martedì 4 dicembre 2007

VEGLIATE (Marco 13, 33-37 )

State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!

“Vegliate!” Questa è la parola chiave nel breve brano dell’evangelo di Marco che la Chiesa riserva per la liturgia dell’ Avvento. Vegliare, stare attenti, aspettare il padrone di casa che deve ritornare, non addormentarsi. E’ questo che viene richiesto da Gesù al cristiano. Questi quattro versi del vangelo di San Marco fanno parte del discorso escatologico del capitolo tredici. Questo capitolo ci parla della rovina del Tempio e della città di Gerusalemme. Gesù prende spunto da una osservazione che gli fa un discepolo: “Maestro, guarda che pietre e che costruzione!” (Mc 13, 1). Gesù, perciò, chiarisce le idee: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta” (Mc 13, 2). Il Tempio, segno tangibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo eletto, Gerusalemme “la città salda e compatta” dove “salgono insieme le tribù del Signore, per lodare il nome del Signore” (Sal 122, 4), tutto questo, segno sicuro della promessa fatta a Davide, segno dell’alleanza, tutto questo andrà in rovina…è solo un segno di qualcosa altro che verrà in futuro. I discepoli incuriositi chiedono al Signore seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio: “Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose stanno per compiersi?” (Mc 13, 4). A questa domanda, rifacendosi allo stile apocalittico giudaico ispirato dal profeta Daniele, Gesù si limita solo ad annunciare i segni premonitori (falsi cristi e falsi profeti che con inganno annunzieranno la venuta imminente del tempo, persecuzioni, segni nelle potenze del cielo. cf.: Mc 13, 5-32), “quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mc 13, 32).
Da questo si capisce l’importanza dell’attesa vigilante e attenta ai segni dei tempi che ci aiutano ad accogliere la venuta del “padrone di casa” (Mc 13, 35). Quando verrà lui, tutto sparirà, “il potere dei servi” (Mc 13, 34) anche i segni che ci aiutano a ricordarci della sua benevolenza (tempio, Gerusalemme, casa). I “servi” e “il portiere” (Mc 13, 34) all’arrivo del padrone non badano più ai segni, ma si compiacciono nel padrone stesso: “Ecco lo Sposo andategli incontro” (Mt 25, 6 + Mc 2, 19-20).
Gesù spesso chiedeva ai suoi di vegliare. Nell’orto degli Ulivi, il giovedì sera, prima della passione, il Signore dice a Pietro, Giacomo e Giovanni: “restate qui e vegliate con me” (Mc 14, 34; Mt 26, 38) La veglia ci aiuta a non cadere in tentazione (Mt 26, 41) ma a rimanere svegli. Nell’orto degli ulivi i discepoli dormono perché la carne è debole anche se lo spirito è pronto (Mc 14, 38). Chi si addormenta va in rovina, come Sansone che si era lasciato farsi addormentare, perdendo così la sua forza, dono del Signore (Gdc 16, 19). Bisogna sempre stare svegli e non addormentarsi, ma vegliare e pregare per non essere ingannati, avviandosi così alla propria perdizione (Mc 13, 22 + Gv 1, 6). Perciò “svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti, e Cristo ti illuminerà” (Ef 5, 14).

ATTENDERE E' PREGARE

di Jean Debruynne

Dio,tu hai scelto di farti attenderetutto il tempo di un Avvento.
Io non amo attendere.
Non amo attendere nelle file.
Non amo attendere il mio turno. Non amo attendere il treno.
Non amo attendere prima di giudicare.
Non amo attendere il momento opportuno.
Non amo attendere un giorno ancora.
Non amo attendere perché non ho tempo e non vivo che nell’istante.
D’altronde tu lo sai bene,tutto è fatto per evitarmi l’attesa:
gli abbonamenti ai mezzi di trasportoe i self-service,
le vendite a creditoe i distributori automatici,
le foto a sviluppo istantaneo,
i telex e i terminali dei computer,
la televisione e i radiogiornali…
Non ho bisogno di attendere le notizie: sono loro a precedermi.
Ma tu Dio tu hai scelto di farti attendere
il tempo di tutto un Avvento.
Perché tu hai fatto dell’attesa lo spazio della conversione,
il faccia a faccia con ciò che è nascosto,
l’usura che non si usura.
L’attesa, soltanto l’attesa,l’attesa dell’attesa,
l’intimità con l’attesa che è in noi
perché solo l’attesa desta l’attenzione
e solo l’attenzione è capace di amare.
Tu sei già dato nell’attesa,e per te,
Dio,attendere,si coniuga come pregare.


