santo, perché voglio che mi mostri tutto ciò che in me non è simile a Gesù". Eppure mi rendo conto di non essere arrivato, di essere lontano dalla Sua gloria. La predicazione da sola non basta a portarci quell'odio per il peccato di cui abbiamo tanto bisogno in questi ultimi giorni. Abbiamo bisogno di qualcosa di più profondo, una manifestazione toccante della presenza di Dio Impariamo ad odiare il peccato e a camminare nel timore di Dio solo quando siamo nella Sua santa presenza.
Ho sentito alcuni cristiani vantarsi: "Nel giorno del giudizio non dovrò cadere in ginocchio. Rimarrò lì baldanzoso, perché confido nella Sua salvezza e non nelle mie opere!". E' vero che non siamo salvati per mezzo delle opere, ma se non ubbidiamo ai comandamenti di Cristo non lo ameremo veramente ed Egli non potrà rivelarsi a noi (Giovanni 14:21).
L'apostolo Giovanni, nostro "fratello e compagno nell'afflizione" (Apocalisse 1:9), proprio quello che poggiava il capo sul petto di Gesù, vide Cristo in gloria. Giovanni testimoniò: "Mi voltai per vedere la voce che aveva parlato con me. E vidi... i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco.. la sua voce era come il fragore di molte acque... il suo aspetto era come il sole che risplende nella sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendomi: Non temere!" (Apocalisse 1:12-17).
Potresti essere come Giovanni, un fratello o una sorella santa nel cospetto del Signore -- un servo che ha sopportato molte tribolazioni -- ma chi di noi potrà resistere davanti ad una Presenza che splende come il sole in tutta la sua forza? Guardare quella gloria sarà come guardare il sole senza occhiali scuri. Sarà Lui a darci forza in quel giorno -- ci toccherà e ci dirà di non aver timore. "Or a colui che può salvaguardarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria irreprensibili e con grande gioia" (Giuda 24).
La presenza di Gesù ha il potere di distruggere e di allontanare il peccato! "Dio si levi e siano dispersi i suoi nemici, e quelli che l'odiano fuggano davanti a lui. Tu li disperderai come si dilegua il fumo; come la cera si scioglie davanti al fuoco, così periranno gli empi davanti a Dio" (Salmo 68:1-2).
Questa è un'immagine di quello che dovrebbe accadere quando ti metti in comunione con Dio nella tua stanzetta. La Sua meravigliosa presenza è come un uragano che spazza via ogni sporcizia ed ogni lussuria; come un fuoco consumante che scioglie ogni durezza. La malvagità scompare davanti alla Sua presenza.
"I monti si sciolgono come cera davanti all'Eterno" (Salmo 97:5). I monti in questo salmo rappresentano le fortezze demoniache e le montagne della testardaggine, cose che si scioglieranno quando ci troveremo davanti alla presenza di Dio. Potremo pregare fino all'esaurimento: "O Dio, manda la tua potenza che distrugga il peccato nelle nostre chiese!". Ma non combineremo niente se lo Spirito non fa sorgere nelle nostre chiese un residuo che, col cuore puro, invita la Sua presenza nel santuario.
Non sentiremo la vera presenza di Gesù fin quando dentro di noi non ci sarà un vero odio per il peccato -- una profonda convinzione dei nostri sbagli e un profondo senso di peccato. Quelli che non hanno la presenza di Cristo in loro non sono convinti dei loro peccati. Più si allontanano dalla Sua presenza, più diventano arroganti e a loro agio nel compromesso. Non ci basta solo mangiare e bere nella Sua presenza; dobbiamo essere cambiati e purificati dal contatto con Lui. "Allora comincerete a dire: Noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dirà: Io vi dico che non so da dove venite; via da me voi tutti operatori d'iniquità" (Luca 13:26-27).
Coloro che confessano di aver mangiato e bevuto in Sua presenza, diranno veramente: "Noi siamo stati alla tua presenza. Noi abbiamo ascoltato i tuoi insegnamenti". Queste persone saranno giudicate dalle loro stesse parole, perché ammetteranno di essersi sedute alla Sua presenza -- ma non sono state trasformate. Sono rimaste cieche, e hanno indurito i loro cuori alla presenza di Cristo. Gesù risponderà loro: "Io non vi conosco. Andate via da me!".
