martedì 3 giugno 2008

I LUOGHI DELLA PREGHIERA


5 Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.


6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.


7Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.



Mt 6,5-8


Siccome la preghiera è un incontro di persone che si amano, Gesù ci avverte circa l'importanza dell'interiorità. Dio, come già si è visto, è il primo protagonista della preghiera. E' Lui che mi ama; perciò desidera e chiama all'incontro d'amore la mia persona. Un incontro personale, intimo, di amicizia sponsale non si realizza in piazza o al mercato. Un incontro tra Dio, la fonte della mia vita e me che mi so scaturito/a da Lui, avviene dentro, al centro di me, non fuori. E' importantissimo capirlo bene!
Siamo nel bel mezzo del discorso della montagna, dove Gesù fa del suo messaggio una fiaccola luminosissima che rivoluziona tanti criteri e modi di essere mondani. Ha gettato luce sulle negatività del voler apparire giusti per essere ammirati dagli uomini. Ha sferzato con forte humour quelli che donano roba e denaro, ma "suonando la tromba davanti a sé" per essere applauditi. Nell'intento dunque di guidarci sulle strade della verità e dell'autenticità, Gesù prepara ora il terreno all'insegnamento principe: quello della preghiera. E il suo mettere qui a fuoco l'imprescindibile importanza dell'interiorità - badiamo bene! - è la premessa a quel suo comunicarci poi, subito dopo, la preghiera per eccellenza: quella del Padre nostro.
v. 5 "E quando pregate non siate come gli ipocriti che amano pregare (…) per apparire davanti agli uomini". Chi è l'ipocrita? Sostanzialmente è una maschera di se stesso, l'opposto dell'autenticità, della verità di sé. L'ipocrita è l'uomo egocentrato: cerca la bella figura, il plauso della gente, una bella immagine di se stesso perfino nel proprio rapporto con Dio. Ma attenzione! In verità non mi riesce proprio di rapportarmi a Lui che nella verità del mettermi all'ultimo posto (Cf Lc 14,2-7), del conoscermi e accettarmi umilmente per quello che sono: uno che non sa amare, che spesso pecca, che non è degno degl'infiniti doni di Dio. Senza umiltà c'è ipocrisia e non preghiera. "Per pregare, dice S. Teresa d'Avila, maestra d'orazione, si richiede umiltà e ancora umiltà" (Mansioni, 10). Non bisogna però mai equivocare: umiltà non è avvilimento, disistima del proprio sé profondo.
v. 6 "Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera". Veramente il testo originale dice: entra nella tua dispensa: una stanza interna alla casa, senza finestre, dove si tenevano i viveri. Ed è molto significativo! In questa dispensa o cantina, o "cella vinaria" (per citare il Cantico dei Cantici) io attingo infatti vita. E' in realtà la parte più interna di me, è il mio cuore profondo. Si tratta di quel luogo "segreto" dove il mio "sé" è l'eco (o l'immagine) continuamente nutrita dal grande "IO SONO" che è Dio, il suo mistero sponsale che m'inabita, segreta sorgiva del mio "esserci" per sempre. Questa stanza o cantina è dunque il luogo segreto della preghiera più personale e profonda. E' il "fondo dell'anima" o "l'apice", la "punta dello spirito" - per dirla coi mistici - . Proprio in questo fondo segreto io sono veramente me stesso, immagine di Dio, capace di recuperarne la somiglianza, sono "l'uomo nascosto nel cuore", "figlio nel Figlio" (Cf 1Pt 3,4a). E' a queste profondità che lo Spirito Santo, con inenarrabile gemito, suscita anche in me quello che pregava Gesù: "Abbà, Padre" (Rm 8,15; Gal 4,6).
v. 6bis "Chiusa a chiave la porta…" Si tratta di chiudere decisamente la porta del cuore alle mille distrazioni, a tante "voglie" e bisogni spesso indotti artificialmente dal grande ipermercato della nostra società. Il raccoglimento non s'improvvisa. Se mente e cuore sono tutto il giorno allo sbaraglio, non posso pretendere di essere sgombro e libero per potermi rapportare a Dio nel momento specifico della mia preghiera. "…prega il Padre tuo nel segreto e il Padre tuo che guarda nel segreto… " La preghiera spesso è comunitaria: la preghiera liturgica, il pregare insieme rivolgendosi a Dio da figli che si sentono fratelli e dunque, a ragione, si rivolgono allo stesso Padre. Ma, a monte della stessa preghiera comunitaria ci deve essere il pregare "nel segreto", cioè nell'intimità unica e irrepetibile del mio essere persona. E "credere" vuol dire essere certi che Dio, "nel segreto" di questa intimità, mi "scruta" e mi "conosce" perché mi ama e mi cerca lì, nel profondo dove Lui è il grande "IO SONO", che se mi apro appunto in preghiera, sorregge e vivifica il mio piccolo "io sono". "…ti restituirà" (testo originale). Significa che l'orante viene da Dio restituito a se stesso (il se stesso più vero e più profondo), cioè "figlio nel Figlio" Gesù, colmo della Gloria che sta nell'essere icona di Dio, perché vuoto della propria vanagloria.
v. 7a "Pregando non moltiplicate le parole come i pagani…". Gesù ci mette in guardia dal rischio di robotizzare la preghiera. I grandi maestri spirituali insegnano che la mente e il cuore devono concordare con la voce, anche quando si tratta di preghiere vocali (salmi o altro). Giova anche un pregare ripetitivo e ritmato, ma solo se si coltiva l'attenzione del cuore, restando presenti al Grande Presente nel momento del nostro pregare. I pagani invece (di tutti i tempi) non conoscono questa interiorità e vanno su percorsi di parole che pretenderebbero magiche.
v.7b "…per essere esauditi". Troppe volte la preghiera disattende le grandi vie della lode, dell'adorazione, del ringraziamento. Molti pregano solo per "gettonare" Dio in ordine a quello di cui hanno bisogno, magari anche con stolte pretese di ottenere cose stolte. Pregare invece è anzitutto stabilire un contatto, un ascolto di Colui che per primo ci ama. v.8 "Sa infatti il Padre vostro di che cosa avete bisogno prima che voi chiediate" Dio è Dio in quanto è l'AMORE che vede sa e può tutto, dunque provvede. Io invece non so bene quello che veramente giova a me e agli altri. Tuttavia è bene per me esplicitare le mie richieste, come il bambino balbettare a sua madre quello che vuole. La mamma però gli darà ciò che è veramente bene per lui, perché non tutto quello che il bimbo chiede gli giova, anzi! Così è di Dio nei nostri confronti. Ciò che comunque conta è che la mia fede-preghiera diventi grido d'invincibile fiducia, sempre.
Viviamo un'epoca in cui per molti la preghiera si è eclissata, per altri è un balbettio ancora confuso su strade sbagliate e dentro vite sbagliate. Ma c'è, soprattutto nei giovani, un grande bisogno d'imparare a pregare. "Abbiamo molti maestri negli ambiti più svariati del vivere -disse un giovane a Padre Andrea Gasparino- dai maestri di astrofisica a quelli di inglese e di nuoto. Ci mancano però veri maestri di preghiera". Ma per imparare a pregare e a nostra volta insegnare l'a.b.c. della preghiera, bisogna fare i conti - oggi più che mai - con questo forte richiamo di Gesù all'interiorità. Bombardati come siamo da messaggi, inviti, richieste, proposte di ogni genere (su telefonino, via internet, TV, altri media e richiami del grande supermercato di questa società) abbiamo assolutamente bisogno di trovare, concretamente, spazi e tempi per entrare in noi stessi, raccoglierci, fare silenzio, ascoltare veramente la Parola in profondità. Senza questa prassi evangelica così disattesa e così urgente oggi, la preghiera non è possibile. Perché non è possibile il contatto con noi stessi e tanto meno con Dio. Bisogna prenderne atto e agire di conseguenza.



I GEMITI DELLO SPIRITO IN NOI

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 6,2

Lo Spirito Santo geme in noi, perché fa gemere noi. Non è cosa da poco che lo Spirito ci insegna a gemere: ci fa capire così che siamo pellegrini, ci insegna a sospirare verso la patria, e per questo desiderio ci fa gemere. Chi invece si trova bene in questo mondo, o meglio crede di starvi bene, chi esulta nelle cose della carne e nell`abbondanza dei beni terreni, e della felicità menzognera, costui ha la voce di un corvo; e il corvo gracchia, non geme. Ma colui che conosce il peso opprimente della natura mortale e sa di peregrinare lontano dal Signore e di non possedere ancora quella beatitudine eterna che ci è stata promessa (la possiede con la speranza, ma l`avrà realmente quando il Signore, dopo la sua venuta nel nascondimento dell`umiltà, verrà nella luce della sua gloria), colui che sa tutto questo, geme. E finché geme per questo, santamente geme: è lo Spirito che gli insegna a gemere, dalla colomba ha imparato a gemere. Perché molti, infatti, gemono a causa dell`infelicità terrena, perché squassati dalla sfortuna, o gravati oltre ogni modo dalle malattie, perché chiusi in carcere, o avvinti in catene, o sbattuti dai flutti del mare; circondati dalle invidie dei loro nemici, gemono. Ma non gemono, costoro, con il gemito della colomba, non gemono per amore di Dio, non gemono nello Spirito. Perciò, appena liberati da tutte queste tribolazioni, niente sarà più rumoroso della loro gioia, lasciando vedere che sono corvi, non colombe.



