martedì 4 dicembre 2007

LA PREGHIERA RESPIRO DELL'ANIMA


(di Monsignor Severino Paletto)

1. Gesù Maestro e testimone di preghiera.
La comunione trinitaria è il dono di santità che Dio ci offre attraverso Gesù Cristo e col ministero della Chiesa nei segni sacramentali ed è per questo che viene chiamata “grazia santificante”. Gesù è venuto sulla terra per rivelarci che Dio è nostro Padre e per guidarci a Lui con la luce e la forza dello Spirito Santo.L’orientamento della nostra vita sul mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è possibile se è sostenuto e alimentato dalla preghiera, intesa non solo come richiesta di aiuto, ma anche e soprattutto come "respiro dell’anima". Ci mettiamo perciò alla scuola di Gesù perché è dal suo esempio e dal suo insegnamento che riusciamo a comprendere come sia importante pregare il Padre con la mediazione di Cristo stesso e con la forza del suo Spirito.Fermiamoci a contemplare Gesù per comprendere come Egli ha pregato il Padre nel tempo della sua vita terrena così che il suo esempio diventi per noi scuola di preghiera autentica.La vita di Cristo è stata caratterizzata da un continuo atteggiamento orante nei confronti del Padre: "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5, 7-8). La supplica per essere liberato da morte fu esaudita col dono della risurrezione.Gesù prega il Padre perché lo sente al centro della propria esistenza, come ebbe a dire un giorno ai discepoli: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4, 34). È per questo che Egli sente l’esigenza di stare a lungo in preghiera, passando talvolta anche la notte intera nell’orazione (Cf Lc 6, 12) e cercando un clima di silenzio in luoghi appartati, come ci ricorda l’evangelo di Marco: "Al mattino si alzò quand'era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!»" (Mc 1, 35-38). È chiaro che Gesù non rifugge l’impegno dell’annuncio, ma difende l’esigenza di non ascoltare sempre e comunque le richieste della gente se questo va a scapito del tempo che Egli vuol dedicare alla preghiera. Nei suoi colloqui col Padre Gesù esprime i sentimenti più profondi che nascono dalla sua esperienza quotidiana di vita. La sua quindi è una preghiera:

  • di gioia interiore: "In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto»" (Lc 10, 21);

  • di lode e ringraziamento: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato" (Gv 11, 41-42);

  • di richiesta di aiuto nello smarrimento della passione: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!" (Mt 26, 39);

  • di filiale obbedienza: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà" (Mt 26, 42);

  • di angoscia quando sulla croce sperimenta il silenzio del Padre: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15, 34);

  • di abbandono totale nel momento della sua morte: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23, 46).

L’esempio di Gesù deve suscitare in noi il desiderio di imitarlo, come hanno fatto gli apostoli, i quali rimanevano estasiati nel vedere come e quanto Egli stava in preghiera. San Luca ci ricorda che "Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno»" (Lc 11, 1-2).

2. Che cos’è quindi la preghiera?
La più semplice definizione della preghiera che ci viene dalla tradizione cristiana è questa: "La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio". Quindi pregare è rivolgersi, protendersi con tutto il nostro essere verso Dio. Chi non prega non esce dal suo piccolo mondo e vive ripiegato su se stesso. Pregare è cercare di vivere in comunione con Dio. Chi non prega rimane solo, solo con i suoi problemi e la sua incapacità a risolverli. Chi si abitua a vivere lontano da Dio un po’ per volta si illude di poter vivere bene anche senza di Lui, per cui non pensa più a Dio e finisce col pensare che Egli non esista. Quante persone che hanno perduto la fede devono ammettere che la crisi è cominciata quando hanno smesso di pregare!
Pregare non è anzitutto dire delle cose a Dio, ma fare silenzio davanti a Lui, stare ad ascoltarlo, sentendoci guardati da Lui e godendo di stare a lungo in sua compagnia.
Pregare è lodare, benedire, magnificare e ringraziare Dio. Molto spesso la nostra preghiera si esaurisce nel chiedere qualcosa al Signore e ci dimentichiamo che l’aspetto essenziale della preghiera è il “sacrificio della lode”, cioè la lode ed il ringraziamento al Signore per quanto ci ha donato e ha fatto per noi.
Pregare è aprire il cuore a Dio facendo a Lui le nostre confidenze più intime. È opportuno mettere al corrente Dio di ciò che ci succede, non per informarlo, dal momento che Egli già conosce tutto di noi, ma perché questo esercizio è utile a noi stessi perché ci rende più riflessivi e responsabili di fronte alle vicende della nostra esistenza ed alle scelte che facciamo ogni giorno.
Pregare è consultarsi con Dio, cioè sforzarsi di entrare nel modo di pensare e di vedere le cose come le pensa e le vede Lui.
Pregare è aderire alla volontà di Dio. Si deve pregare per suscitare in noi l’amore per Dio e amare Dio significa fare ciò che Egli desidera. Non dobbiamo con la preghiera pretendere di far cambiare idea a Dio, o di tirarlo dalla nostra parte per imporgli il nostro punto di vista, ma, al contrario, la preghiera deve spingere noi dalla parte di Dio. La preghiera è vera nella misura in cui fa maturare in noi un "sì" a Dio.

