lunedì 7 aprile 2008

Gli occhi materiali sono inutili per contemplare Dio


di Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale, 9,1-3

E` veramente impossibile riconoscere Dio con gli occhi della carne dal momento che ciò che è incorporeo non può essere percepito dallo sguardo materiale. D`altronde è proprio l`unigenito Figlio di Dio a confermarcelo dicendo: Nessuno ha mai visto Dio (Gv 1,18). E allora, anche se qualcuno comprende quanto si legge in Ezechiele nel senso che il profeta abbia quasi veduto Iddio, ascolti bene ciò che afferma la Scrittura. Il profeta vide una somiglianza della gloria del Signore (Ez 2,1): non il Signore in persona, ma unicamente una «somiglianza della sua gloria», quindi neppure la sua vera gloria com`è in realtà. Eppure, benché avesse contemplato soltanto una parvenza della gloria divina, e nemmeno la gloria vera, il profeta stramazzò a terra per lo sgomento. Perciò, se il trovarsi di fronte ad una semplice somiglianza della gloria di Dio atterriva e sconcertava a quel modo persino i profeti, quando qualcuno ardisse fissare il proprio sguardo su Dio stesso, perderebbe la vita. E` la Scrittura stessa a testimoniarcelo: Nessuno vedrà il mio volto, e continuerà a vivere (Es 33,20).
Per questo motivo Dio, nella sua infinita bontà, ha disteso il cielo come un velo che nascondesse la sua divinità, perché noi non morissimo. Non è una mia opinione questa, ma è il profeta stesso ad affermare: Se spalancassi i cieli, il timore di te s`impadronirebbe dei monti fino a farli scomparire (Is 64,1). Perché allora ti meraviglia il fatto che Ezechiele stesso, nel contemplare una semplice parvenza della gloria divina, cadde al suolo?
Quando il servo di Dio Gabriele apparve a Daniele, costui ne rimase subito sconcertato e, a una simile vista, stramazzò anch`egli a terra. Né il profeta osò rispondere, fino a quando l`angelo non trasformò il proprio aspetto in quello di un figlio d`uomo (cf. Dn 8,17; 10,15-16). Se la vista di Gabriele faceva tremare i profeti, nel caso in cui Dio in persona si fosse mostrato nella sua essenza, non sarebbero forse tutti morti?
Non è quindi concesso a occhi corporei di contemplare la natura divina; dalle opere divine siamo tuttavia in grado di farci un`idea della sua potenza, secondo quanto afferma lo stesso Salomone: Infatti dalla grandiosità e bellezza delle creature è dato riconoscere, con le dovute proporzioni, il loro creatore (Sap 13,5). D`altronde, egli non afferma che dalle creature si perviene senz`altro ad un`adeguata comprensione del loro creatore, ma aggiunge anzi «con le dovute proporzioni». E allora, tanto più maestoso apparirà a ciascuno Dio, quanto più sublime sarà stata la contemplazione delle creature raggiunta dall`uomo. Quando, infatti, costui avrà elevato la propria anima sulle vette più alte della contemplazione, egli si formerà altresì intorno a Dio una conoscenza più profonda.
Vuoi sapere che non è possibile conoscere l`essenza di Dio? Lo affermano i tre fanciulli che nella fornace lodano Dio: Benedetto sei tu che scruti gli abissi, sedendo sui cherubini (Dn 3,55). Dimmi un po` come sono fatti i cherubini; e soltanto allora, provati a discernere colui che siede sopra di loro. Il profeta Ezechiele, per quanto possibile, abbozzò una loro descrizione, dicendo: Quattro volti ciascuno; uno d`uomo, un altro di leone, un terzo d`aquila, l`ultimo di vitello (Ez 1,6); e sei ali ciascuno (Is 6,2); e occhi dappertutto (Ap 7,8); e sotto ognuno di loro una ruota divisa in quattro parti (Ez 10,12). Pur tuttavia, nonostante questa descrizione profetica, non siamo ancora in grado di farcene un`idea esatta. Se, infatti, non ci sentiamo capaci di discernere il trono, che il profeta ha appena descritto, come potremo mai comprendere colui che vi siede sopra, I`invisibile e ineffabile Iddio?
E` davvero impossibile capire bene che cosa sia Dio. Quando osserviamo le sue opere, però, ci è possibile innalzare a lui delle lodi.

Rm 10, 9-10


Poiché se confesserai con la tua bocca

che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore

che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

Sembra dire: vedi che credere non è poi così difficile! Conseguenze della “parola della fede”:
- con la bocca parli di Lui – “se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore” – non vergognarti di dire che sei discepolo di Cristo!
- con il cuore (il “sesto senso, l’attenzione, la ragione più profonda) credi che è risorto, cioè riconosci le sue presenze oggi con te – “e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti” – una fede che è esperienza di incontro con Cristo vivo.
Una garanzia di fede sincera è se non ci si vergogna di manifestarla. Una fede che si manifesta quindi è una fede sincera.
Ma soprattutto: la salvezza è la vita trinitaria, la vita trinitaria è donare, fare comunione:
- Confessare davanti agli altri che Gesù è il Signore, è donare loro, è condividere con loro la fede in Gesù. E’ quindi vivere la salvezza, la vita trinitaria.
- Non confessare la fede, nasconderla, tenerla per sé sarebbe mettersi al di fuori della salvezza, al di fuori della vita trinitaria.
Non tenersi la fede per sé è Salvezza – vita trinitaria.