FERMIAMOCI IN ATTESA


di Corrado Androetto

Ti è mai capitato di sentirti atteso da qualcuno? Sentire di valere perché qualcuno è impaziente per te? L’Avvento richiama la coda nel negozio per l’ultimo regalo, l’attesa delle vacanze. Ma non è solo questo. Pensare che uno dei periodi più frenetici dell’anno sia fatto per potersi fermare ad «attendere», suona infatti ironico. Eppure, come il sentirmi atteso mi fa percepire che valgo, così attendere qualcosa ne aumenta il valore.
Da bambini si guarda il presepe con stupore e si vorrebbe toccare ogni personaggio; da adolescenti si entra nella fase «non mi piace il presepe» o nell’indifferenza; di questo passo da adulti ci si ritroverà con il vecchio albero e uno pseudo presepe. Bella prospettiva! A meno che da giovani non si riscopra la meraviglia dei piccoli, il senso di una tradizione significativa, tanto che facendo il presepe ci si renda conto che è il presepe a "farci". Come? La risposta sta nella vita di ogni giorno, nel nostro corpo e soprattutto nel nostro cuore. Insomma Gesù è nato duemila anni fa ed è capitato ad altri il grande dono di trovarsi dalle parti di Betlemme; oggi Gesù si manifesta in chi ci circonda perché accada a tanti e sta ciascuno riconoscerlo in noi. Allora il nostro corpo sia il presepe vivente quotidiano, nei luoghi dove siamo chiamati a vivere da cristiani. Le nostre gambe siano quelle degli animali, come instancabili pellegrini alla ricerca della Verità. Il nostro ventre sia come quello di Maria che ha accolto Gesù, mentre noi possiamo farlo nell’Eucaristia. Le nostre braccia siano quelle di Giuseppe, "abbracciando" ogni giorno i fratelli: in famiglia, nel lavoro, nello studio. La nostra bocca e la nostra voce siano quelle degli angeli per dire con coraggio la Parola, testimoniare la speranza e gridare contro le ingiustizie. Le nostre orecchie e i nostri occhi siano quelle dei pastori che hanno udito il canto degli angeli e visto il Bambino; con tutti i nostri sensi possiamo essere testimoni di questo incontro. La nostra intelligenza sia quella dei Magi che si sono affidati e messi in cammino; un’intelligenza "in movimento" che operi per il raggiungimento del bene comune, aperta al mistero e all’Altro. Il nostro cuore sia la mangiatoia che ha accolto l’Eterno, perché l’amore non sia un gioco, l’amicizia non sia un’opportunità, i talenti non si svendano. Sì, perché in fondo il presepe siamo noi.

LA PREGHIERA RESPIRO DELL'ANIMA


(di Monsignor Severino Paletto)

1. Gesù Maestro e testimone di preghiera.
La comunione trinitaria è il dono di santità che Dio ci offre attraverso Gesù Cristo e col ministero della Chiesa nei segni sacramentali ed è per questo che viene chiamata “grazia santificante”. Gesù è venuto sulla terra per rivelarci che Dio è nostro Padre e per guidarci a Lui con la luce e la forza dello Spirito Santo.L’orientamento della nostra vita sul mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è possibile se è sostenuto e alimentato dalla preghiera, intesa non solo come richiesta di aiuto, ma anche e soprattutto come "respiro dell’anima". Ci mettiamo perciò alla scuola di Gesù perché è dal suo esempio e dal suo insegnamento che riusciamo a comprendere come sia importante pregare il Padre con la mediazione di Cristo stesso e con la forza del suo Spirito.Fermiamoci a contemplare Gesù per comprendere come Egli ha pregato il Padre nel tempo della sua vita terrena così che il suo esempio diventi per noi scuola di preghiera autentica.La vita di Cristo è stata caratterizzata da un continuo atteggiamento orante nei confronti del Padre: "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5, 7-8). La supplica per essere liberato da morte fu esaudita col dono della risurrezione.Gesù prega il Padre perché lo sente al centro della propria esistenza, come ebbe a dire un giorno ai discepoli: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4, 34). È per questo che Egli sente l’esigenza di stare a lungo in preghiera, passando talvolta anche la notte intera nell’orazione (Cf Lc 6, 12) e cercando un clima di silenzio in luoghi appartati, come ci ricorda l’evangelo di Marco: "Al mattino si alzò quand'era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!»" (Mc 1, 35-38). È chiaro che Gesù non rifugge l’impegno dell’annuncio, ma difende l’esigenza di non ascoltare sempre e comunque le richieste della gente se questo va a scapito del tempo che Egli vuol dedicare alla preghiera. Nei suoi colloqui col Padre Gesù esprime i sentimenti più profondi che nascono dalla sua esperienza quotidiana di vita. La sua quindi è una preghiera:

  • di gioia interiore: "In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto»" (Lc 10, 21);

  • di lode e ringraziamento: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato" (Gv 11, 41-42);

  • di richiesta di aiuto nello smarrimento della passione: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!" (Mt 26, 39);

  • di filiale obbedienza: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà" (Mt 26, 42);

  • di angoscia quando sulla croce sperimenta il silenzio del Padre: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15, 34);

  • di abbandono totale nel momento della sua morte: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23, 46).

L’esempio di Gesù deve suscitare in noi il desiderio di imitarlo, come hanno fatto gli apostoli, i quali rimanevano estasiati nel vedere come e quanto Egli stava in preghiera. San Luca ci ricorda che "Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno»" (Lc 11, 1-2).

2. Che cos’è quindi la preghiera?
La più semplice definizione della preghiera che ci viene dalla tradizione cristiana è questa: "La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio". Quindi pregare è rivolgersi, protendersi con tutto il nostro essere verso Dio. Chi non prega non esce dal suo piccolo mondo e vive ripiegato su se stesso. Pregare è cercare di vivere in comunione con Dio. Chi non prega rimane solo, solo con i suoi problemi e la sua incapacità a risolverli. Chi si abitua a vivere lontano da Dio un po’ per volta si illude di poter vivere bene anche senza di Lui, per cui non pensa più a Dio e finisce col pensare che Egli non esista. Quante persone che hanno perduto la fede devono ammettere che la crisi è cominciata quando hanno smesso di pregare!
Pregare non è anzitutto dire delle cose a Dio, ma fare silenzio davanti a Lui, stare ad ascoltarlo, sentendoci guardati da Lui e godendo di stare a lungo in sua compagnia.
Pregare è lodare, benedire, magnificare e ringraziare Dio. Molto spesso la nostra preghiera si esaurisce nel chiedere qualcosa al Signore e ci dimentichiamo che l’aspetto essenziale della preghiera è il “sacrificio della lode”, cioè la lode ed il ringraziamento al Signore per quanto ci ha donato e ha fatto per noi.
Pregare è aprire il cuore a Dio facendo a Lui le nostre confidenze più intime. È opportuno mettere al corrente Dio di ciò che ci succede, non per informarlo, dal momento che Egli già conosce tutto di noi, ma perché questo esercizio è utile a noi stessi perché ci rende più riflessivi e responsabili di fronte alle vicende della nostra esistenza ed alle scelte che facciamo ogni giorno.
Pregare è consultarsi con Dio, cioè sforzarsi di entrare nel modo di pensare e di vedere le cose come le pensa e le vede Lui.
Pregare è aderire alla volontà di Dio. Si deve pregare per suscitare in noi l’amore per Dio e amare Dio significa fare ciò che Egli desidera. Non dobbiamo con la preghiera pretendere di far cambiare idea a Dio, o di tirarlo dalla nostra parte per imporgli il nostro punto di vista, ma, al contrario, la preghiera deve spingere noi dalla parte di Dio. La preghiera è vera nella misura in cui fa maturare in noi un "sì" a Dio.

Una delle forme più antiche di preghiera è la Lectio divina, cioè una lettura pregata della Parola di Dio contenuta nella Bibbia. È importante ricuperare la preziosità di questa particolare forma di preghiera per riuscire ogni giorno a meditare ed approfondire le Sacre Scritture, scegliendo possibilmente le letture quotidiane della Messa. Il metodo da seguire è quello classico ed è molto semplice: si fa una lettura diligente del testo, cercando di capirne il significato autentico (lectio); segue un congruo tempo di approfondimento meditativo per assimilare il messaggio personale che Dio ci offre (meditatio); si passa quindi a chiedere al Signore un aiuto particolare per vivere quanto ci ha comunicato (oratio); si cerca poi di sostare, per un po’ di tempo, immersi nella presenza di Dio al fine di gustare la gioia e la pace interiore che nasce dalla certezza di sentirci amati da Lui (contemplatio); infine si conclude con un impegno concreto finalizzato a tradurre nei nostri comportamenti quanto il Signore ci ha suggerito.