CHIARA d'ASSISI e la CONTEMPLAZIONE


Verificare la contemplazione di Chiara a San Damiano potrebbe sembrare un discorso ovvio: Chiara e le damianite sono contemplative per eccellenza, tant’è vero che il loro spazio di vita è la clausura. Ma questa risposta in realtà è molto ingenua e anche sviante, e anche qui permettetemi dunque alcune precisazioni.
Negli scritti di Chiara compare tre volte il termine contemplatio (Ep. 3,13; 4,11.33) e quattro volte il termine contemplare (Ep. 2,20; 4,18.23.28), sempre nelle lettere ad Agnese, per invitare l’amata sorella a contemplare nel senso di vedere, meditare la povertà, l’umiltà, la carità, le delizie del Signore e in questa contemplazione (con chiara allusione a 2Cor 3,18) «trasformarsi totalmente nell’immagine della divinità di lui» (Ep. 3,13).
Non c’è mai un ricorso al vocabolario della contemplazione per definire la forma vitae damianita o della clausura, e quindi occorrerebbe essere più prudenti quando si applica a Chiara e alle sue sorelle una vocazione contemplativa, anche perché nella regola, quando si parla esplicitamente della preghiera delle minori (nei cc. 3, 7 e 10), la legislazione è tratta tale e quale, niente di meno e niente di più, dalla regola del primo ordine, che non è mai detto contemplativo.
Per Chiara, come per Francesco, il primato è quello della signoria di Dio su tutta la vita e tutte le cose; la centralità di tutto il vivere, il volere e l’operare è costituita da Cristo; la dinamica della vita di penitenza o di conversione è data e dev’essere cercata soltanto nello Spirito santo: ma questo è più che sufficiente per definire la contemplazione autenticamente cristiana.
Le parole di Chiara sulla preghiera restano quelle di Francesco: «Non si estingua lo spirito della santa orazione» (R. Cl. 7,2), «si abbia lo Spirito del Signore e la sua santa operazione e lo si preghi con cuore puro» (R. Cl. 10,9-10).
Quanto alle esigenze esteriori e concrete, pur necessarie alla contemplazione cristiana quali il silenzio, i due fondatori ne parlano allo stesso modo e nella stessa intenzione (cf. Rnb 11,1; Reg. Er. 5-7; R. CI. 5,1-2), e se Chiara norma come possesso uno spazio di terreno attorno al monastero quanto conviene al ritiro (R. Cl 6,14), a un clima di silenzio e di pace, lo fa perché questo è esigenza di ogni vita comune.
Certo, devo qui toccare il tema della clausura e so di toccare un tasto delicato, sovente interpretato in modo ideologico o difeso in modo acritico senza analisi profonda, seria e intelligente delle fonti. Ma basterebbe cogliere la differenza tra la visione che ha Chiara della clausura damianita e la visione del papa Gregorio IX nella lettera del 1228 per ricavarne un eloquente argomento per il problema.
Per Chiara la clausura non è mai una ferrea legge, è tutt’al più una salvaguardia dell’ambiente di vita comune, è una misura che in quei tempi non poteva essere smentita per delle donne, se si pensa che già l’ordine dei minori appariva in una novità sconvolgente rispetto alla cristallizzazione della forma della vita religiosa dovuta soprattutto al secolo precedente. Chiara legifera che «si può uscire dal monastero per motivo utile, ragionevole, manifesto e degno di approvazione» (R. Cl 2,13), e anche nel c. 11, non certo steso da Chiara, è scritto che la porta «non sta mai aperta se non quando è necessario e conviene» (R. Cl 11,6), mentre Gregorio IX si esprimeva sulla vita delle damianite mostrando la sua visione e la sua comprensione del progetto damianita in questi termini: «Il Signore vi ispira di chiudervi in questa clausura monastica per servirlo di cuore, perché, abbandonato il mondo e tutte le sue cose, voi possiate abbracciarlo con amore puro, immacolato e incorrotto» 14
Questa comprensione era stata d’altronde manifestata dallo stesso Ugolino, allora cardinale e non ancora papa, nella regola data alle damianite dove si legifera: «Onmi namque tempore vitae suae clausae manere debent: et postquam claustrum huius religionis intraverunt aliquae ... nulla eis conceditur licentia vel facultas inde ulterius exeundi nisi forte causa plantandi vel aedificandi eandem religionem ad aliquem locum aliquae transmittantur» (R. Ug. 4: «Per tutto il tempo della loro vita devono rimanere recluse: e una volta entrate nel monastero e abbracciata questa forma di vita ... non è più concessa loro alcuna libertà o possibilità di uscita, eccetto il caso in cui siano trasferite in qualche luogo per impiantare ed edificare la medesima forma di vita»).
Chiara è lontana da questo linguaggio e comunque non fa mai coincidere, come purtroppo avviene ancora oggi, contemplazione e clausura, la contemplazione quale conoscenza amorosa di Cristo e un fatto materiale quale la clausura, né sente plasmata la vita a San Damiano da una regola giuridica. Per Chiara come per Francesco (è certo però che gli accenti di Chiara sono femminili!) la contemplazione è assiduità con la parola letta nelle sante Scritture, ma anche ascoltata e ricevuta dai frati come cibo e nutrimento della fede e dell’anima, la contemplazione è preghiera continua nell’attenzione al Signore e a tutte le creature.
E’ proprio e specifico di Chiara l’aver dato alla contemplazione una dimensione propriamente evangelica: non era per lei attività straordinaria, riservata a un’élite, ai privilegiati dalla cultura, ma era atteggiamento quotidiano nello spazio dell’umile realtà delle case, dei lavori quotidiani. Contemplazione per Chiara è vita in Cristo, è sacrificio vivente e spirituale offerto al Signore: è significativo che l’unico riferimento che Chiara fa alla pagina dell’incontro di Gesù con Maria e Marta (cf. Lc 10,38-42), diventata nel suo tempo un luogo classico per affermare il primato della vita contemplativa sulla vita attiva, individua l’unico necessario in questo culto della vita a Dio (cf. Rm 12,1) e non intravede nessuna opposizione tra azione e contemplazione.
La contemplazione, poi, per Chiara e Francesco non è solo conoscere Dio, ma anche vedere gli uomini e le creature come le vede Dio. Chiara chiama Agnese «gioia degli angeli» (Ep. 3,11) e inventaria in modo nuovo le cose di Dio, le creature dalle quali vede sempre sgorgare una lode, un ringraziamento al Dio altissimo creatore.
Concludendo questo paragrafo, non si può non sottolineare come la via della beatitudine fosse per Chiara conoscere l’unico e vero Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo (cf. Gv 17,3), e proprio per questo anche lei, senza formazione accademica ma pregando sempre, seppe parlare delle cose del Padre con grande intelligenza spirituale, a tal punto che Sora Angeluccia, testimone al processo di canonizzazione, diceva che Chiara sapeva «parlare de la Trinità e dire altre parole de Dio tanto suttilmente che appena i molto dotti le averiano potute intendere» (Processo, Test. 14,7).