“… sarai salvo
Allora Cristo è veramente il fine dalla Legge. La legge serviva per dare la salvezza, e la fede in Cristo dà la salvezza.
Salvarsi con tante opere è complicato. Dio ti dà un modo più semplice: “Credi che Gesù è risorto ed urla nel tuo intimo: ‘Signore Gesù’!”, lui non rimarrà indifferente, Lui risponderà. Anzi, il fatto stesso che tu intimo invochi Gesù come Signore è segno che sei già salvo, che c’è già lo Spirito Santo in te che ti sta salvando (vedi Prima Corinti 12,3).
sarai salvo
Se la salvezza vera è Cristo, riconoscere Cristo risorto qui presente e non vergognarsi di Lui è già salvezza.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
“per ottenere la giustizia” + “per avere la salvezza”
La fede ha due effetti:
- la santità, le opere (la giustizia-giustificazione-santità)
- il paradiso (la salvezza)
Credi a Gesù risorto (cioè credi alla fonti di Dio) e avrai la santità. Urla “Signore Gesù!” e avrai il Paradiso.
riassumiamo:
- con il cuore riconosci Gesù risorto, lo accogli, lui ti trasforma, ottieni la giustizia (ecco perché dice sia “crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti” che “con il cuore si crede per ottenere la giustizia” – la seconda cosa è conseguenza della prima)
- con la bocca parli di Gesù, cresce in te la vita di Dio, la vita eterna, ecco la salvezza (ecco perché dice “se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore … sarai salvo” e anche “con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”)
(NOTA Giustizia e salvezza in pratica indicano la stessa realtà).
Abbiamo dimostrato pienamente che Cristo è il fine della Legge, la nuova Legge. La legge serviva per due cose: per ottenere la giustizia e la salvezza. Cristo ti fa raggiungere le medesime cose: la giustizia e la salvezza.
Sintesi del versetto:
- La fede è il permesso a Dio per la giustificazione
- Questa fede non dobbiamo tenercela per noi
- Dobbiamo testimoniarla agli altri, perché è vivere la vita trinitaria, che è condividere e donare anche le cose più personali, come la fede.

COSA SIGNIFICA ADORARE DIO?


di Pier Angelo Piai

Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, Lui solo adorerai (Lc 4,8)

Adorare è investire tutto su ciò per cui si crede profondamente. Adorare Dio è il massimo investimento che possiamo fare perché è Lui la Verità e chi ricerca la verità è sulla strada della Via Eterna.
Adorare Dio significa anche riconoscere che Lui è l'unico Signore della nostra vita e che ogni cosa che facciamo è in vista di Lui. Qualsiasi cosa deve essere compiuta per Lui ed in vista di Lui, eccetto il male. AdorarLo vuol dire anche fidarsi ciecamente di Lui, averlo sempre presente nella mente e nel cuore, darsi da fare per farlo contento.
Egli gioisce se ci si occupa di Lui spontaneamente e senza condizionamenti. Fin da bambino l'uomo-Gesù ha sempre messo il Padre al primo posto. Nel tempio, tra i dottori, ancora dodicenne dice ai genitori che erano venuti a cercarlo Non sapevate che dovevo occuparmi delle cose del Padre mio? (Lc.2,49) Quando non sappiamo come adorare il Padre bisogna riflettere e meditare bene la vita di Gesù e dei suoi santi perché troviamo tanti lumi e riferimenti. Dio si è incarnato proprio per mostrarci la Via della verità e della vita perché "non di solo pane vivrà l'uomo".
La vera occupazione di Gesù è stata quella di obbedire e far amare il Padre nello Spirito. Egli ci ha sempre esortato attraverso parole e gesti a non vivere addormentati nello spirito, ma ad essere desti in continua adorazione del Padre, nella preghiera, nella ricerca, nel cercare di compiere la sua volontà, anche se amara. Ci ha insegnato che Dio è dentro di noi e che bisogna adorarlo nella purezza e nella consapevolezza che siamo il suo tempio e che dobbiamo permettergli di cacciare i venditori e tutte le cianfrusaglie che ci impediscono un rapporto trasparente con Lui che è la Trasparenza. Gesù dedicava anche le notti al Padre e spesso si ritirava sul monte a pregare.
Adorare il Signore significa anche ascoltarlo, porre estrema attenzione alle sue parole ma anche al linguaggio con cui Egli ci comunica se stesso in ogni momento della vita attraverso gli eventi e la Creazione. Egli non trascura nessuno perché ama tutti. Adorarlo vuol dire anche credere a questo suo immenso amore per ogni creatura e credere anche alla sua infinita misericordia.
Anche se dovessimo sentirci i più meschini ed inetti di tutta l'umanità, dobbiamo credere che Egli copre tutto con la sua misericordia, perché Egli ha espiato le nostre colpe sulla Croce. Adorarlo tramite la croce, quindi, è una cosa fortemente gradita al Padre perché Egli si commuove per l'immenso gesto d'Amore di suo Figlio che ha accettato una morte così dolorosa. Chi unisce il suo disagio a quello di suo Figlio lo adora veramente. Chi entra nell'ottica dell'adorazione di Dio vive già in anticipo su questa terra le gioie del Cielo.

CONTEMPLA !


La sola via per entrare nella gioia della contemplazione è quella di ridursi a un punto evanescente e di essere assorbito in Dio passando attraverso il centro del tuo nulla.(T.Merton)

L'uomo più pericoloso del mondo è il contemplativo che non si lascia guidare da nessuno.(T.Merton)

Quanti sono coloro che hanno soffocato le prime scintille della contemplazione, accumulando legna sul fuoco prima che questo fosse ben acceso. Lo stimolo della preghiera interiore li eccita al punto che essi si abbandonano ad ambiziosi progetti per catechizzare e convertire il mondo, mentre Dio chiede loro soltanto di stare tranquilli, di mantenersi in pace, attenti al lavorìo segreto che Egli ha iniziato nelle loro anime. (T.Merton)

La via che conduce a Dio passa attraverso una tenebra profonda, nella quale ogni conoscenza, ogni sapienza creata, ogni piacere e prudenza, ogni speranza ed ogni gioia umane vengono distrutte ed annullate dalla soverchiante purezza della luce e della presenza di Dio. (T.Merton)