Quanto è pericoloso sedersi fra i santi di Dio che irradiano la Sua gloria e la Sua presenza, in quel luogo in cui Gesù rivela la Sua persona, e non essere trasformati! Quanto è triste non vedere la propria condizione, il proprio peccato! Ti azzarderai a dire al Signore: "Ho frequentato una chiesa in cui la Tua presenza era reale -- mi sono seduto nella tua presenza"? Sarebbe stato meglio per te non aver mai conosciuto la Sua presenza.
2. Uno Spirito Di Santità
"Riguardo a suo Figlio, nato dal seme di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio in potenza, secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti: Gesù Cristo nostro Signore" (Romani 1:3-4). La vera santità porta uno spirito che opera. Dovunque vedrai all'opera la presenza di Gesù nel Suo popolo, scoprirai in quel popolo ubbidienza, separazione dal mondo, astinenza dalle cose impure. Troverai uno spirito di ubbidienza.
Per queste persone, l'ubbidienza non è solo fare le cose giuste ed evitare quelle sbagliate. Il credente che vuole piacere al Signore ha uno spirito che lo attira automaticamente alla luce. "Infatti chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano riprovate; ma chi pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio" (Giovanni 3:20-21).
Una persona santa non ha timore della luce della presenza di Dio. Piuttosto invita quella luce chiarificante, poiché in lui uno spirito di santità grida: "Voglio che spariscano tutte le cose nascoste! Voglio essere il più possibile come Gesù!". Questo servo cerca la luce e quando essa gli appare, la luce della presenza di Cristo diventa pura gloria per lui.
Quelli che nascondono il peccato possiedono uno spirito di deviazione. Questo spirito odia qualunque messaggio di pentimento e grida: "Grazia!" per coprire la corruzione nascosta. Quando si manifesta la presenza di Gesù, viene portato alla luce ogni peccato nascosto. Il popolo di Dio abbandona ogni ombra e diventa un libro aperto "letto da tutti gli uomini" (2 Corinzi 3:2).
Centinaia di persone sono venute qui a Times Square, si sono sedute alla presenza del Signore ma poi non sono più tornate. Se ne sono andate via dicendo: "Questi predicatori sono troppo duri, troppo rigidi, troppo legalisti. Mi fanno sentire come non mi sono mai sentito!". Per la verità, molti di questi uditori stanno coltivando un peccato nascosto che sanno verrà a galla se solo si avvicinano alla luce. Il problema non sta in questa chiesa o nel nostro messaggio. Il problema è nel loro desiderio di rimanere al buio, sapendo di potervi nascondere bene i peccati.
Ascoltate il linguaggio dello Spirito di santità, le motivazioni dello spirito: "Osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le cose che gli sono gradite" (1 Giovanni 3:22). Nella traduzione greca, queste parole sono molto forti: "Osserviamo i suoi comandamenti, lo facciamo con molto vigore, perché sappiamo che a Lui piace così!".
Credo che loro spirito di santità operi in questo modo nelle chiese in cui si manifesta la presenza di Gesù. Prima di tutto, i fratelli e le sorelle vengono in chiesa con un sorriso vittorioso stampato sul volto. Testimoniano: "Sono stato cambiato! Il Signore ha messo nel mio cuore il desiderio di ubbidire e di camminare in modo irreprensibile davanti alla Sua presenza". E mentre testimoniano queste cose, lo spirito gioisce: "Grazie a Dio, un altro servo sta compiacendo il Maestro! Il mio fratello e la mia sorella stanno facendo gioire il cielo!".
La tua gioia va oltre la libertà che puoi godere oggi, va oltre la liberazione dalle forze del diavolo. Questo perché, più di ogni altra cosa, stiamo diventando un corpo che impara a piacere al Capo. Non obbediamo perché è nostro dovere farlo, ma perché in noi risiede uno spirito di ubbidienza. Gioiamo della gioia di Cristo, siamo contenti perché il Suo cuore è felice! Questa è santità.
3. Condividere Il Peso Del Signore
Ogni peso che il Signore mi ha dato da portare è scaturito da un incontro profondo e trasformante con la presenza di Gesù. Trentuno anni fa lo Spirito di Dio venne a me con uno spirito di pianto. Mi decisi a vendere la televisione, che dominava il mio tempo libero, e per un anno mi rinchiusi in preghiera con il Signore. Spesi mesi pregando nel mio studio e nelle foreste. E mentre mi trovavo nella Sua presenza, Egli mi aprì il Suo cuore e mi mostrò un mondo sofferente. Da tutto questo nacque il comando: "Vai a New York". Ho obbedito, e mentre camminavo per le strade di questa città Egli ha condiviso con me il Suo peso per le bande, per i drogati e per gli alcolizzati.