IL MINISTERO DEL CONTEMPLARE IL SUO VOLTO


di David Wilkerson 1 7 Marzo 2003

Ogni cristiano è chiamato al ministero. La Bibbia lo dice chiaramente. Paolo scrive: "Noi [tutti] abbiamo questo ministero" (2 Corinzi 4:1).
Eppure il concetto di ministero che la maggior parte dei cristiani hanno non è molto biblico. Molto spesso consideriamo il ministero come qualcosa che viene svolto solo da predicatori o missionari che hanno ricevuto un'ordinazione. Pensiamo ai ministri come a delle persone che hanno frequentato una Scuola Biblica, persone che sposano e celebrano i funerali, che costruiscono chiese, conducono riunioni di adorazione ed insegnano la dottrina. Li consideriamo un po' come dei dottori spirituali che dovrebbero guarire le ferite dei malati e di chi ha bisogno.
Ma Dio non giudica il ministero come facciamo noi. La maggior parte di noi giudica il ministero dalla sua grandezza o dalla sua efficacia, dal numero delle buone opere che compie. Ma agli occhi di Dio, il problema non è quanto possa essere efficace un ministero, o quanto possa diventare grande una chiesa, o quante persone vengono raggiunte.
Naturalmente, molti leader di chiesa hanno compiuto cose incredibili nel loro ministero. Uomini e donne dotati hanno costruito mega-chiese, hanno fondato istituti e scuole, hanno raggiunto moltitudini di persone con l'evangelo. Eppure alcune di queste persone super dotate, nel corso del loro ministero, hanno avuto un cuore nero. Adulteri, fornicatori, alcolizzati, omosessuali - hanno usato i loro doni e la loro intelligenza per fare molte cose all'interno della chiesa.
Ringrazio Dio per ogni ministro devoto che ha fondato e stabilito un ministero attraverso delle opere pie. Da parte a parte, la Bibbia ci invita a ministrare ai bisogni e alle necessità dell'umanità. Ma il problema è che la maggior parte dei cristiani immagina che il ministero sia qualcosa che facciamo, un'opera da intraprendere - e non quello che siamo, o che dobbiamo diventare.
Paolo parla di un certo ministero che ogni cristiano è chiamato a svolgere. Questo ministero non richiede dei doni o dei talenti particolari. Piuttosto, deve essere intrapreso da tutti quelli che sono nati di nuovo, sia ministri che gente comune. Infatti, questo ministero è la prima chiamata di ogni credente. Tutto il resto deve procedere da questa. Nessun ministero può piacere a Dio, se non è nato da questa chiamata.
Sto parlando del ministero del contemplare il volto di Cristo. Paolo dice: "Noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore" (2 Corinzi 3:18).
Cosa significa contemplare la gloria del Signore? Paolo sta parlando qui di un'adorazione devota, concentrata. È il tempo che passiamo con Dio, semplicemente contemplandoLo. E l'apostolo aggiunge subito: "Avendo perciò questo ministero.." (4:1). Paolo precisa che il contemplare il volto di Cristo è un ministero a cui tutti dobbiamo dedicarci.
Il termine greco per "contemplare" in questo verso contiene un'espressione molto forte. Indica non solo lanciare uno sguardo, ma "fissare gli occhi". Significa decidere: "Io non mi muoverò da questa posizione. Prima di fare qualunque altra cosa, prima di cercare di andare altrove, io voglio stare alla presenza di Dio".
Molti cristiani interpretano male la frase "contemplare come in uno specchio" (3:18). Pensano ad uno specchio in cui vi sia riflesso il volto di Gesù. Ma Paolo non stava dicendo questo. Stava parlando di guardare intensamente qualcosa, cercando di scrutarne i contorni come in uno specchio, per vederli più chiaramente. Dobbiamo "fissare i nostri occhi" in questo modo, determinati a vedere la gloria di Dio nel volto di Cristo. Dovremmo chiuderci nel luogo santissimo, con un'ossessione: osservare così intensamente, aver comunione con tale devozione, da esserne cambiati.
Paolo dice che la persona che si chiude con Cristo, che Lo contempla, viene trasfigurata.
Cosa avviene quando un credente contempla il volto di Cristo? Paolo scrive: "E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore" (2 Corinzi 3:18).
Il vocabolo greco per "trasformati" qui è "metamorfosi", che significa cambiamento, trasformazione, trasfigurazione. Chiunque entra nel luogo santissimo e fissa intensamente il suo sguardo su Cristo, riceve una metamorfosi. Avviene in lui o in lei una trasfigurazione. Quella persona viene continuamente trasformata ad immagine e nel carattere di Gesù.
Forse tu entri spesso alla presenza del Signore. Eppure forse non ti senti trasformato, quando spendi del tempo insieme a Lui. Ti dico: non è possibile che in te non avvenga una metamorfosi. Qualcosa avviene di sicuro, perché nessuno può contemplare continuamente la gloria di Cristo senza esserne trasformato.
Notate l'ultima frase dell'affermazione di Paolo: "Noi tutti... siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore" (3:18). Lo Spirito Santo compie l'opera della trasfigurazione in noi. Ora notate il verso precedente: "Or il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà" (3:17).
Riuscite a capire cosa sta dicendo qui Paolo? Sta affermando: "Quando voi contemplate il volto di Cristo, riceve libertà per essere trasformati". Rimanendo nella Sua presenza, noi diamo allo Spirito la libertà di governare le nostre vite, di fare in noi ciò che a Lui piace. È un atto di sottomissione che dice: "Signore, la mia volontà è tua. Qualunque cosa accadrà, trasformami ad immagine di Gesù".
La prima cosa che vediamo quando contempliamo il Signore è quanto siamo dissimili a Cristo. Non importa quanto pensiamo di essere giusti. Lo Spirito ci mostra quanto siamo lontani dalla gloria di Dio, quanto siamo egoisti, quanto ancora c'è della nostra carne.
Eppure, mentre contempliamo Cristo, inizia in noi un'opera spontanea. Ci rendiamo conto che Lui ha compiuto ogni giustizia per noi. E noi non dobbiamo lottare o sudare o faticare per essere santi. Al contrario, veniamo trasformati - non per quello che facciamo, ma per l'opera dello Spirito. Lo Spirito Santo ha iniziato in noi il glorioso processo della trasfigurazione.
Ora tutto è compiuto "tramite il patto, per mezzo del Suo Spirito". Il nostro compito è semplicemente quello di recarci spesso alla Sua presenza, fissando il nostro sguardo su di Lui e rimanendo alla Sua presenza. E dobbiamo mettere la nostra fiducia in Lui, che è il capo e compitore della nostra fede. Per mezzo del suo Spirito, Lui ci trasformerà continuamente ad immagine di Cristo.
Molti cristiani professano di essere ripieni di Spirito Santo. Ma credo che ci sia un esame che dimostra se lo Spirito Santo sta governando o meno la nostra vita. L'esame è questo: c'è una crescita progressiva del carattere di Cristo in noi.
Se lo Spirito ha il pieno controllo, questa crescita non si attenua. Non ci saranno allontanamenti o distacchi dalla Sua presenza. Al contrario, vedrai un cambiamento continuo. E la crescita non ci sarà solo nelle prove o nelle tribolazioni. Sarà una crescita continua, perché il cambiamento compiuto dallo Spirito di Dio è continuo. Non esiste una crescita stagnante nell'opera dello Spirito.
Ma la trasfigurazione avviene soprattutto attraverso le prove e le sofferenze. Paolo dice: "Abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l'eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi" (2 Corinzi 4:7). Forse ti chiederai: ma come fanno i nostri vasi di terra così fragili a contenere e manifestare continuamente la gloria del carattere di Cristo? E specialmente quando siamo nelle prove?
Non sta a noi sapere in che modo lo Spirito ci trasforma. Non sappiamo quali metodi sceglierà di usare nelle nostre vite. Ma sappiamo questo: ogni sofferenza ed ogni difficoltà porta una trasformazione.
Quando io e Gwen venimmo a sapere che la nostra nipotina Tiffany aveva un cancro terminale al cervello, pensammo che nostra figlia Debbie sarebbe stata un fragile vaso di terra. Ci chiedevamo: "Come farà a sopportare una cosa del genere? Lei è così fragile". Ma Debbie si è dimostrata una roccia in tutta questa situazione. Ognuno nella nostra famiglia ha visto la potenza di Dio manifestata in lei.
Dove ha trovato la sua forza? Per mesi, ella ha contemplato il volto di Gesù attraverso i sacri scritti di Madame Guyon e di Amy Carmichael. Quando iniziò a leggerli, Debbie mi disse: "Papà, voglio conoscere di più Gesù".
Per mesi lei rimase appartata con il Signore, contemplando il Suo volto. E lo Spirito Santo ha operato un cambiamento che ha sconvolto il mondo. L'ha trasfigurata. Tutti noi abbiamo visto la stessa forza in suo marito Roger. La loro fede, la loro fiducia e il riposo in Gesù è stato un ministero potente durante quella prova terribile.
Voglio fare un'affermazione coraggiosa.Tutte le sofferenze, i dolori e le prove nella vitadi un figlio di Dio sono una chiamata al ministero
Nessuno qui sulla terra potrà darti un ministero. Forse potrai anche diplomarti in un seminario, potrai essere ordinato da un vescovo o commissionato da una denominazione. Ma Paolo rivela l'unica fonte di ogni vera chiamata al ministero: "Rendo grazie a Cristo nostro Signore, che mi fortifica, perché mi ha ritenuto degno di fiducia ponendo al suo servizio me" (1 Timoteo 1:12).
Cosa voleva dire qui Paolo, quando dice che Gesù lo ha ritenuto degno di fiducia? Pensate un po' alla conversione di questo apostolo. Tre giorni dopo quell'evento, Cristo lo chiamò al ministero - specificamente, al ministero della sofferenza: "Perché io gli mostrerò quali grandi cose dovrà soffrire per amore del mio nome" (Atti 9:16).
Ed è a questo ministero che Paolo si riferisce quando dice: "Perciò avendo noi questo ministero..." (2 Corinzi 4:1). Continua aggiungendo: "... avendo ricevuto misericordia, non ci perdiamo d'animo". Sta parlando del ministero della sofferenza. E specifica che si tratta di un ministero che tutti possediamo.
Paolo sta dicendoci che Gesù gli diede una promessa per questo ministero. Cristo lo esortò a rimanere fedele a Lui e lo rese degno in tutte le sue prove. Il termine greco per "rendere degno" significa una continua fonte di forza. Paolo dichiara: "Gesù ha promesso di darmi una grande quantità di forza. Mi renderà in grado di rimanere fedele in questo ministero. Per lui, io non mi perderò d'animo e non lascerò la presa. Emergerò come una testimonianza".
Voglio chiederti: cos'è che Paolo considerò come sua chiamata primaria al ministero? Forse una predicazione persuasiva? Un insegnamento profondo? No. Come lui stesso ammise in seguito, Paolo non era un oratore eloquente. Disse che predicava attraverso la debolezza, in tremore e timore. Persino Pietro disse di Paolo che le cose che diceva erano difficili da comprendere (vedi 2 Pietro 3:15-16).
Eppure, Paolo aveva messo da parte tutti gli insegnamenti di questo mondo e tutta la sapienza umana. Sapeva che il suo ministero non era predicare o guarire i malati, né la sua brillantezza umana. Il ministero di Paolo era di far splendere Cristo attraverso di lui, uno splendore procuratogli dalle grandi sofferenze. Il grande apostolo influenzò notevolmente la sua epoca, ed influenza anche noi oggi, per il modo in cui reagì alle sue prove.
Paolo parlava spesso di "Cristo in me". Con questo egli intendeva: "Voi vedete davanti ai vostri occhi un essere umano. Ma Dio mi ha condotto attraverso grandi prove, e quelle sofferenze hanno prodotto in me il carattere di Cristo. Per questo mi vedete splendere a questo modo. Soltanto chi sopporta con fedeltà potrà vedere questo risultato nella propria vita. Soltanto costui potrà dare un canto o una testimonianza a chi si trova nella stessa afflizione".