La vita religiosa è una grande impresa, non bisogna donarvisi a metà. E' meglio rinunciarvi che donarvisi a metà. (Gesù a Suor M.E. della Trinità)

La vita religiosa è una sì grande cosa che se una postulante venisse a morire anche dopo pochi giorni di postulantato essa conoscerebbe per tutta l'eternità un grado di carità molto più grande di quello che avrebbe conosciuto se fosse rimasta nel mondo. Qualche giorno la separa dal mondo, ma di già nella sua anima un abisso ne la separa, poichè esa ha compiuto questo atto interiore di donarmi la sua libertà. Gesù a Suor M.E. della Trinità)

Ascolta il mio silenzio: è così che bisogna adorare Dio. Guarda bene l'Ostia :quanto è fragile! Così la mia Grazia! Io vi sono vivente, in presenza invisibile, ma reale. Così l'anima tua nel tuo corpo. Gesù a Suor M.E. della Trinità)

Io trovo nella maggioranza delle anime tumulto: conflitti di desideri opposti alle preghiere che le labbra formulano; tumulto di ambizioni, di interessi personali ..., tumulto d'affezioni esclusive, di giudizi, di paragoni con gli altri che vi distraggono dal vostro dovere; tumulto di inquietudini e di preoccupazioni temporali che soffocano lo spirito di fede. Io desidero trovare nelle vostre anime un silenzio immenso come l'oceano dove affondano tutte le cose passeggere, un silenzio immenso, come la maestà di Dio. Allora dal più profondo della vostra anima voi sentirete salire una dolce voce: sono io. Sono io che desidero rivivere in voi...Prestatemi la vostra umanità...fate quanto vi dico... (Gesù a Suor M.E. della Trinità)

La contemplazione, mediante la quale conosciamo ed amiamo Dio quale Egli è in se stesso, afferrandoLo in una esperienza profonda e vitale, che è oltre il raggio di ogni naturale capacità intellettiva, è la ragione per cui Dio ci ha creati.(T.Merton)

La più vivida delle esperienze naturali è come sonno in confronto a quel risveglio che è la contemplazione...Sembri essere la stessa persona e sei la stessa persona che sei sempre stata; in realtà sei più te stesso di quanto non lo sia mai stato. hai appena cominciato ad esistere. hai l'impressione di essere finalmente nato davvero. Tutto quello che avvenuto prima era un inganno, una incerta preparazione alla nascita. Ora sei venuto alla luce nel tuo elemento. Eppure ora sei divenuto un nulla. Sei sprofondato nel centro della tua povertà, e qui hai sentito le porte aprirsi su una libertà infinita, su una ricchezza che è perfetta perché di essa niente ti appartiene, eppure essa ti appartiene tutta. (T.Merton)

Lo stato dell'anima in contemplazione è qualcosa di simile a quello di Adamo ed Eva in Paradiso. Tutto è tuo, ma a una condizione infinitamente importante: che sia tutto dato. Non vi è nulla che tu possa reclamare, nulla che tu possa chiedere, nulla che tu possa prendere. E appena cerchi di prendere qualcosa come se fosse tua - perdi il tuo Eden.(T.Merton)

La via ordinaria alla contemplazione passa attraverso un deserto senza alberi, senza bellezza e senza acqua. lo spirito entra nela solitudine e cammina alla cieca in direzioni che sembrano condurre lontano dalla visione, lontano da Dio, lontano da ogni pienezza e dal ogni gioia. (T.Merton)

Finché si è sulla terra, il profitto non sta nel procurare di maggiormente godermi, ma di fare la mia volontà. (Gesù a S.Teresa d'Avila)

Non pensare che a me, non pensare che a piacermi: io ti trasformerò. (Gesù a Suor Maria della Trinità)

La solitudine fa quasi l'ufficio della gioventù; o certo ringiovanisce l'animo, ravvalora e rimette in opera l'immaginazione e rinnova nell'uomo sperimentato i benefici della prima inesperienza. (G.Leopardi)

CONTEMPLANDO TE, TUTTO VIEN MENO

(riflessioni sull’Eucaristia di padre Raniero Cantalamessa)

ADORO TE DEVOTE
Un certo modo di parlare dell’Eucaristia, pieno di calda unzione e devozione oltre che di profonda dottrina, scacciato dall’avvento della teologia cosiddetta “scientifica”, si è rifugiato negli antichi inni eucaristici ed è qui che dobbiamo oggi andarlo a ricercare, se vogliamo superare un certo arido concettualismo che ha afflitto il sacramento dell’altare in seguito alle tante dispute intorno ad esso. La nostra, però, non vuole essere una riflessione sull’Adoro te devote, ma sull’Eucaristia! L’inno è soltanto la mappa che ci serve per esplorare il territorio, la guida che ci introduce all’opera d’arte.
1. Una presenza nascosta

In questa meditazione riflettiamo sulla prima strofa dell’inno. Essa dice:


Adóro te devóte, latens Déitas, quae sub his figúris vere látitas:

tibi se cor meum totum súbicit, quia te contémplans totum déficit.