3. Condizioni perché la preghiera sia autentica.
Affinché la nostra preghiera sia autentica, e quindi gradita a Dio, è necessario che rispecchi lo stile di Gesù e perciò che abbia alcune caratteristiche:

  • Deve essere fondata sulla certezza che Dio ci ama come un Papà, che ha cura dei suoi figli per i quali provvede a tutte le loro necessità (Cf Mt 6, 25-34).

  • Deve nascere dalla fiducia che Dio supera in generosità tutti noi e nella sua risposta sa andare molto al di là di tutte le nostre richieste (Cf Lc 11, 9-13).

  • Deve essere costante, per non dire insistente, anche se sempre aperta a fare ciò che Dio dispone per il nostro bene, che non sempre siamo in grado di capire (Cf Lc 11, 5-8).

  • Deve essere accompagnata da una presa di coscienza della nostra povertà e del nostro peccato.

Chi prega deve assumere un atteggiamento di “genuflessione ontologica” (Lafrance), cioè un atteggiamento continuo di umiltà per riconoscersi peccatori. Chi sa pregare in ginocchio, cioè considerandosi piccolo e peccatore, si esprime così: "Mio Dio, mostrami il tuo volto ed insegnami ad accettare di essere al secondo posto". Pensiamo all’insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano (Cf Lc 18, 9-14).
Bisogna saper pregare da “persone abbandonate” in Dio. Si può dire che la contemplazione è la fede portata fino al punto di unione tale con Dio per cui è possibile vivere la vita di tutti i giorni "come se si vedesse l’Invisibile" (Cf Eb 11, 27). San Giovanni della Croce ci ricorda che "l’anima non va all’orazione per affaticarsi, ma per distendersi". Pregare non è farci venire il mal di testa in uno sforzo nostro di concentrazione, ma è cercare di decentrarsi da se stessi per abbandonarsi in Dio senza preoccuparsi di cosa dire o cosa pensare. In questo senso è utile ricordare che la capacità di essere raccolti non viene da noi o dai nostri sforzi personali, ma dal fascino di Dio.
È necessario inoltre entrare nella preghiera con cuore puro e riconciliato, così come ci viene richiamato dalla Parola di Dio:"Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male" (Is 1, 11.16)."Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Mt 15, 7-8)."Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5, 23-24).
Infine è importante imparare a pregare senza aver paura di Dio. Troppe volte ci dimentichiamo che Dio è Padre, che ci ama e ci accoglie così come siamo, per cui ci accostiamo a Lui più con la paura dei servi che con l’amore confidente dei figli. Ricordiamo questo importante insegnamento di Santa Teresa d’Avila: "Nulla ti turbi, nulla ti sgomenti. Tutto passa, Dio non muta. La pazienza tutto vince. A chi ha Dio nulla manca. Dio solo basta!".

VEGLIATE e VIGILATE!