E in un verso Paolo racchiude tutto il suo ministero: "Noi siamo afflitti in ogni maniera, ma non ridotti agli estremi; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non distrutti, portando del continuo nel nostro corpo il morire del Signore Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Corinzi 4:8-10).
Paolo non era un superuomo. Conosceva benissimo il significato della disperazione. Si era trovato di fronte ai problemi molte volte, al punto che spesso aveva creduto di non farcela. Testimonia: "Perché non vogliamo, fratelli, che ignoriate la nostra afflizione che ci capitò in Asia, come siamo stati eccessivamente gravati al di là delle nostre forze, tanto da giungere a disperare della vita stessa. Anzi avevamo già in noi stessi la sentenza di morte, affinché non ci confidassimo in noi stessi, ma in Dio che risuscita i morti, il quale ci ha liberati e ci libera da un sì grande pericolo di morte, e nel quale speriamo che ci libererà ancora nell'avvenire" (2 Corinzi 1:8-10).
Capite cosa sta dicendo Paolo? Sta affermando: "Siamo stati pressati oltre ogni forza umana. E siamo stati sul punto di disperare della nostra stessa vita. Siamo stati sul punto di credere che fosse finita".
Questo fu il periodo più provato per Paolo. Si trovò faccia a faccia con la morte. Eppure proprio in quel momento, si ricordò del suo ministero e della sua chiamata. Ricordò a se stesso: "Tutto il mondo mi sta guardando. Ho predicato molti sermoni su Dio che preserva i suoi servi. Ora tutti mi guardano per sapere se credo veramente in quello che dico".
Fu a quel punto che egli depose la sua vita. Gridò: "Vivo o morto, sono del Signore! Credo in Dio, che fa risorgere i morti".
In seguito Paolo disse alla chiesa di Corinto: "Sono state le vostre preghiere ad aiutarmi. Voi avete fatto sì che uscissi da questa situazione con un canto di vittoria": Egli scrive: "Mentre voi stessi vi unite a noi per aiutarci in preghiera, affinché siano rese grazie per noi da parte di molti, per il beneficio che ci sarà accordato tramite la preghiera di molte persone" (2 Corinzi 1:11).
Voglio dire questo con tutto il mio cuore: non possiamo prendere alla leggere il fatto di pregare per i nostri fratelli e le nostre sorelle nel bisogno. Paolo dice che le preghiere dei Corinzi gli furono come un dono. Furono più preziose del miele, più importanti di qualunque parola di conforto o di qualsiasi gesto d'amore.
La mia famiglia conosce questa gratitudine per le preghiere altrui. Per trenta giorni, la nostra nipotina Tiffany è stata a casa nostra, in fin di vita. E' stato il periodo più difficile della nostra vita. Conoscevamo il significato della testimonianza di Paolo: un dolore improvviso ci è venuto addosso, e noi eravamo pressati oltre misura, affrontavamo una prova che andava al di là di ogni comprensione umana.
Nell'ultima ora, mentre Tiffany esalava il suo ultimo respiro, ci siamo riuniti attorno al suo capezzale, tenendoci per mano e cantando: "Dio è così buono". In quei momenti, abbiamo sentito la potenza delle preghiere dei santi di Dio. La sentivamo in modo tangibile, come le mani che ci stringevamo.
La nostra famiglia può testimoniare coraggiosamente che è stata cinta dalle preghiere di coloro che ci hanno sollevato. E come Paolo, possiamo dire a tutto quelli che hanno pregato: "Ci avete aiutato moltissimo con le vostre preghiere. Ci avete dato un dono che ci ha aiutato a glorificare Dio in questo momento così tremendo. Non siamo stati demoliti dalla prova. Ne siamo usciti".
Verrà il momento in cui l'unico messaggioche avrà impatto su questo mondo insanosarà il ministero di cui sto parlando
Sono convinto che Paolo stava descrivendo i nostri tempi, quando scrisse a Timoteo: "Ti scongiuro dunque davanti a Dio e al Signore Gesù Cristo, che ha da giudicare i vivi e i morti, nella sua apparizione e nel suo regno: predica la parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, rimprovera, esorta con ogni pazienza e dottrina. Verrà il tempo, infatti, in cui non sopporteranno la sana dottrina ma, per prurito di udire, si accumuleranno maestri secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità per rivolgersi alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, fa' l'opera di evangelista e adempi interamente il tuo ministero" (2 Timoteo 4:1-5).
Paolo stava dicendo a Timoteo: "Gli uomini saranno così dediti ai loro piaceri, che non sopporteranno la sana dottrina. Ma tu continua a predicare la Parola. È necessaria la correzione. Perciò, riprendi i ribelli ed esorta tutti a fare il bene".
Dobbiamo continuare con i nostri messaggi di potenza, con la sana dottrina ed una sana correzione. Ma presto il mondo non vorrà più sentirci parlare. L'umanità sta diventando così ossessionata dai piaceri e dalle concupiscenze, che ignorerà completamente la chiesa. La predicazione e la dottrina non avranno più impatto su una società narcotizzata.
In effetti, credo che siamo già arrivati a questo punto. La chiesa nominale è diventata quasi irrilevante. Non influenza più la nazione, e nella maggior parte dei casi, neanche le persone. Ti chiedo: quale ministero raggiungerà un mondo folle?
Grazie a Dio, c'è ancora un ministero che parla agli atei, ai musulmani, ai miscredenti di ogni tipo. E' il riflesso di Cristo attraverso le sofferenze dei credenti. Per secoli questa è stata la testimonianza più potente del popolo di Dio. I credenti sono stati sconvolti e provati da malattie, persecuzioni, sofferenze di ogni genere. Ma in tutte queste cose, è stato il riflesso del carattere di Cristo che ha toccato chi stava loro attorno.
Osservate attentamente le esortazioni di Paolo in questo passo:
· "Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta afflizioni" (2 Timoteo 4:5). Sta dicendo in effetti: "Un mondo di non credenti ti sta guardando. Perciò fai attenzione a come reagisci nei momenti di afflizione. Non permettere alle tue prove di farti diventare uno che si lamenta, che ha il volto abbattuto. Discrediterai ogni parola che hai pronunciata sulla fedeltà di Dio".
· "Fai l'opera di evangelista" (4:5). Quando ero un giovane ministro, non capivo come mai non potevo semplicemente camminare nei corridoi di un ospedale, pregando con fede, e vedere miracoli di guarigione. Pensavo: "Che testimonianza sarebbe! Tutti gli increduli si convinceranno, se vedessero i pazienti alzarsi dal letto".
Da allora ho imparato che questo non sarebbe il genere di evangelizzazione più efficace. Pensateci un po'. Chi ha un impatto maggiore su quelli che ci circondano: un cristiano sorridente, pieno di salute, che entra nella stanza di un non credente predicando, correggendo e presentando una sana dottrina? Oppure un'umile cristiana che si regge al muro, in recupero da una difficile operazione di doppia mastectomia? Questa donna non sarà mai priva di dolori. Ma non avrà paura. Sorriderà alle infermiere, illuminerà la sua stanza con la sua pace interiore. Anche il dottore più cinico ed incredulo sarà curioso di saperne di più su questa donna pacifica. Vede le sue sofferenze, ma è attratto da lei, perché vuole conoscere la fonte della sua pace.
Non sto buttando giù chi ha un ministero negli ospedali. E' un'alta vocazione, un lavoro vitale che ogni corpo di credenti dovrebbe intraprendere. Ma vi posso dire in prima persona cos'è che ha avuto il maggior impatto sulla nostra famiglia durante gli ultimi giorni di vita di Tiffany. In quel periodo c'era un operaio che andava e veniva da casa nostra. Sapeva che nostra nipote stava morendo. Dopo tre settimane, disse a sua moglie: "In quella gente c'è qualcosa di particolare. A volte li vedo piangere, ma non riesco a capire la pace che possiedono. Voglio saperne di più". Nessuno ha testimoniato a quest'uomo. Ha semplicemente visto lo Spirito di Cristo riflesso nella nostra famiglia sofferente.
· "Adempi interamente il tuo ministero" (2 Timoteo 4:5). Il termine greco per "adempiere" significa assicurare, preparare appieno. Paolo sta dicendo, in effetti: "Siate preparati di fronte alle prove che vi vengono improvvisamente. Assicuratevi di essere ben equipaggiati, ripieni di ogni risorsa spirituale, in modo da non rimanere a corto di olio".
Oggi vedo molti cristiani cadere durante le prove. Le sofferenze li mandano in crisi. Ascoltando le loro domande e le loro proteste, pensate che non hanno mai conosciuto Dio. Il fatto è che hanno conosciuto Gesù solo come l'autore della loro fede, non come il compitore fedele. Queste persone non sono state trasfigurate dalle loro sofferenze. Al contrario, sono state sfigurate nello spirito e nel carattere.
Tutti noi cambiamo, siamo soggetti a metamorfosi
Nelle nostre vite sta avvenendo una trasfigurazione. La verità è che siamo trasformati da ciò che ci ossessiona. Diventiamo simili alle cose che occupano la nostra mente. Il nostro carattere viene influenzato da qualunque cosa possiede il nostro cuore.
Considera la vita dell'omosessuale. Ho visto una improvvisa degenerazione in molti omosessuali che ho conosciuti, anche nel loro stile di vita. Hanno subìto una trasformazione nel comportamento, nella voce, nei loro modi di fare. E c'è anche una ostentazione del male.
Due anni fa, diverse centinaia di omosessuali a New York City giurarono che non avrebbero mai marciato nella Parata dell'Orgoglio Gay giù per la Quinta Strada. Affermarono: "Non vogliamo esibire la nostra sessualità. Non lo faremo mai". Eppure l'anno scorso, un gran numero di loro hanno condotto la parata, mezzi nudi.
Considerate i cambiamenti dovuti alla pornografia. Alcuni uomini iniziano con il guardare fotografie di donne nude, e finiscono nella spirale della pornografia infantile. Uomini sposati non riescono a sbarazzarsi delle loro voglie, perciò intraprendono relazioni illecite. Giurano di poter morire per i propri figli, ma alla fine sono disposti ad abbandonare le famiglie senza vergogna né rimorso. Come si disintegra velocemente il loro carattere! Si trasformano in persone totalmente diverse!
Ringrazio Dio per chiunque nutre la sua mente e la sua anima con le cose spirituali. Tali servi hanno fissato i loro occhi su ciò che è puro e santo. Tengono lo sguardo fisso su Cristo, trascorrono del tempo di qualità adorandoLo ed edificandosi in fede. Lo Spirito Santo è all'opera in questi santi, trasformando continuamente il loro carattere a somiglianza di quello di Cristo.
Solo questi credenti saranno pronti per le dure ed esplosive sofferenze che verranno sulla terra. I cristiani pigri, svogliati e privi di preghiera soffriranno terribilmente ed apostateranno. Saranno disintegrati dalla paura, perché in loro non opera lo Spirito Santo, per trasfigurarli. Quando giungerà la prova, non ce la faranno.
Se in questo momento stai attraversando una prova, sappi di essere stato chiamato "al ministero" dal Signore stesso. Perciò fai attenzione a non offendere questa chiamata diventando un codardo che si lamenta o si abbatte. Ecco le ultime parole di Paolo a questo proposito:
"Noi non diamo alcun motivo di scandalo in nessuna cosa, affinché non sia vituperato il ministero; ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come ministri di Dio nelle molte sofferenze, nelle afflizioni, nelle necessità, nelle distrette, nelle battiture, nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni... come poveri eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo tutto" (2 Corinzi 6:3-5,10).
Come facciamo ad "arricchire molti"? Riflettendo la speranza di Cristo in mezzo alle nostre sofferenze. Offriamo vere ricchezze quando provochiamo negli altri questa domanda: "Ma qual è il suo segreto? Come fa a sopportare questa prova? Dove trova una tale pace?"
Inizia a preparare il tuo cuore già da adesso. Riempi il tuo deposito di ricchezze, rimanendo da solo con Gesù e fissando il tuo sguardo su Lui. Poi sarai pronto a tutto.