Circa cinque anni fa, Dio mi ha chiamato ad una vita più in comunione con Lui. Ho speso mesi con Gesù, sono stato purificato, ho lasciato tutte le mie ambizioni, e volevo solo piacergli. Di nuovo ricevetti il comando: "Ritorna a New York". Il nostro ministero si muove solo attraverso la preghiera e con la Sua presenza. Il peso che abbiamo deve essere il Suo peso, altrimenti non ha valore.
Quando avevo otto anni, si facevano spesso i campeggi. A quel tempo non erano molto attrezzati come adesso; tutto quello che le chiese potevano permettersi erano tende e minuscole cabine. Io e Gwen di solito ne frequentavamo uno che si chiamava "LIVING WATER CAMP" e si trovava a Cherry Tree, in Pennsylvania. Venivano a quel campeggio persone piene della presenza di Dio. Non avevamo la TV, e nessuno si azzardava nemmeno a pensare di andare a teatro; Gesù era il nostro tutto!
Le riunioni duravano quasi tutta la notte. E proprio in quelle riunioni la presenza di Gesù era così forte che tutti correvamo all'altare. Mi ricordo che ero inginocchiato sulla paglia e, mentre mi trovavo alla presenza di Dio, Egli divenne la mia vita. Proprio lì Egli mi disse: "Dammi la tua vita!". Dubito che sarei potuto essere oggi nel ministero senza quei cari che venivano ai campeggi così pieni di Gesù. Manifestavano la Sua gloria. Rimasi per ore a piangere e tremare davanti all'altare e quando mi rialzai -- avevo solo otto anni -- la mano di Dio era sulla mia vita e il Suo peso nella mia anima.
Nessuno condivise il peso del Signore più dell'apostolo Paolo. Gesù mise sulle sue spalle il giogo del Suo cuore. Ma Paolo come ricevette quel peso? Da un incontro con la luce solare della presenza di Cristo! "All'improvviso una luce gli sfolgorò d'intorno ed egli cadde a terra" (Atti 9:3-4). Questa era la presenza reale di Gesù.
Il ministero di Paolo nacque da quell'incontro. Notate che subito dopo venne il comando: "Alzati e vai" (verso 6)! Quando abbiamo la vera presenza di Gesù, non abbiamo bisogno di comitati, strategie o seminari che ci indichino la direzione. Lo Spirito Santo viene e dice: "Vai qui... vai lì... fai questo". Sarà Lui a dirti quando, dove e come!
Puoi sentire due ministri, entrambi sinceri, predicare lo stesso messaggio. La dottrina di entrambi potrebbe essere giusta, e entrambi potranno predicare con la stessa enfasi. Eppure le parole di uno cadono su orecchie morte e non portano alcun risultato, mentre le parole dell'altro compungono i cuori come una spada. Questo perché il secondo predicatore condivide e rivela il peso del Signore, perché è stato in comunione con Lui e parla dal Suo cuore. La presenza del Signore porta convinzione e vita.
Mostratemi un predicatore che è in comunione con il Signore, che aspetta la Sua presenza, e vi mostrerò colui che conosce perfettamente la mente di Cristo. Se fa un passo sbagliato, è il Signore che lo riporta sulla retta via. Mostratemi una chiesa che ubbidisce alla Parola di Dio e che manifesta la Sua presenza, e vi mostrerò un corpo che ascolta la voce di Dio, che conosce il Suo peso e che fa solo ciò che a Lui piace. Un simile corpo, nonostante possa sentire migliaia di voci che promuovono buone cause, non si sposterà fin quando non Lo vorrà il Maestro. Questa chiesa non promuoverà alcuna causa se non vi è la Presenza di Dio.
4. Una Gioia Grande Ed Esuberante!
"Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita, tu mi riempirai di gioia alla tua presenza" (Atti 2:28).
Ti sei mai chiesto come si comportava Gesù ogni giorno, com'era il Suo cuore e la Sua attitudine? Era forse oppresso da tutti i pesi che portava? Piangeva tanto? C'era una pesantezza attorno a Lui?
Lui ha pianto, ha portato pesi pesanti. Nel Gethsemane ha sudato gocce di sangue, e in altre occasioni ha sospirato per la condizione di chi non credeva. Ma la Parola di Dio ci dice chiaramente che Gesù era pieno di gioia e di felicità.