Devoto io adoro, ascosa deità, te che sotto i segni sei in verità cuore e corpo mio ai tuoi piedi metto, contemplando te vien meno tutto. Sono stati fatti tentativi di stabilire il testo critico dell’inno in base ai pochi manoscritti esistenti anteriori alla stampa. Questo, come altri venerandi inni liturgici latini del passato, appartengono alla collettività dei fedeli che lo hanno cantato per secoli, lo hanno fatto proprio e quasi ricreato, non meno che all’autore che lo ha composto, spesso, del resto, rimasto anonimo. Il testo divulgato non ha meno valore del testo critico ed è con esso infatti che l’inno continua ad essere conosciuto e cantato in tutta la Chiesa. In ogni strofa dell’Adoro te devote c’è un’affermazione teologica e una invocazione che è la risposta orante dell’anima al mistero. Nella prima strofa la verità teologica evocata riguarda il modo di presenza di Cristo nelle specie eucaristiche. L’espressione latina “vere latitas” è densissima di significato; vuol dire: sei nascosto, ma ci sei veramente (dove l’accento è sul “vere”, sulla realtà della presenza) e vuol dire anche: ci sei veramente, ma nascosto (dove l’accento è su “latitas”, sul carattere sacramentale di questa presenza). Per comprendere questo modo di parlare dell’Eucaristia bisogna tener conto della “grande svolta” che si verifica circa l’Eucaristia nel passaggio dalla teologia simbolica dei Padri e quella dialettica della Scolastica. Essa ha i suoi remoti inizi nel secolo IX, con Pascasio Radberto e Ratramno di Corbie: il primo difensore di una presenza fisica e materiale di Cristo nel pane e nel vino, il secondo di una presenza vera e reale, ma sacramentale, non fisica; esplode però apertamente solo più tardi, con Berengario di Tours (H 1088) che accentua a tal punto il carattere simbolico e sacramentale di Cristo nell’Eucaristia da compromettere la fede nella realtà oggettiva di tale presenza. Mentre prima si diceva che Cristo nell’Eucaristia è presente sacramentalmente, o, secondo gli orientali, mistericamente, ora, con un linguaggio mutuato da Aristotele, si dice che è presente sostanzialmente, o secondo la sostanza. Figura non indica più, come sacramentum, l’insieme dei segni con cui si realizza la presenza di Cristo, ma semplicemente le “specie o apparenze” del pane e del vino, nel linguaggio tecnico, gli accidenti [3]. Il nostro inno si colloca chiaramente al di qua di questa svolta, anche se evita il ricorso ai nuovi termini filosofici, poco appropriati in un testo poetico. Nel verso “quae sub his figuris vere latitas”, il termine figura indica le specie del pane e del vino in quanto nascondono quello che contengono e contengono quello che nascondono [4].

2. In devota adorazione

Dicevo che in ogni strofa dell’inno troviamo un’affermazione teologica seguita da una invocazione con cui l’orante risponde ad essa e si appropria della verità evocata. All’affermazione della presenza reale, anche se nascosta, di Cristo nel pane e nel vino l’orante risponde sciogliendosi letteralmente in devota adorazione e trascinando con sé, nello stesso movimento, le innumerevoli schiere di anime che per oltre mezzo millennio hanno pregato con le sue parole.

Adoro: questa parola con cui si apre l’inno è da sola una professione di fede nell’identità tra corpo eucaristico e il corpo storico di Cristo, “nato da Maria Vergine, che veramente ha patito e fu immolato sulla croce per l’uomo”. È solo grazie a questa identità infatti e all’unione ipostatica in Cristo tra umanità e divinità, che noi possiamo stare in adorazione davanti all’ostia consacrata, senza peccare di idolatria. Già S. Agostino diceva: “In questa carne (il Signore) ha qui camminato e questa stessa carne ci ha dato da mangiare per la salvezza; e nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata... Noi non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo” [5]. Ma in che consiste propriamente e come si manifesta l'adorazione? L'adorazione può essere preparata da lunga riflessione, ma termina con una intuizione e, come ogni intuizione, essa non dura a lungo. E' come un lampo di luce nella notte. Ma di una luce speciale: non tanto la luce della verità, quanto la luce della realtà. E' la percezione della grandezza, maestà, bellezza, e insieme della bontà di Dio e della sua presenza che toglie il respiro. E' una specie di naufragio nell'oceano senza rive e senza fondo della maestà di Dio. Un'espressione di adorazione, più efficace di qualsiasi parola, è il silenzio. Adorare, secondo la stupenda espressione di san Gregorio Nazianzeno, significa elevare a Dio un "inno di silenzio".

Il senso dell’adorazione è rafforzato, nel nostro inno, da quello della devozione: adoro te devote. Il medioevo ha dato a questo termine un significato nuovo rispetto all’antichità pagana e anche cristiana. Con esso si indicava all’origine l’attaccamento a una persona, espresso in un fedele servizio e, nell’uso cristiano, ogni forma di servizio divino, soprattutto quello liturgico della recita dei salmi e delle preghiere. Nei grandi autori spirituali del medio evo la parola si interiorizza; passa a significare non delle pratiche esteriori, ma le disposizioni profonde del cuore. Per S. Bernardo essa indica “il fervore interiore dell’anima accesa dal fuoco della carità” [7]. Con S. Bonaventura e la sua scuola la persona di Cristo diventa l’oggetto centrale della devozione, intesa come il sentimento di commossa gratitudine e amore suscitato dal ricordo dei suoi benefici. Il Dottore angelico dedica due interi articoli della Somma alla devozione, che considera il primo e più importante atto della virtù di religione [8]. Per lui essa consiste nella prontezza e disponibilità della volontà a offrire se stessa a Dio che si esprime in un servizio senza riserve e pieno di fervore. Questo ricco e profondo contenuto è andato purtroppo in gran parte perduto in seguito, quando al concetto di “devozione” si è affiancato quello di “devozioni”, cioè di pratiche esteriori e particolari, dirette non solo a Dio, ma più spesso a santi o a particolari luoghi, titoli e immagini. Si è tornati in pratica al vecchio significato del termine. Nel nostro inno l’avverbio devote conserva intatta tutta la forza teologica e spirituale che l’autore stesso (se esso è Tommaso d’Aquino) aveva contribuito a dare al termine. La migliore spiegazione di che cosa si intende qui per devotio è nelle parole che seguono, nella seconda parte della strofa: Tibi se cor meum totum subiicit: a te il cuore mio tutto si abbandona”. Disponibilità totale e amorosa a fare la volontà di Dio.