La vicinanza di Dio ci illumina

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 70, 2,6-7

Dica il misero Adamo e in Adamo ogni uomo: Quando disordinatamente voglio essere simile a te, ecco che cosa divengo! Che almeno gridi a te dalla mia prigionia! Io, che potevo vivere tanto bene sotto il buon re, sono divenuto prigioniero e schiavo del mio seduttore. Grido a te perché sono caduto lontano da te. E perché sono caduto lontano da te? Perché disordinatamente aspiravo ad essere simile a te... L`uomo, se vuole essere qualcosa, si deve volgere a colui dal quale è stato creato. Allontanandosene, infatti, si raggela; avvicinandosi si riscalda. Allontanandosi si ottenebra; avvicinandosi si illumina. Perché solo presso colui dal quale ha avuto l`essere, potrà trovare anche il suo bene. Infatti, quel figlio minore che volle disporre a suo talento del proprio patrimonio, così ben conservato per lui negli scrigni del padre, una volta impadronitosene, partì per una regione lontana, si associò a un cattivo principe e dovette pascolare i porci. Meno male che, affamato, rinsavì, lui che nella sazietà si era allontanato per superbia. Ebbene, chiunque vuole essere simile a Dio, rimanga al suo fianco. Affidi a lui, come sta scritto, la sua forza. Non si allontani da lui! Unendosi a lui, sia contrassegnato dalla sua impronta come la cera è segnata dall`anello: abbia l`immagine di lui fissa in sé. Esegua quanto sta scritto: Per me è veramente buona cosa l`essere unito a Dio (Sal 72,28). Così davvero custodirà la somiglianza dell`immagine secondo la quale è stato creato.



PAROLA E PREGHIERA


di Giovanni Traettino
(vescovo della Chiesa Cristiana Evangelica della Riconciliazione)

Alcuni pensano che dobbiamo conquistarci la potenza, altri invece che l'abbiamo già. Entrambe le cose sono vere. “La Terra Promessa è tua - dice il Signore al popolo di Israele - vai dunque a prenderne possesso!”. Nella vita cristiana c'è la stessa tensione: ci è stata data di diritto una posizione in Cristo, ma dobbiamo conquistarla nell'esperienza. È per questo che alcuni vivono nella potenza mentre altri, pur essendo a pieno diritto cristiani, non la esprimono. Evidentemente c'è un meccanismo che non si innesca.
È molto importante che impariamo ad applicare questa chiave fondamentale dell'ermeneutica: che “sta scritto... ed è altresì scritto”. Abbiamo la tenden­za a prendere solo alcuni 'scritti', dimenticando una serie di cose “altresì scritte”. Ma è solo mettendo in tensione i due poli che arriviamo a posizioni equili­brate per diventare cristiani maturi e chiese mature.

Grazia

In Atti 6:4, gli apostoli dichiararono: “Noi continue­remo a dedicarci alla preghiera e a/ ministero della parola”. In questa piccola formula è racchiusa tutta la chiave della potenza: la preghiera e la Parola. Nella misura in cui mettiamo al loro posto queste due cose, potremo esprimere la potenza di Dio.

Tuttavia, se la preghiera è vissuta come un dovere o un'opera meritoria, ci sfugge il suo signifi­cato. Solo quando è fame e sete di Dio diventa davvero efficace. Allo stesso modo la Parola può essere letta come un libro di teologia, ma è quando viene recepita invece come la voce di Dio che ci parla oggi che acquista vita, attualità e forza per noi.

Anche il digiuno, se è visto come una opera per accattivarci la benevolenza di Dio, non serve a niente; ma se è l'espressione di un desiderio di Dio che fa perdere interesse anche per il cibo, diventa una via privilegiata per incontrarLo. Tutto deve rimanere radicato nell'amore per Dio e nel desiderio di comunione con Lui: nella grazia e non nella legge.

È importante che tutta la nostra vita sia fondata solidamente nella grazia, perché è sempre presente il rischio di ricadere sotto la legge, e allora faremo naufragio. Perciò non mi sento condannato se per un giorno o per una settimana non prego o non leggo la Bibbia. E’ nella misura in cui vivo in comunione con Dio che la mia vita spirituale diventa stabile.

Il fondamento della Parola

Cominciamo dunque con il discorso sulla Parola. Noi siamo eredi della Riforma e della scoperta di Lutero che essa è il fondamento. È importante parti­colarmente per noi Pentecostali restare radicati nella Parola scritta, perché è facile per i movimenti entu­siasti e carismatici spostarsi da questa a quella “rhema” [parola rivelata]. Senza sminuire l'importanza delle rivelazioni, rischiamo così di diventare preda di emozioni e di sensazioni, creando confusione e divi­sione nella Chiesa. Non è un caso che il movimento pentecostale, storicamente, è quello che ha prodotto più divisioni; ma dobbiamo porvi rimedio. Alcuni dei movimenti sorti di recente hanno infatti come loro istanza più profonda il desiderio e la ricerca dell'unità.

La Parola scritta è dunque il fondamento. Ma per il nostro discorso è centrale il Vangelo del Regno, cioè la Parola di Dio non solo proclamata, ma anche dimostrata.

Il Vangelo del Regno

Questi due aspetti del messaggio del Regno - proclamazione e dimostrazione - devono essere profondamente legate insieme per diventare l'Evangelo di Dio. E qui possiamo cadere in un altro equivoco: quello di pensare che la potenza abbia a che fare solo con la dimostrazione, quando invece ha a che fare prima con la proclamazione. È il contenuto stesso del Vangelo che è potente, che cambia le vite! Alcuni vengono guariti, ma non cambiati, perché questo avviene solo quando il Vangelo del Signore Gesù tocca i cuori.

In Matteo 4:23-25 leggiamo: “Gesù andava attor­no per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l'Evangelo del regno, e sanando ogni malattia e ogni infermità fra il popolo”

Ecco gli aspetti che caratterizzano l'Evangelo del Regno: l'insegnamento, la predicazione e la guari­gione. Il Nuovo Testamento mette queste cose sempre insieme. È stata la teologia evangelica tradizionale (e in questo, molte colpe vanno al dispensazionalismo) a separare l'annuncio dalla dimostrazione. Mi sorprende sempre scoprire che i Pentecostali possano essere dispensazionalisti!

II Vangelo presuppone uno scontro tra due regni: quello di Dio e quello di Satana. Gesù proclama con l'insegnamento e la predicazione autorevole, e dimostra attraverso la conversione, la guarigione e la liberazione, il dominio di Dio: “La gente stupiva della sua dottrina perché li ammaestrava come uno che ha autorità e non come gli Scribi...: Egli comanda con autorità persino agli spiriti immondi, ed essi gli ubbidiscono”. “Tutti furono presi da stupore e si dicevano l'un l'altro: Che parola è mai questa? Egli comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi... « (Mc. 1:22,27; Lc. 4:36).

Questo ci porta a una seconda coppia di termini: autorità e potenza. Credo sia chiaro ormai che queste due cose sono essenziali per manifestare e far avanzare il Regno di Dio. Questo non può avvenire tramite una semplice lettura, un insegna­mento o una predicazione della Scrittura la domeni­ca mattina. La potenza e l'autorità sono essenziali appunto perché si tratta di uno scontro tra due regni. Solo nella misura in cui attacchiamo e sconfiggiamo il nemico possiamo togliergli terreno perché più persone si sottomettano al governo di Dio.