di Pd. Raniero Cantalamessa

"Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà...State pronti, perché nell'ora che non immaginate il Figlio dell'uomo verrà!". Ci si chiede a volte perché Dio ci nasconde una cosa così importante com'è l'ora della sua venuta, che per ognuno di noi, singolarmente preso, coincide con l'ora della morte. La risposta tradizionale è: "Perché fossimo vigilanti, ritenendo ognuno che il fatto può accadere ai suoi giorni" (S. Efrem Siro).
Ma il motivo principale è che Dio ci conosce; sa quale terribile angoscia sarebbe stata per noi conoscere in anticipo l'ora esatta e assistere al suo lento e inesorabile approssimarsi. È quello che più spaventa di certe malattie. Più numerosi sono oggigiorno quelli che muoiono per malattie improvvise di cuore, che quelli che muoiono dei cosiddetti "mali brutti". Eppure, quanta più paura fanno queste ultime malattie, perché ci sembra che tolgano quell'incertezza che ci permette di sperare.L'incertezza dell'ora non deve spingerci a vivere da spensierati, ma da persone vigilanti.
Se l'anno liturgico è ai suoi inizi, l'anno civile volge al suo termine. Un'ottima occasione, questa, per dare spazio a una riflessione sapienziale sul senso della nostra esistenza. La stessa natura in autunno ci invita a riflettere sul tempo che passa. Quello che il poeta Giuseppe Ungaretti diceva dei soldati in trincea sul Carso, durante la prima guerra mondiale, vale per tutti gli uomini: "Si sta / come d'autunno / sugli alberi / le foglie". Cioè, in procinto di cadere da un momento all'altro. "Vàssene il tempo -diceva il nostro Dante Alighieri- e l'uom non se n'avvede", il tempo scorre e l'uomo non se ne accorge.Un filosofo antico ha espresso questa fondamentale esperienza con una frase rimasta celebre: panta rei, cioè: tutto scorre.
Succede nella vita come sullo schermo televisivo: i programmi, cosiddetti palinsesti, si susseguono rapidamente e ognuno cancella il precedente. Lo schermo resta lo stesso, ma le immagini cambiano. Così è di noi: il mondo rimane, ma noi ce ne andiamo uno dopo l'altro. Di tutti i nomi, i volti, le notizie che riempiono i giornali e i telegiornali di oggi -di me, di te, di tutti noi- cosa resterà da qui a qualche anno o decennio? Nulla di nulla. L'uomo non è che "un disegno creato dall'onda sulla spiaggia del mare che l'onda successiva cancella".Vediamo cosa ha da dirci la fede a proposito di questo dato di fatto che tutto passa.
"Il mondo passa, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno" (1 Gv 2, 17).
C'è dunque qualcuno che non passa, Dio, e c'è un modo per non passare del tutto neanche noi: fare la volontà di Dio, cioè credere, aderire a Dio. In questa vita noi siamo come persone su una zattera trasportata dalla corrente di un fiume in piena verso il mare aperto, da cui non c'è ritorno. A un certo punto, la zattera si viene a trovare vicino alla riva. Il naufrago dice: "O ora o mai più!" e spicca il salto sulla terra ferma. Che respiro di sollievo quando sente la roccia sotto i suoi piedi! È la sensazione che ha spesso colui che arriva la fede. Potremmo ricordare, a conclusione di questa riflessione, le parole che S. Teresa d'Avila ha lasciato come una specie di testamento spirituale: "Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa. Dio solo resta".

lunedì 3 dicembre 2007

I BELONG TO JESUS !


Fratelli amati da Jeshua e da me,

questo blog non si è mai occupato di sport ma non resisto quando vedo un figlio di Dio meraviglioso come Kakà raggiungere le vette del calcio e benedire e ringraziare Gesù.

Bello, bravo, ricco, famoso ma più di ogni cosa "perdutamente" cristiano! E' un'incanto vederlo pregare e benedire Dio in ogni sua intervista ed ad ogni suo goal, un vero testimone oltre al grande talentuoso campione che è. Lode a Jeshua ed ai suoi figli!

Vi riporto l'articolo di un mensile!


Per Kakà un futuro da pastore evangelico


ROMA Kakà è il vincitore del Pallone d’Oro. Considerato uno dei calciatori più forti al mondo, si distingue dai suoi colleghi perché a fine carriera, invece di diventare allenatore, sogna di svolgere il ruolo di pastore evangelico.
«Mi piacerebbe molto. È un percorso impegnativo - ha dichiarato l’attaccante del Milan - bisogna studiare teologia, fare un corso, approfondire lo studio della Bibbia». «Un pastore evangelico legge la Bibbia e ne trasmette i precetti. Non è così facile applicare alla società di oggi cose scritte migliaia di anni fa. Ma proprio questo è il compito di un buon pastore: attualizzare l’insegnamento della Bibbia».
La sua conversione, si dice, sia dovuta ad un tuffo quasi mortale dalla piscina quando aveva 14 anni. «È una balla. Io sono cresciuto con l’educazione della Bibbia. E poi ne avevo 18, di anni. L’incidente c’è stato, - osserva - ma nel Duemila: la mia carriera poteva chiudersi lì. Mi si è torto il collo e ho lesionato la sesta vertebra cervicale».
Risulta anche che il giocatore - che tra cinque mesi diventerà papà - sostenga che è Dio a scegliere i re, i principi, i presidenti e più in generale i leader. Ma precisa: «Non confondiamo: Dio sceglie i leader, come dice la Bibbia, ma poi lascia loro il libero arbitrio. Il punto sta tutto lì: non è stato Dio a volere la guerra, - chiude Kakà - a distruggere il mondo con il disprezzo della natura. Sono i governanti che abusano del loro libero arbitrio».