3. La contemplazione eucaristica

Resta da raccogliere la fiammata più alta che è quella che si leva dai due ultimi versi della strofa: Quia te contemplans totum deficit: Contemplando te tutto vien meno. La caratteristica di certi venerandi inni liturgici latini, come l’Adoro te devote, il Veni creator e altri, è la straordinaria concentrazione di significato che si realizza in ogni singola parola. Ogni parola è in essi “pregnante”.Per comprendere appieno il senso di questa frase, come di tutto l’inno, è necessario tener conto dell’ambiente e del contesto da cui nasce. Siamo, dicevo, al di qua della grande svolta nella teologia eucaristica occasionata dalla reazione alle teorie di Berengario di Tours. Il problema su cui si concentra quasi esclusivamente la riflessione cristiana è quello della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, che a tratti sconfina nell’affermazione di una presenza fisica e quasi materiale [9]. Dal Belgio è partita la grande ondata di fervore eucaristico che contagerà in breve l’intera cristianità e, nel 1264, porterà all’istituzione della festa del Corpus Domini da parte del papa Urbano IV. Si accresce il senso di rispetto dell’Eucaristia e, parallelamente, aumenta il senso di indegnità dei fedeli di accostarsi ad essa, a causa anche delle condizioni quasi impraticabili poste per ricevere la comunione (digiuno, penitenze, confessione, astensione dai rapporti coniugali). La comunione da parte del popolo è diventata un fatto tanto raro che il concilio Lateranense IV nel 1215, deve stabilire l’obbligo di comunicarsi almeno a Pasqua. Ma l’Eucaristia continua ad attirare irresistibilmente le anime e così a poco a poco, alla mancanza del contatto manducativo della comunione si rimedia sviluppando il contatto visivo della contemplazione. (Notiamo che in Oriente, per le stesse ragioni, ai laici viene sottratto anche il contatto visivo perché il rito centrale della Messa si svolge dietro una cortina che poi diventerà il muro delle iconostasi). L’elevazione dell’ostia e del calice al momento della consacrazione, prima ignoto (la prima testimonianza scritta della sua istituzione è del 1196), diventa per i laici il momento più importante della Messa, in cui sfogano i loro sentimenti di devozione e sperano di ricevere grazie. Si suonano in quel momento le campane per avvertire gli assenti e alcuni corrono da una Messa all’altra per assistere a diverse elevazioni. Molti inni eucaristici, tra cui l’Ave verum, nascono per accompagnare questo momento; sono inni per l’elevazione. Ad essi appartiene anche il nostro Adoro te devote. Dall’inizio alla fine il suo linguaggio è quello del vedere, contemplare: te contemplans, non intueor, nunc aspicio, visu sim beatus.Noi non abbiamo più la stessa concezione dell’Eucaristia; da tempo la comunione è divenuta parte integrante della partecipazione alla Messa; le conquiste della teologia (movimento biblico, liturgico, ecumenico) confluite nel concilio Vaticano II e nella riforma liturgica hanno rimesso in valore, accanto alla fede nella presenza reale, altri aspetti dell’Eucaristia, il banchetto, il sacrificio, il memoriale, la dimensione comunitaria ed ecclesiale…Si potrebbe pensare che in questo nuovo clima non ci sia più posto per l’Adoro te devote e le pratiche eucaristiche nate quel periodo. Invece è proprio adesso che essi ci sono più utili e necessari per non perdere, a causa delle conquiste di oggi, quelle di ieri.

Non possiamo ridurre l’Eucaristia alla sola contemplazione della presenza reale nell’Ostia consacrata, ma sarebbe anche una grave perdita rinunciare ad essa. Il papa non fa che raccomandarla fin dalla sua prima lettera Il mistero e il culto della SS. Eucaristia, del giovedì santo 1980: “L’adorazione di Cristo in questo sacramento d’amore deve trovare la sua espressione in diverse forme di devozione eucaristica: preghiera personale davanti al Santissimo, ore di adorazione, esposizioni brevi, prolungate, annuali... Gesù ci aspetta in questo sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andare a incontrarlo nell’adorazione e nella contemplazione piena di fede”.I nostri fratelli ortodossi non condividono questo aspetto della pietà cattolica; qualcuno di loro fa amabilmente notare che il pane è fatto per essere mangiato, non per essere guardato. Altri, anche tra i cattolici, fanno presente che la pratica si è sviluppata in un tempo di grave offuscamento della vita liturgica e sacramentaria. A favore però della bontà della contemplazione eucaristica non stanno particolari spiegazioni teologiche e teoriche, ma sta l’imponente testimonianza dei fatti, letteralmente “una nube di testimoni”. Una abbastanza recente è quella di Charles de Foucauld che ha fatto dell’adorazione dell’Eucaristia uno dei punti forza della sua spiritualità e di quella dei suoi seguaci. Innumerevoli anime hanno raggiunto la santità praticandola ed è dimostrato il contributo decisivo che essa ha dato all’esperienza mistica [10]. L’Eucaristia, dentro e fuori della Messa, è stata per la Chiesa cattolica quello che nella famiglia era fino a poco fa il focolare domestico durante l’inverno: il luogo intorno a cui la famiglia ritrovava la propria unità e intimità, il centro ideale di tutto.Questo non vuol dire che non vi siano anche ragioni teologiche alla base della contemplazione eucaristica. La prima è quella che scaturisce dalla parola di Cristo: “Fate questo in memoria di me”. Nell’idea di memoriale c’è un aspetto oggettivo e sacramentale che consiste nel ripetere il rito compiuto da Cristo che ricorda e rende presente il suo sacrificio. Ma c’è anche un aspetto soggettivo ed esistenziale che consiste nel coltivare il ricordo di Cristo, “nell’avere costantemente nella memoria pensieri che riguardano Cristo e il suo amore”[11].