C'è una distinzione tra autorità e potenza. L'auto­rità è la libertà di azione di Dio di disporre, fare e comandare; la potenza, l'energia che serve per imporla. La Bibbia ci rivela che l'autorità e la potenza vengono da Dio: non sono cose che conquistiamo noi attraverso l'esperienza e le sensazioni.

Il Sovrano dell'universo

La Bibbia parla, innanzitutto, dell'autorità di Dio Padre, il Giudice dell'universo, colui che ha il tremen­do diritto di gettarci all'inferno (Luca 12:5) e che non deve rendere conto a nessuno di quello che fa. Egli ha su di noi un'autorità assoluta, come il vasaio sull'argilla per plasmarla come vuole (Rom. 9:18-26), e non abbiamo alcun diritto di reclamare. Nessuno può andare a dirGli: “Perché questo? perché quello?” Dio “fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole” (Rom. 9:18). Anzi, dobbiamo essere felici e contenti di quello che Egli decide di fare di noi: è nella Sua libertà perché Egli ci ha dato la vita.

Si è dibattuto per secoli su questo tema, ma la Parola è chiara che Dio possiede questo tipo di autorità, indipendente da qualsiasi condizionamen­to. Tale è l'ordinamento dell'universo. Alla nostra mentalità umana, questo dà molto fastidio, ma la Scrittura lo dice chiaramente. Quanto umanesimo è entrato nella chiesa cristiana nell'ultimo secolo! Ma se impariamo a conoscere Dio, impariamo anche ad accettarci come siamo stati fatti.

È Lui che stabilisce il corso della storia: nulla Gli sfugge. Al di sopra di tutto ciò che avviene nel mondo, c'è un Dio sovrano che ne mantiene il controllo. Questo pensiero deve aiutarci ad essere nel riposo, qualunque cosa succeda intorno a noi.

Autorità delegata

Dio ha anche la libertà di delegare la sua autorità: in Apocalisse 6:8, lo fa all'angelo che distrugge la natura in adempimento del Suo giudizio. Gesù stesso esercita autorità su delega del Padre: “Ogni autorità mi è stata data in cielo e sulla terra” (Matt. 28:18).

Nella visione di Daniele 7:9-28, è descritta in modo sorprendente la struttura dell'autorità spirituale nell'u­niverso: “Furono collocati dei troni e l'Antico di giorni si assise... il suo trono era come fiamme di fuoco...” evidentemente è un'immagine del Padre. Al v.13: “Ecco sulle nubi del cielo venire uno simile a un Figlio dell'uomo... A lui fu dato dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno...” E al v.18: “Poi i santi dell'Altissimo riceveranno il regno e lo pos­sederanno per sempre, per l'eternità”.

Ci sono qui tre soggetti: Dio; il Figlio dell'uomo; i santi dell'Altissimo. II terzo livello di autorità è dunque la Chiesa. Questa delega è resa possibile dalla Croce e dalla Resurrezione: poiché Gesù ha vinto, portando a termine il suo mandato, può trasmetterlo alla Chiesa. “Ogni autorità mi è stata data in cielo e sulla terra. Andate dunque... lo sono con voi tutti i giorni” (Matt. 28:18-19). Noi siamo lo strumento che Dio ha scelto per spodestare i princi­pati e le potestà che si sono ribellati a Lui!

Di solito facciamo una netta differenza tra Cristo e la Chiesa: l'uno appartiene alla sfera divina, l'altra a quella umana. Invece non è così. Gesù si è identificato totalmente con l'uomo: in questo è il senso più profondo del cristianesimo. Poiché Cristo si è incarnato, noi siamo certi di vincere, Egli ne è divenuto il garante.

L'autorità è legata alla posizione, all'incarico; è oggettiva, indipendente dal soggetto che ne dispone. Quando un vigile alza la paletta, non andiamo a chiedergli qual è la sua vita familiare o come la pensa su questo e su quello: ci fermiamo al suo cenno perché è un funzionario che svolge quel tipo di lavoro.

Così tutti noi, per il solo fatto di essere credenti, possediamo autorità: non dobbiamo sforzarci di averne, l'abbiamo già. Non dipende da quanto siamo buoni o cattivi: ci è stata delegata da Dio. Quando ci confrontiamo con il diavolo, dobbiamo sapere che siamo dei funzionari di Dio, rivestiti di autorità. Il nostro riferimento è in Gesù, l'inviato di Dio sulla terra per distruggere le opere del diavolo e sottrarre gli uomini al suo potere malefico.

Cacciare demoni

La dimensione demoniaca, nei Vangeli, è essen­ziale. Oggi, quando vediamo un Carlos Annacondia cacciare i demoni, pensiamo forse che sarebbe meglio vedere qualche resurrezione; ma il Nuovo Testamento non la pensa così. L'espulsione dei demoni è centrale alla logica della strategia di Dio, perché tutta l'invasione di Gesù ha a che vedere con la cacciata di Satana. Gesù è venuto sulla terra per liberarla dal Principe di questo mondo, per cui, quando i demoni sono scacciati, sappiamo che il Regno di Dio è arrivato (Matt. 12:28).

È sorprendente come per alcuni evangelici faccia scandalo e dia fastidio l'espulsione dei demoni: essi preferiscono le guarigioni e le conversioni. E invece no. Dobbiamo recuperare la concezione del Regno dei Nuovo Testamento: i demoni devono essere cacciati, poi verranno anche le guarigioni e le conversioni!

Oggi c'è tutto un dibattito sulla questione se i credenti possano o meno avere dei demoni. Ma la Chiesa primitiva aveva l'intelligenza spirituale di assicurarsi che la gente avesse chiuso con i demoni fin dal momento della conversione. Noi, purtroppo, abbiamo perso questa accortezza; ma ora il Signore ci sta facendo recuperare la sapienza antica. Il conflitto 'demoni si - demoni no' va affrontato alla radice. Dobbiamo comprendere che nell'iniziazione alla vita cristiana è previsto anche l'esorcismo: anche questo, come il battesimo nello Spirito Santo, fa parte della “immersione in Cristo”. Se ci assicuria­mo che le persone sono liberate dai demoni sin dalla partenza, non ne saranno infastidite più tardi.

L'autorità di Gesù si manifesta, dunque, nell'in­segnamento, nell'esorcismo, ma anche nel per­dono dei peccati. E anche qui, è vero che non abbiamo confessori alla maniera cattolica, ma è falso pensare che siamo esonerati dal confessare i peccati. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che anche questo è un territorio che ci appartiene, che anche il “legare e sciogliere” fa parte dell'esercizio dell'autorità data alla Chiesa (Mt. 18:18).

Spirito e potenza

Un'altra coppia di parole intimamente collegate e spesso trovate insieme è Spirito e potenza. Lo Spirito Santo è infatti il canale della potenza, sia nei miracoli che nella predicazione e nell'edificazione della Chiesa. “Spirito” e “potenza” vanno insieme: nella misura in cui siamo in comunione con lo Spirito Santo, ne riceviamo anche l'energia. La potenza non ha a che fare tanto con l'urlare (anche se questo può essere utile qualche volta!), ma con la comunione con lo Spirito, che deve essere continua, profonda e ricercata.

Possiamo avere Cristo e lo Spirito Santo, così come possiamo avere autorità, senza manifestarne la potenza. Riceviamo lo Spirito quando nasciamo di nuovo e riceviamo Gesù come Salvatore e Signore. Noi Pentecostali dobbiamo stare attenti a non dire, nella nostra semplicità, che gli altri credenti non hanno lo Spirito: Lo hanno tutti i figli di Dio, perché “nessuno può dire: 'Gesù è il Signore', se non per lo Spirito Santo” (l° Cor. 12:3). Ma poi, questa energia deve esprimersi.

Io credo che siamo giunti a una soglia e che dobbiamo ancora fare delle conquiste in questa dire­zione. Mentre siamo grati a Dio per il cammino che abbiamo fatto e per i traguardi conquistati, miriamo ad una maggiore forza e maturità. Sono entusiasta per il livello di rivelazione a cui è già arrivata la Chiesa, ma mi aspetto nei prossimi anni un cammino ancora più glorioso, perché il Signore ci porta verso la piena manifestazione della gloria dei Suoi figli (Rom. 8:19). “L'uomo maturo” che Dio sta formando dovrà arrivare alla piena statura di Cristo: Sacerdote, Profeta e Re (Ef. 4:13). Allora la chiesa, quando si troverà davanti un indemoniato, non avrà bisogno di fare sedute di giorni e giorni per liberarlo: dirà “Esci!” e il demone uscirà.

Insoddisfatti

Fin qui il discorso sulla Parola. La preghiera, invece, ha a che fare (se mi è permessa un'osservazione forse soggettiva) con il turbamento che la Parola e lo Spirito provocano in noi per l'insufficienza che vediamo nel nostro ministero, l'evidente contrasto tra ciò che leggiamo e ciò che speri­mentiamo. Se non c'è turbamento, inquietudine, insoddisfazione, non ci inginocchieremo mai davanti a Dio: chi è già soddisfatto non sarà sicuramente uno strumento del risveglio. Se il Si­gnore non trova nella chiesa questa inquietudine, susciterà da un'altra par­te qualcuno che diventi una provoca­zione per noi.

L'insoddisfazione ci porta a cercare la presenza di Dio, dove riceviamo la rivelazione. Non parlo di rivelazioni nuove, ma di verità che sono li nella Bibbia e di cui dobbiamo appropriarci per mezzo della fede: fede stimolata in noi dalla Parola, ma anche dalla sicurezza che deriva dalla comunione con Dio. L'autorità ha infatti fondamento nel senso di identità che viene da un rapporto con Dio. Quando siamo sicuri nel rapporto col Padre e con gli altri e possiamo dire con certezza: “Questo dice il Signore”, allora diventiamo autorevoli. L'insicurezza invece ci fa perdere sia autorità che potenza.