Una delle forme più antiche di preghiera è la Lectio divina, cioè una lettura pregata della Parola di Dio contenuta nella Bibbia. È importante ricuperare la preziosità di questa particolare forma di preghiera per riuscire ogni giorno a meditare ed approfondire le Sacre Scritture, scegliendo possibilmente le letture quotidiane della Messa. Il metodo da seguire è quello classico ed è molto semplice: si fa una lettura diligente del testo, cercando di capirne il significato autentico (lectio); segue un congruo tempo di approfondimento meditativo per assimilare il messaggio personale che Dio ci offre (meditatio); si passa quindi a chiedere al Signore un aiuto particolare per vivere quanto ci ha comunicato (oratio); si cerca poi di sostare, per un po’ di tempo, immersi nella presenza di Dio al fine di gustare la gioia e la pace interiore che nasce dalla certezza di sentirci amati da Lui (contemplatio); infine si conclude con un impegno concreto finalizzato a tradurre nei nostri comportamenti quanto il Signore ci ha suggerito.


3. Condizioni perché la preghiera sia autentica.
Affinché la nostra preghiera sia autentica, e quindi gradita a Dio, è necessario che rispecchi lo stile di Gesù e perciò che abbia alcune caratteristiche:

  • Deve essere fondata sulla certezza che Dio ci ama come un Papà, che ha cura dei suoi figli per i quali provvede a tutte le loro necessità (Cf Mt 6, 25-34).

  • Deve nascere dalla fiducia che Dio supera in generosità tutti noi e nella sua risposta sa andare molto al di là di tutte le nostre richieste (Cf Lc 11, 9-13).

  • Deve essere costante, per non dire insistente, anche se sempre aperta a fare ciò che Dio dispone per il nostro bene, che non sempre siamo in grado di capire (Cf Lc 11, 5-8).

  • Deve essere accompagnata da una presa di coscienza della nostra povertà e del nostro peccato.

Chi prega deve assumere un atteggiamento di “genuflessione ontologica” (Lafrance), cioè un atteggiamento continuo di umiltà per riconoscersi peccatori. Chi sa pregare in ginocchio, cioè considerandosi piccolo e peccatore, si esprime così: "Mio Dio, mostrami il tuo volto ed insegnami ad accettare di essere al secondo posto". Pensiamo all’insegnamento della parabola del fariseo e del pubblicano (Cf Lc 18, 9-14).
Bisogna saper pregare da “persone abbandonate” in Dio. Si può dire che la contemplazione è la fede portata fino al punto di unione tale con Dio per cui è possibile vivere la vita di tutti i giorni "come se si vedesse l’Invisibile" (Cf Eb 11, 27). San Giovanni della Croce ci ricorda che "l’anima non va all’orazione per affaticarsi, ma per distendersi". Pregare non è farci venire il mal di testa in uno sforzo nostro di concentrazione, ma è cercare di decentrarsi da se stessi per abbandonarsi in Dio senza preoccuparsi di cosa dire o cosa pensare. In questo senso è utile ricordare che la capacità di essere raccolti non viene da noi o dai nostri sforzi personali, ma dal fascino di Dio.
È necessario inoltre entrare nella preghiera con cuore puro e riconciliato, così come ci viene richiamato dalla Parola di Dio:"Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male" (Is 1, 11.16)."Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Mt 15, 7-8)."Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5, 23-24).
Infine è importante imparare a pregare senza aver paura di Dio. Troppe volte ci dimentichiamo che Dio è Padre, che ci ama e ci accoglie così come siamo, per cui ci accostiamo a Lui più con la paura dei servi che con l’amore confidente dei figli. Ricordiamo questo importante insegnamento di Santa Teresa d’Avila: "Nulla ti turbi, nulla ti sgomenti. Tutto passa, Dio non muta. La pazienza tutto vince. A chi ha Dio nulla manca. Dio solo basta!".

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