Questa “dolce memoria di Gesú” (Jesu dulcis memoria) non è limitata al tempo che uno passa davanti al tabernacolo; la si può coltivare con altri mezzi, come la contemplazione delle icone; ma è certo che l’adorazione davanti al Santissimo è un mezzo privilegiato per farlo. I due aspetti del memoriale - celebrazione e contemplazione dell’Eucaristia -, non si escludono a vicenda, ma si integrano. La contemplazione infatti è il mezzo con cui noi “riceviamo”, in senso forte, i misteri, con cui li interiorizziamo e ci apriamo alla loro azione; è il corrispettivo dei misteri sul piano esistenziale e soggettivo; è un modo per permettere alla grazia, ricevuta nei sacramenti, di plasmare il nostro universo interiore, cioè i pensieri, gli affetti, la volontà, la memoria. C’è una grande affinità tra Eucaristia e Incarnazione. Nell’Incarnazione – dice sant’Agostino – “Maria concepì il Verbo prima con la mente che con il corpo” (Prius concepit mente quam corpore). Anzi, aggiunge, a nulla le sarebbe valso portare Cristo nel suo grembo, se non lo avesse portato con amore anche nel suo cuore [12]. Anche il cristiano deve accogliere Cristo nella sua mente, prima di accoglierlo e dopo averlo accolto nel suo corpo. E accogliere Cristo nella mente significa, concretamente, pensare lui, avere lo sguardo rivolto su di lui, fare memoria di lui, contemplando il segno che egli stesso ha scelto per rimanere tra noi.

4. Oblio di tutto

Te contemplans, contemplando te, dice il nostro inno. Cosa racchiude quel pronome “te”? Certamente il Cristo realmente presente nell’ostia, ma non una presenza statica e inerte; indica tutto il mistero di Cristo, la persona e l’opera; è un riascoltare silenziosamente il vangelo o una sua frase in presenza dell’autore stesso del vangelo che da alla parola una forza e immediatezza particolari.Ma questo non è ancora il vertice della contemplazione. I grandi maestri di spirito hanno definito la contemplazione: “Uno sguardo libero, penetrante e immobile” (Ugo di San Vittore), oppure: “Uno sguardo affettivo su Dio” (san Bonaventura). Fare contemplazione eucaristica significa dunque, concretamente, stabilire un contatto da cuore a cuore con Gesù presente realmente nell’Ostia e, attraverso lui, elevarsi al Padre nello Spirito Santo. Nella meditazione prevale la ricerca della verità, nella contemplazione, invece, il godimento della Verità trovata. La contemplazione tende sempre alla persona, al tutto e non alle parti. Contemplazione eucaristica è guardare uno che mi guarda. Questo stadio di contemplazione è quello descritto dall’autore dell’Adoro te devote quando afferma: te contemplans totum deficit, contemplando te tutto vien meno. Queste sono parole nate certamente dall’esperienza. “Tutto vien meno”, cioè che cosa? Non solo il mondo esterno, le persone, le cose, ma anche il mondo interno dei pensieri, delle immagini, delle preoccupazioni. “Oblio di tutto fuorché di Dio”, scriveva Pascal descrivendo un’esperienza simile a questa. E Francesco d’Assisi ammoniva i suoi frati: “Gran miseria sarebbe, e miserevole male se, avendo Lui così presente, vi curaste di qualunque altra cosa che fosse nell’universo intero!”[13].Intorno alla stessa data in cui veniva composto il nostro inno, cioè alla fine del secolo XIII, Ruggero Bacone, un altro grande innamorato dell’Eucaristia, scriveva queste parole che sembrano un commento alla prima strofa dell’Adoro te devote e una conferma dell’esperienza che da essa traspare: “Se la maestà divina si fosse manifestata sensibilmente, non avremmo potuto sostenerla e saremmo venuti meno (deficeremus!) del tutto per la riverenza, la devozione e lo stupore…L’esperienza lo dimostra. Quelli che si esercitano nella fede e nell’amore di questo sacramento non riescono a sopportare la devozione che nasce da una pura fede, senza sciogliersi in lacrime e senza che la loro anima, uscendo da se stessa, si liquefaccia per la dolcezza della devozione, al punto di non sapere più dove si trova e perché”[14].La contemplazione eucaristica è tutt’altro che un indulgere al quietismo. È stato notato come l’uomo rifletta in sé, a volte anche fisicamente, ciò che contempla. Non si sta a lungo esposti al sole senza portarne le tracce sul viso. Stando a lungo e con fede, non necessariamente con fervore sensibile, davanti al Santissimo noi assimiliamo i pensieri e i sentimenti di Cristo, per via non discorsiva ma intuitiva; quasi “ex opere operato”. Avviene come nel processo di fotosintesi delle piante. In primavera spuntano dai rami le foglie verdi; queste assorbono dall’atmosfera certi elementi che, sotto l’azione della luce solare, vengono “fissati” e trasformati in nutrimento della pianta. Noi dobbiamo essere come quelle foglie verdi! Esse sono un simbolo delle anime eucaristiche le quali, contemplando il “sole di giustizia” che è Cristo, “fissano” il nutrimento che è lo Spirito Santo stesso, a beneficio di tutto il grande albero che è la Chiesa. In altre parole, è ciò che dice anche l’apostolo Paolo: “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3, 18).Se ora però, da questi squarci di luce che l’autore dell’inno ci ha fatto intravedere ritorniamo con il pensiero alla nostra realtà e al nostro povero modo di stare davanti all’Eucaristia rischiamo di sentirci avviliti e scoraggiati. Sarebbe del tutto sbagliato. È già un incoraggiamento e una consolazione sapere che queste esperienze sono possibili; che quello che noi stessi abbiamo forse sperimentato nei momenti di maggior fervore della nostra vita e poi smarrito, può riaccendersi, grazie anche all’anno eucaristico che ci è dato di vivere.L’unica cosa che lo Spirito Santo richiede da noi è solo di dargli il nostro tempo, anche se all’inizio esso dovesse sembrare tempo perso. Io non dimenticherò mai la lezione che un giorno mi fu data a questo riguardo. Dicevo a Dio: “Signore, dammi il fervore e io ti darò tutto il tempo che vuoi per la preghiera”. Nel mio cuore trovai la risposta: “Raniero, dammi il tuo tempo e io ti darò tutto il fervore che vuoi nella preghiera”. L’ho ricordato nel caso possa servire a qualcun altro, oltre che a me.