Dobbiamo dunque dare tempo alla preghiera per costruire la nostra vita alle radici. Non che sia la preghiera stessa, come “opera”, a trasformarci e santificarci, ma la contemplazione di Dio e la comu­nione con Lui (2° Cor. 3:18). Se ci innamoriamo di Dio e comprendiamo che stare con Lui è essenziale per la nostra sicurezza, identità e salute, non avre­mo difficoltà a darGli del tempo.

Ed è vitale dedicare del tempo a parlare in lingue, perché così siamo liberati dai blocchi psicologici e sciolti dalle ferite emotive per entrare in piena comunione con la fonte che è al centro della nostra esistenza, là dove non arriva la nostra mente. Quando parliamo in lingue, le aree nascoste della nostra personalità sono portate alla presenza di Dio.

Ascoltare Dio

Ma in che modo parliamo con Dio e udiamo la Sua voce? La Scrittura dice chiaramente che Egli è un Dio che parla; ma quali sono le modalità del rapporto tra un Essere spirituale e invisibile e gli uomini che hanno un corpo ben visibile? Su quest'argomento c'è molta confusione. Spesso si dice: “Il Signore mi ha detto...”; ma come parla Dio? È un'emozione? un pensiero? Quante “profezie” non sono affatto profe­zie, ma solo pensieri umani! E’ importante che noi, come movimento dello Spirito oggi, cerchiamo una risposta equilibrata a queste domande che il cristia­nesimo ha dibattuto durante i secoli.

Questo tema è stato fonte di grosse tensioni durante la storia della Chiesa, ed è alla radice della divisione tra Cattolici e Protestanti. I Protestanti dicono: “La Parola scritta!”; ma la storia ha dimostra­to che non basta. I Pentecostali dicono: “La Parola scritta e lo Spirito Santo!”, ma evidentemente nean­che questo è sufficiente, perché le chiese si divido­no. La Chiesa Cattolica dice: “La Parola, lo Spirito e l'autorità”. Ma storicamente questo non ha funziona­to, perché in pratica l'autorità si è sostituita alla Parola e allo Spirito.

Per comprendere come possiamo sentire Dio, è importante capire la struttura dell'uomo: “...L'intero essere vostro, lo spirito, l'anima e il corpo...” (1° Tess. 5:23). Lo spirito serve per contattare il mondo spirituale, l'anima quello emotivo e intellettuale, il corpo quello fisico. Ma anche così, non è sempre facile distinguere tra i tre aspetti del nostro essere. È l'esperienza, vissuta sotto l'azione della Parola e dello Spirito e all'interno della comunità, che ci con­sente di imparare a discernere sempre meglio.

Punti di riferimento

Ci sono però alcuni riferimenti, ciascuno insuffi­ciente da solo, ma che presi insieme ci aiuteranno a distinguere la voce del Signore. Il primo è la testimo­nianza dello Spirito Santo nel nostro spirito: “...lo Spirito investiga ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1° Cor. 2:10). “Lo spirito dell'uomo è una lucerna dell'Eterno che scruta tutti i recessi del cuore” (Prov. 20:27). Possiamo sviluppare la sensibilità del nostro spirito, imparando a dipendere da Colui che vive in noi e coltivando il rapporto con lo Spirito di Dio. Uno spirito allenato e rinnovato mediante l'azione dello Spirito Santo può, nella misura in cui matura, ascol­tare e discernere la voce di Dio.

Un secondo elemento è la testimonianza della coscienza. La coscienza è di per sé uno strumento ambiguo, influenzata dalla nostra formazione, dalle circostanze, dalla cultura: ciò che per alcuni è bene, per altri è male. Può essere però uno strumento sensibile nelle mani di Dio: “Io dico la verità in cristo, non mento, perché me lo attesta la mia coscienza nello Spirito Santo...” (Rom. 9:1). Dobbia­mo offrire i nostri corpi quotidianamente in sacrificio vivente a Dio e lasciare che la nostra mente sia rinnovata dalla Sua Parola (Rom. 12:1-2).

Ma un'ultima guida, spesso trascurata, che è an­che una garanzia, è la conferma della chiesa. La sicurezza nasce non solo dal rapporto con Dio, ma anche da coloro che ci stanno intorno. Abbiamo bisogno di essere collocati nel tempo e nello spazio e di sapere chi è sopra di noi e sotto di noi. Non si può vivere una vita cristiana completa fuori dalla chiesa.

Il cammino va fatto dunque nella chiesa e con la chiesa. E qui non siamo tutti uguali: ecco un'altra idea umanistica che non c'entra con la Scrittura. Dio ha costituito delle autorità per guidare la chiesa: prima degli apostoli, poi profeti, pastori, insegnanti, anziani. Solo perché la Chiesa Cattolica ha abusato dell'auto­rità, non dobbiamo buttare il bambino insieme con l'acqua sporca, ma piuttosto recuperare le autentiche strutture di autorità insegnate nella Parola di Dio.

In queste due aree dunque - la Parola e la pre­ghiera - dobbiamo crescere per diventare una Chiesa matura ed equilibrata, capace di ascoltare il Signore. La via alla potenza è cercare Dio attraverso la Parola e attraverso la comunione personale con Lui.

RISTABILIERE IL TABERNACOLO DI DAVIDE - I Parte

di Susan Perkins McNally, Ph. D.

Questo è il primo di due insegnamenti di questa profetessa cristiana. La sua dotta e spirituale analisi darà, sono certo, un'intenso aiuto ed un rinnovato slancio a tutti coloro che siano stati unti dal Signore per far parte dell'armata della nuova costruzione mistica del tabernacolo di Davide nell'Adorazione a Jeshua il vivente! Buona meditazione!