"Infatti Davide dice di lui: Io ho avuto del continuo il Signore davanti a me, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso. Per questo si è rallegrato il cuore mio e ha giubilato la mia lingua, e anche la mia carne dimorerà nella speranza.. Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita, tu mi riempirai di gioia alla tua presenza" (Atti 2:25-28). Parlando davanti al Sinedrio, Pietro citò una profezia del salmo 16. Era una visione di Cristo, che avrebbe gioito, che avrebbe avuto una lingua giubilante e avrebbe avuto del continuo la gioia della presenza del Padre.
Dobbiamo gioire, dobbiamo essere gioiosi e pieni di felicità per lo stesso motivo per cui Gesù era contento. La prima ragione per cui era felice era che sapeva che la morte non avrebbe potuto conquistarlo. E così è per noi! Sapere questo distrugge la dottrina malvagia che dice che Gesù è stato messo nelle mani del diavolo e ha dovuto combattere per uscire dall'inferno. Gesù sapeva che la morte non avrebbe potuto trattenerlo -- e anche noi dobbiamo avere questa certezza.
Secondo poi, il Signore è alla nostra destra in tutte le nostre difficoltà. Possiamo riposare con fiducia e aspettativa, perché sappiamo che è al nostro fianco in ogni momento.
Terzo, "tu non lascerai l'anima mia nell'Ades [la morte]". Sorgeremo a nuova vita in un corpo nuovo, in un mondo nuovo.
E per ultimo, la Sua presenza ci inonda di gioia! Come non potremo gridare ed essere felici perché siamo stati liberati dall'inferno, perché ci è stata promessa la vita eterna, perché ci ha promesso la Sua presenza in tutte le nostre difficoltà sulla terra e ci ha assicurato di andare sempre avanti a noi?
A volte dobbiamo stare in silenzio e riconoscere che Lui è Dio. A volte lo Spirito ci fa cantare canzoni d'amore per Gesù. Ma nella Parola di Dio, quando otteneva vittoria sul nemico, il popolo gridava ad alta voce le lodi per il Signore. Il settimo giorno che Israele marciava intorno a Gerico, Dio diede questo comando: "Tutto il popolo darà un grande grido; allora le mura della città crolleranno sprofondando" (Giosuè 6:5). "E il popolo lanciò un grande grido, e le mura crollarono sprofondando" (verso 20).
In Esdra scopriamo che ci fu un altro grido quando si gettarono le fondamenta del tempio. "Quando i costruttori gettarono le fondamenta del tempio dell'Eterno.. cantavano, celebrando e lodando l'Eterno... Tutto il popolo mandava alte grida di gioia, lodando l'Eterno perché erano state gettate le fondamenta della casa dell'Eterno" (Esdra 3:10-11,13). La parola ebraica usata qui per "grida" significa "spaccare le orecchie". Il pianto degli israeliti era così gioioso e le lodi erano così acute che spaccavano le orecchie! Alcune persone non sopportano le grida e il rumore nelle chiese. Ma sentite questo: "Perché il Signore stesso scenderà dal cielo con un grido" (1 Tessalonicesi 4:16).
Dio vuole che conosciamo la Sua Parola su questo argomento. I salmi ci comandano di dare grida di gioia al Signore. "Grida" in ebraico è sinonimo di tuono, fuoco, scintille. "Mandate grida di gioia all'Eterno voi tutti abitanti della terra" (Salmo 66:1). "Cantate al Signore con tutta le forza: mandate grida di gioia al Dio di Giacobbe" (Salmo 81:1). "Mandate grida di gioia all'Eterno, voi tutta la terra: prorompete in canti di gioia, rallegratevi e cantate lodi... con trombe e il suono del corno davanti all'Eterno, il Re... I fiumi battano le mani e i monti esultino insieme di gioia davanti all'Eterno" (Salmo 98:4,6,8).
Il popolo di Dio prova una grande gioia quando viene rivelata la presenza di Gesù. Se non gridiamo nella Sua presenza, gli alberi lo faranno per noi! Qui nella nostra chiesa cantiamo: "Alzate le mani, non abbiate paura, cantate fin quando la potenza del Signore non scenda! Quella potenza è la Sua presenza!".

LA RESURREZIONE PER LA CARNE EIL SANGUE DI CRISTO

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5,2,2-3

Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l`economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c`è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell`uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l`Apostolo: Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue (Col 1,14). E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi.
Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio, e si compie così l`eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa (Ef 5,30). Non parla di un corpo invisibile e spirituale - uno spirito infatti non ha né ossa né carne (Lc 24,39) -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa, e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.
Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene - vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell`uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l`eucaristia che è il corpo e il sangue di Cristo -, allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell`eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell`immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l`incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l`uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l`uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti così da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?