note

[1] Enc. Ecclesia de Eucharistia, 6.[2] L’espressione “latens veritas” ricorre in Isidoro di siviglia, Sent. III, col. 688, l. 22, ma non è riferita a Cristo. In favore di “latens Deitas” sta il parallelismo con “latens humanitas” della terza strofa e anche la possibile allusione a Is 45,15: “vere tu es Deus absconditus”.[3] Cfr. de Lubac, op. cit., p. 287.[4] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, VI, lez. 6, n. 954: “La manna prefigurava soltanto, mentre questo pane contiene quello che raffigura” (continet quod figurat).[5] S. Agostino, In Ps. 98,9 (PL 37, 1264).[6] G. Tersteegen, Geistliches Blumengärtlein 11, Stuttgart 1969, p.340 s.: "Gott ist gegenwärtig; laßet uns anbeten,Und in Ehrfurcht vor ihn treten!Gott ist in der Mitte; alles in uns schweigeUnd sich innigst vor ihm beuge!“ [7] Cfr. J. Charillon, art. Devotio, in Dict. Spir. 3, col. 715.[8] S. Tommaso, S. Th. II, IIae, q.82 a.1-2, cf. J.W. Curran, art. Dévotion, Fondement théologique, in Dict. Spir. III, coll. 716 ss.[9] La prima formula di fede fatta sottoscrivere a Berengario sosteneva che, nella comunione, il corpo e il sangue di Cristo fossero presenti sull’altare “sensibilmente e venissero in verità toccati, e spezzati dalle mani del sacerdote e masticati dai denti dei fedeli”: Denzinger - Schönmetzer, Enchiridion symbolorum, 690. S.Tommaso d’Aquino corregge questa affermazione, dicendo che il corpo di Cristo “non viene spezzato, né infranto, né diviso da colui che lo riceve”: cfr. S. Th. III, q. LXXVII, a.7. [10] Cfr. E. Longpré, Eucharistie et expérience mystique, in Dict. Spir. IV, coll.1586-1621.[11] N. Cabasilas, Vita in Cristo, VI,4 (PG 150,653).[12] Cf Agostino, Sulla santa verginità, 3 (PL 40, 398).[13] S. Francesco, Lettera a tutti i frati, 2 (FF 220).[14] Ruggero Bacone, De sacramento altaris, in Moralis philosophia, ed. E. Massa, Zurigo 1953, pp. 231 s.

CONTEMPLARE DIO E' GRANDE BEATITUDINE

di S.Agostino, (Discorsi, 117,3,5)

Giungere anche poco a toccar con la mente Dio è grande beatitudine; impossessarsene completamente è assolutamente impossibile. Dio è oggetto della mente: lo si comprende; il corpo è oggetto degli occhi: lo si vede. Ma credi forse di afferrare completamente il corpo con i tuoi occhi? Non lo puoi affatto. Ciò che guardi, infatti, non lo vedi nella tua totalità... Chi dunque può afferrare completamente Dio con l`occhio interiore? Basta che lo tocchi, se il suo occhio è puro. Ma se lo tocca, lo tocca con una specie di tatto incorporeo e spirituale, ma certo non lo afferra tutto; e ciò, solo se è puro. E l`uomo diventa beato toccando col cuore ciò che è per sempre beato, ciò che è la stessa beatitudine eterna. Ciò per cui l`uomo è vivo è la vita perpetua; ciò per cui l`uomo è sapiente, è la sapienza perfetta; ciò per cui l`uomo è illuminato, è il lume eterno.

CERCATE IL MIO VOLTO


di David Wilkerson


Davide uomo che desiderava di più
Quest’uomo di Dio era stufo dei cerimoniali vuoti, di guardare i sacerdoti e gli adoratori che vivevano nella forma di una religione morta. Davide vedeva in quei rituali solo una forma di religione, che non aveva potenza. Il suo cuore gridava: “Tutto questo è sbagliato. Per questo la gente smette di adorare e si rivolge agli idoli. Non c’è alcuna bellezza in tutto ciò, non c’è più passione. Io amo la casa di Dio, ma cosa ne è successo? La legge viene ancora insegnata, ma è diventata solo una conoscenza morta. Oggi esco dal tempio con l’anima abbattuta”. Davide voleva conoscere la vita, la realtà che si nascondeva dietro ai rituali religiosi. Chi era l’agnello sacrificale? Cosa si nascondeva dietro l’incenso, dietro al candelabro? Il cuore di Davide bramava sapere, ed egli prese una decisione: “Ho deciso – non posso andare più avanti così. Non sono soddisfatto. Non voglio trascorrere il resto della mia vita con questi desideri spirituali insoddisfatti. Da questo momento in poi, ho un solo obiettivo, un solo scopo nella mia vita. Voglio dimorare nella presenza del Signore ed invocarLo finché non avrò ottenuto ciò che il mio cuore brama”. Credo ci siano milioni di cristiani pii oggi che amano il Signore ma sentono che c’è nella loro vita manca qualcosa: ‘Sono appena stato in chiesa. Perché la mia anima si sente così abbattuta?’”. Davide non andò dai suoi pastori, Abiatar e Sadoc, per parlare di questa faccenda. Non abbandonò neanche la chiesa. Infatti, non smise di “andare” nella casa del Signore. Al contrario, decise: “Se la casa di Dio è una casa di preghiera – e se la sua chiesa è ovunque si manifesta la sua presenza – allora farò diventare la mia stanzetta di preghiera un tabernacolo. Mi sono determinato di cercare la sua bellezza fin quando non la vedrò. Punterò i miei occhi su di lui finché non vedrò qualcosa che mi soddisferà fino alla fine”. Perciò Davide tornò a casa sua e pregò: “O Eterno, ascolta la mia voce, quando grido a te; abbi pietà di me e rispondimi” (27:7). In altre parole: “Signore, voglio avere comunione ininterrotta con te. Per favore, cosa devo fare per soddisfare questo mio desiderio?”.Dio rispose con queste semplici parole: “Cerca la mia faccia” (27:8). Come reagì Davide a questa risposta? Replicò: “Signore, quando hai detto: ‘Cerca la mia faccia’, il mio cuore mi è balzato in petto”. “Cerco la tua faccia, o Eterno” (27:8).