Questi è uno dei due messaggi che sono stati dati in un seminario “Aglow”, nell'Agosto 1996. Sono poi stati pubblicati e diffusi.
Vi rendete conto che nell'anno 1995 il popolo d'Israele, e coloro che amano la Parola del Signore e il Signore della Parola, hanno celebrato l'anniversario di 3.000 anni della fondazione della città di Gerusalemme da parte del Re Davide?
E' stato un momento speciale sia per questo capitolo che per il Signore. Il Nemico era venuto come una furia contro di noi perché sapeva che ciò che avrebbe avuto luogo gli provocava gran timore. Egli non vuole che voi apprendiate queste cose e, soprattutto, e che le mettiate in pratica.
Il compito dei profeti degli ultimi giorni è quello di dire: “Pentitevi, perché il Giorno del Signore è alle porte!” e di annunziare la venuta del Signore come il Leone della tribù di Giuda e l'Agnello come lo Sposo.
Il compito degli apostoli degli ultimi giorni è quello di guidare il corpo di Cristo (il Messia) ad avere un'intimità con il nostro Sposo ed anche quello di restaurare le antiche rovine.
Il Tabernacolo di Davide è una parte di quest'opera di restaurazione.
Sicuramente, il ristabilire il Tabernacolo di Davide è una parte incredibilmente imponente del piano di Dio, per renderci partecipi della fondazione del Suo Regno.
Tramite la restaurazione del Tabernacolo di Davide avrà origine lo spirito Apostolico così che potremo entrare in nuovi territori, abbattere fortezze, selezionare, addestrare e far uscire nuove guide pronte per i loro incarichi e con la giusta unzione, e così stabilire il regno di Dio in tutta la terra.
Questa importantissima restaurazione non avverrà semplicemente in due o tre giorni nel corso di un convegno d'adorazione. Non avrà luogo nemmeno nello spazio di un paio d'anni. Le fondamenta di questo tabernacolo sono poste in questi giorni ed in altri che sono già stati designati per l'adorazione, ma l'intera opera richiederà molti anni.
Nel mondo dei doni naturali e della religiosità, siate aperti e pronti ad imparare. Possa il Signore benedirvi grandemente per aver scelto di avvicinarvi a Dio e passare un tempo in lode e adorazione.
Nel tempo in cui mi preparavo per questa presentazione, il Signore mi dette una parola:
Il Signore vuole dirvi: “Alzatevi, figlie Mie; alzatevi, figli Miei! Risvegliatevi dal vostro sonno e cercate il Mio volto, perché ora, proprio adesso Mi accingo a giudicare la terra, e ad apparire su di voi, i Miei bambini. Alzatevi, alzatevi e splendete, figlie Mie; alzatevi e splendete, figli Miei, perché Io, il Signore Dio d'Israele sono venuto come il fuoco del raffinatore, e come il sapone del tintore. Io brucerò le vostre scorie con il Mio splendore. Io consumerò le vostre tenebre. Io vi trasformerò a somiglianza di Mio Figlio. Io ristabilirò i vostri giudici come ho promesso, e dopo che avrete passato il vostro travaglio, dopo che vi sarete pentiti, sarete chiamati la città della giustizia, la città fedele. Alzatevi e splendete, perché la vostra Luce si avvicina; Egli è alle porte. Poiché vedete che le tenebre stanno coprendo la terra, e delle tenebre fitte i popoli, ma il Signore si alzerà su di voi, su coloro che Mi cercano nell'adorazione, nella preghiera, nel digiuno,e la Mia gloria sarà su di voi!
Isaia è un libro molto importante per questi ultimi giorni e se lo conoscete, insieme ai libri degli altri profeti, riuscirete a vedere che la parola che ho ricevuto è un aggiornamento di alcune delle cose che il Signore ha detto allora.
Quello che è successo ad Azusa Street all'inizio del secolo ha rivoluzionato il mondo. Da quell'effusione, il battesimo dello Spirito Santo (Ruach ha Kodesh) si è esteso per tutta la terra. Quello che è in arrivo eclisserà ciò che è avvenuto ad Azusa Street.
Un giorno d'adorazione ad Azusa Street poteva iniziare il mattino ed arrivare sino ad oltre la mezzanotte. L'adorazione sotto forma di cantare e battere le mani poteva durare da 15 minuti a 2 ore. A volte era come se la folla radunata si fosse dimenticata come cantare in inglese; nuove lingue e meravigliose armonie fluivano semplicemente dalle loro voci. Azusa St. è considerata l'evento nella storia in cui è stata manifestata la più grande effusione dello Spirito Santo e tuttavia sappiamo che il Signore ha conservato il vino migliore per ultimo. Avete sete?
Torniamo indietro e rivediamo:
Come fu stabilito il Tabernacolo di Davide
I capitoli attinenti si trovano in I Samuele 4-7 e I Cronache 13.
Dopo che gli Israeliti conquistarono Canaan, l'Arca del Patto, che era il luogo della presenza di Dio, fu collocata nel Tabernacolo di Mosè a Sciloh. Durante il declino spirituale del sacerdozio di Eli e dei suoi figli, l'Arca fu catturata dai Filistei (I Sam. 4:10-11, 22).
I Filistei restituirono l'Arca ad Israele dopo che Dio li colpì con delle piaghe a motivo dell'Arca (I Sam. 5; 6:1-18). Gli uomini di Beth-Scemesh ricevettero l'Arca dai Filistei, ma Dio colpì anche loro con una piaga perché guardarono dentro (I Sam. 6:19-20). La città di Kiriath-Jearim poi ricevette l'Arca.
Essa rimase nella casa di Abinadab per vent'anni, perché Saul non si era mai interessato ad essa! (I Sam. 7:1-2; I Cron. 13:3; I Sam. 6:7-12)
Quando Davide divenne re, portò l'Arca con tutto Israele verso Gerusalemme, ma Dio li giudicò per averla trasportata illegittimamente su di un carro (nel modo in cui era venuta dai Filistei). Nella Sua Parola il Signore aveva dato istruzioni ai Leviti di trasportare l'Arca su delle stanghe.
Durante questo viaggio verso Gerusalemme il luogo scelto da Dio, il carro toccò una pietra ed iniziò a capovolgersi, tanto che Uzza, slanciatosi per fermarla, la toccò. Il Signore colpì istantaneamente Uzza facendolo morire per aver trasgredito i Suoi ordini. Davide si arrabbiò con il Signore ed ebbe paura di Lui. Lasciò l'Arca nella casa di Obed-Edom, e l'uomo e la sua famiglia furono grandemente benedetti. (I Cron. 13:6-14).
Davide tornò a casa e si prostrò con la faccia a terra in preghiera e ricercò intensamente Dio nella Parola apprendendo, così, il metodo giusto per trasportare l'Arca.
Dopo che Davide cercò il Signore con tutto il suo cuore , gli fu data una rivelazione dell'importanza dell'adorazione in cielo ed una chiave per vincere le battaglie degli ultimi giorni.
Apocalisse 19:4
“E i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi si gettarono giù e adorarono Iddio che siede sul trono, dicendo: Amen! Alleluia!”
L'ordine del giorno in cielo è l'adorazione continua , ed essa sarà ristabilita prima del Suo ritorno.
Apocalisse 4:8
“E le quattro creature viventi avevano ognuna sei ali, ed erano piene d'occhi all'intorno e di dentro, e non smettevano mai, giorno e notte, di dire: Santo, Santo, Santo è il Signore Iddio, l'Onnipotente, che era, che è , e che viene.”
Dopo aver visto l'adorazione celeste, Davide con tutto Israele portò l'Arca al Tabernacolo di Sion a Gerusalemme che Davide aveva costruito intenzionalmente. (I Cron. 15:11-18 Num. 4:15) A questo punto Davide depose le sue vesti regali e fece una cosa strana; danzò davanti all'Arca nelle vesti di lino di un sacerdote, così come noi dobbiamo fare oggi e nei giorni che verranno. Selah; meditate su questo.
Che cos'è Sion? “Sion, Ebraico Si-yon – una capitale permanente; considerevole; un pilastro monumentale o di guida. Dalla radice s-w-n deriva il significato di proteggere, difendere; da qui il nome ha preso il significato di un posto di difesa o di una fortezza. E' chiamata la Città di Davide. In Ebraico la frase “…essi entreranno per attendere al servizio del tabernacolo…” significa: “combattere la guerra del tabernacolo!”
Il Signore sta preparando un potente esercito di guerrieri. Molti saranno assegnati a Gerusalemme. Sion è il posto dove sarà combattuta la battaglia della fine di quest'era; è il luogo di dimora di Dio. Il Suo nome è Emanuele, Dio è con noi! Baruch hashem!
A motivo della rivelazione che Dio diede a Davide, egli fece molte cose nuove nel ristabilire il tabernacolo per l'Arca. Il Signore guidò Davide a stabilire un secondo tabernacolo. Davide pose l'Arca in un nuovo tabernacolo invece di riporla nel tabernacolo di Mosè dove si trovava originariamente. (I Cron. 16:1)
Egli diede anche istruzioni a Davide per un nuovo posto dove sistemare questo nuovo tabernacolo.
Il tabernacolo di Mosè si trovava a Gabaon, un luogo di collina a diversi chilometri di distanza al nord di Gerusalemme.
Davide costruì il suo tabernacolo a Sion, la città di Davide, adiacente a Gerusalemme. Il luogo di Sion venne da allora in poi indicato come il luogo della presenza di Dio e il luogo dell'adorazione.
Il Signore guidò Davide anche ad ordinare un nuovo sacerdozio (non prescritto nei libri Levitici di Mosè) affinché ministrassero nell'adorazione e nella lode al cospetto del Signore e che si muovevano profeticamente mediante lo Spirito di Dio (Ruach ha Kodesh).
Un ministero guidato dallo spirito! (I Cron. 16:1, 4-7)
Dal momento che Dio guidò il Suo popolo in tutto questo, ci fu una nuova audacia alla presenza di Dio. Dal momento che Davide era stato introdotto in Sua presenza e gli era stata data una rivelazione di quello che Gesù avrebbe realizzato con la Sua morte, lo squarciamento della cortina, ricevette istruzioni di far ministrare il sacerdozio di Sion “davanti all'Arca”, una cosa proibita sotto la Legge di Mosè. (I Cron. 16:4)
Il Re Davide istituì un ordine completamente nuovo d'adorazione con l'ordinazione di un nuovo sacerdozio di cantori e musicisti che adoravano e lodavano il Signore continuamente davanti all'Arca. (I Cronache 15 e 16)
Quest'adorazione intensificata portò alla composizione di nuove canzoni, canzoni profetiche. Una delle parole principali in Ebraico per “canzone” è “massah”.
Questa parola ha un triplice significato:
una canzone profetica;
un peso (profetico) che è innalzato;
l'innalzamento dell'arca.
Il sacerdozio di Sion imparò ad andare davanti alla presenza del Signore non con sacrifici animali, ma con il canto e la composizione musicale, sotto l'unzione divina.
(Salmo 100, Ebrei 13:15; Salmo 50:8-14; 51:15-17)
Il nuovo Tabernacolo di Davide fu edificato mentre contemporaneamente le cerimonie più tradizionali e ritualistiche erano osservate nel Tabernacolo di Mosè a Gabaon, a nord di Sion. (I Cron. 16:37-39)
I sacerdoti nel Tabernacolo di Mosè non potevano mai oltrepassare la cortina ed entrare nel Santissimo dove si trovava l'Arca del Patto, ma dovevano attuare i loro rituali cerimoniali al di fuori. A rendere peggiore questo stato di cose, durante il ministero di Samuele, fu la cattura dell'Arca del Patto da parte dei Filistei e al suo ritorno non fu mai rimessa dal Re Saul nel Santissimo, così durante tutto il regno sia di Saul che di Davide, il sacerdozio Levitico nel Tabernacolo di Mosè compiva i rituali senza l'arca dietro la cortina. Il luogo Santissimo era vuoto!
Una tipologia dei servizi Giudeo-Cristiani vuoti, senza la presenza del Signore!
I servizi nel Tabernacolo di Davide erano contrassegnati dal canto, dal gioire nella danza, dal battere le mani di gioia, dalle grida di gioia, dall'adorazione con gli strumenti e il profetizzare nuove canzoni del Signore: Una “Azusa Street” di quei tempi.
I servizi nel Tabernacolo di Mosè continuavano a compiere sacrifici animali, accensione di candele, bruciare l'incenso, presentazione del pane, ecc.; tutti simbolismi importanti. Durante il regno del Re Davide, Dio parlò in modo profetico dicendo che
Egli aveva abbandonato il cerimonialismo del Tabernacolo di Mosè scegliendo invece la lode e l'adorazione profetica del Tabernacolo di Davide sul Monte di Sion. (Salmo 78:60, 68)
Dio era talmente compiaciuto dall'amore e dall'adorazione di Davide che la Shekinah (Gloria di Dio) adesso era posta sul Tabernacolo di Davide a Sion dove era stata collocata l'Arca del Patto.
Davide doveva ancora mantenere l'offerta di sacrifici animali ordinati da Mosè a Gabaon, in quanto il sacrificio finale del Messia non era ancora stato offerto.