cercate il Mio volto!
La faccia di Dio è la sua sembianza, il suo riflesso. In questa risposta, il Signore rivelò a Davide il segreto per soddisfare il suo desiderio: riflettendo la vita stessa di Dio. Istruì Davide: “Impara da me. Cerca la mia Parola e prega per capirla attraverso lo Spirito, in modo che tu possa essere come me. Voglio che la tua vita rifletta la mia bellezza al mondo”.Non si trattava di un semplice invito alla preghiera; Davide già pregava sette volte al giorno. Infatti, erano state proprio le sue preghiere a spingerlo a conoscere il Signore. No, questo appello di Dio era un invito a bramare uno stile di vita che riflettesse totalmente la persona di Gesù. Vedete, al Calvario, Dio aveva incarnato un volto umano. Gesù era venuto sulla terra come uomo, Dio in carne. E lo aveva fatto per sentire il nostro dolore, per essere tentato e provato proprio come noi, e per mostrarci il Padre. La Scrittura definisce Gesù l’immagine espressa (cioè, l’identica sembianza) di Dio. Egli è la stessa essenza e sostanza di Dio Padre (vedi Ebrei 1:3), la stessa “pasta”. In breve, egli è “uguale” al Padre in tutto e per tutto. Anche oggi Gesù Cristo è il volto, o la vera essenza, di Dio sulla terra. E per lui, noi possiamo avere comunione ininterrotta con il Padre. Attraverso la Croce, abbiamo il privilegio di “vedere il suo volto”, di toccarlo. Possiamo addirittura vivere come lui, testimoniando: “Non faccio nulla, se non quello che vedo e sento dal Signore”. Oggi, quando Dio ci dice: “Cerca la mia faccia”, le sue parole hanno più implicazioni di qualsiasi altro momento della storia. Perché? Perché la domanda che molti oggi si pongono è: “Quale Gesù?”. Cristo ci ha avvertiti che sarebbero sorti molti impostori che si sarebbero presentati come lui. E questi falsi cristi sarebbero apparsi proprio prima della sua venuta, alla fine del mondo. I discepoli di Gesù gli avevano chiesto: “Quale sarà il segno della tua venuta, alla fine del mondo?” e Gesù aveva risposto: “Molti verranno nel mio nome, dicendo: Sono il Cristo, ed inganneranno molti” (Matteo 24:3,5). Gesù aveva poi dato delle istruzioni ben precise: “Se qualcuno vi dice: "Ecco, il Cristo è qui" oppure "è là" non gli credete” (24:23). Non credo che Gesù stesse parlando di persone malate che se ne sarebbero andate in giro tutte vestite di bianco, con la barba lunga, affermando: “Sono io il Figlio di Dio”. No, stava descrivendo ministri ingannatori che avrebbero predicato un evangelo diverso e un cristo diverso. Anche Paolo avvertì di uomini che avrebbero predicato “un altro Gesù, che noi non abbiamo predicato… un altro evangelo” (2 Corinzi 11:4). Anche Gesù aveva avvertito: “Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (Marco 13:22). Queste parole di Gesù mi hanno sempre incuriosito. Mi sono chiesto: “Com’è possibile che gli eletti vengano sedotti da qualcuno che se ne va in giro vantandosi di essere Cristo? Una persona del genere sarebbe classificata come pazza”. Paolo ci avverte in termini chiari a proposito di questi ministri, che sarebbero stati “corrotti e sviati dalla semplicità che si deve avere riguardo a Cristo… tali falsi apostoli infatti sono degli operai fraudolenti, che si trasformano in apostoli di Cristo” (2 Corinzi 11:3,13). Cosa faremo come persone che amano il Cristo che ha pagato con il suo sangue al Calvario? Dio ci dà la stessa risposta che diede a Davide, quando questi era circondato da un nugolo di idolatri: “Cerca il mio volto”. Questo deve diventare il nostro unico e solo desiderio. La nostra unica missione è quella di essere in continua e ininterrotta comunione con il Cristo di gloria – cercando nella Sua Parola la bellezza di Gesù, finché non Lo conosceremo ed Egli diventerà la nostra piena soddisfazione. E faremo tutto per un solo scopo: essere come Lui, diventare la sua immagine, in modo che coloro che cercano il vero Cristo Lo possano vedere in noi. Tutte le evangelizzazioni, tutte le campagne, tutti gli sforzi missionari saranno vani se non contempliamo il volto di Gesù e non ci facciamo trasformare continuamente alla sua immagine. Nessun’anima potrà essere toccata se non da tali cristiani. E Gesù ci ha chiamati per riflettere il suo volto in un mondo perduto, che non sa più chi Lui sia. Mentre studiavo di recente, mi sono messo a gridare: “Oh, guarda cosa stanno facendo al nostro prezioso Signore Gesù”. Ma lo Spirito mi ha sussurrato: “Non ti disperare. Sai che tutto questo finirà. I cieli si apriranno, e il Re dei re e il Signore dei signori apparirà su un cavallo bianco. Verrà a giudicare con uno scettro di ferro. Ed Egli metterà a tacere ogni falso profeta, e distruggerà con la sua spada tutto ciò che è anticristo”.