martedì 27 novembre 2007

Se tu lo costruisci, Lui verrà!

(in foto il presepe di Chiara)

Vi piacerebbe riuscire ad esternare un sentimento ? Vi piacerebbe dare alla materia proprio la forma della tua dimensione spirituale ? Vi piacerebbe colorare ciò che non ha colore ? Sarò più chiaro, spero! Tra le cose che amo fare fin dall’infanzia è preparare il “presepio” per Natale. Lo faceva mi padre e lo fa ancora e mi ha trasmesso questa passione. I miei sono un po’ più ricercati ed elaborati, forse anche più complicati, i suoi sono innocenti e semplici, immediati dove personaggi e paesaggio sono perfettamente amalgamati senza regole precise e senza schemi prestabiliti. I miei sono alla ricerca dell’esternazione di un momento spirituale intimo e sono una vera e propria preghiera ed una preparazione alla Sua Venuta. Inizia tutto con il pensare a quello che Gesù ha fatto per entrare nella sua amatissima umanità così delicatamente come ha fatto; la sua povertà, la sua nudità, la sua precarietà, il suo ambiente ostile e inospitale … questo mi ha sempre commosso ed affascinato e rappresentarlo mi aiuta ad immaginarlo. Mi approccio allora al mistero dell’Incarnazione di Dio nella mia vita, nella mia realtà, nella mia casa, nel mio cuore provando ad esternare quello che gli occhi dello spirito già vedono. La materia povera prende vita, prendono forma oggetti insignificanti, diventano luoghi, spazi che ospiteranno il ricordo di una storia vera d’amore vero, quella tra me e Gesù. Tutta la famiglia è impegnata alla sua realizzazione perché non è sempre bene essere soli ed è bello che qualcuno ti aiuti. A guardarlo sembra proprio la rappresentazione della vita il Tutto si fa niente, Dio plasma la mia vita e dal nulla io divento un luogo dove Egli possa fermarsi, un luogo dove il Re possa splendere e farsi adorare. Mentre tutti si preparano a scambiarsi doni inutili il DONO vero si dona! Così nasce il mio presepio, così da materiali che gli altri buttano, con pazienza ed umiltà si scolpisce, si fonde, s’incide, si colora … e quando tutto è pronto si adagiano “statuine” che se proprio noi non riusciamo a gioire più del Natale e del compleanno di Gesù almeno loro davanti al Mistero di questo amore, restano immobili, senza parole … almeno loro sanno veramente adorare! Io le guardo inserite in quello che la mia anima ha rappresentato e che è diventata l’espressione del mio cuore che fa il bambino, allora guardo il tutto e mi commuovo e mi addolora il pensiero che molti lo ritengono “idolatria”, inutilità, tradizionalismo o religiosità! Quello che vedo nei miei presepi semplici e poverissimi è la mia vita che senza la presenza di Dio è solo materiale di risulta, allora prima che le pietre, le statue, il polistirolo possa cominciare ad adorare Jeshua prima di me, lo faccio io e mi preparo all’attesa dell’evento vero e miracoloso : Gesù in me! Bhe se per amore di Dio noi siamo tempio dello Spirito e Sua dimora, perché oggetti inutili non ne potrebbero portarne il senso spirituale e aiutare il cuore e l’anima a sperare ancora? Sai, sarà Natale se lasci che il Bambino nasca in te … allora fratelli permettete un consiglio? Fate il presepio e tramandatelo ai vostri figli sono certo che un mondo con più bambini semplici e meno pseudo-adulti complicati farebbe veramente rinascere Jeshua in tutti e quello sarà il Vero Natale, quello il VERO presepio, quella l’unica speranza! Siete ancora in tempo per farlo e non preoccupatevi di come verrà, più è brutto più Egli lo renderà bello, così come fa con noi, allora avanti con colla, carta, legno, sughero … tutto ciò che ti rappresenta.
Quindi come citava un vecchio e meraviglioso film "l'uomo dei sogni"(1989 di Phil Alden Robinson) e lo straordinario libro di Tommy Tenney "la casa preferita da Dio": ... se tu lo costruisci Lui verrà!
Edifica il luogo dell'incontro, restaura le brecce aperte ed il Nostro Signore si adagerà sulla nostra infinita povertà ed abiterà ciò che è inabitabile, restaurerà ciò che è cadente e renderà prezioso ciò che non ha valore ... e alla fine Re Jeshua verrà, davvero!
Giosuè

Il Presepe di Greccio


(dalla vita prima di Tommaso da Celano)

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita ancora migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quello della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhio del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposta dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signori, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, poiché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava il “Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durantge un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute. Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di San Francesco, affinché la dove un tempo gli animali hanno mangiato il firno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.

Il Presepe nelle fonti francescane


(di Roberta Fidanzia)

A partire dal 1223, dopo l’approvazione della Regola, per alcuni biografi di Francesco si aprì quel periodo chiamato della “grande tentazione”, ovvero tentazione di abbandonare tutto, tutto quello che egli aveva fondato ma che da altri e da altre necessità era stato modificato. A momenti di sconforto, però, si univano anche momenti di remissione e di pacificazione con se stesso. Uno di questi momenti può essere senza dubbio quello della celebrazione del Santo Natale a Greccio nel 1223.
L’intenzione di Francesco era quella di organizzare una “sacra rappresentazione corale che trasformasse in attore anche il pubblico accorso ad assistervi”. Tutte le persone potevano così partecipare veramente e sentitamente all’evento più importante per i cristiani: la nascita di Cristo. Nell’idea di Francesco era viva l’intenzione di rappresentare la Natività come essa era realmente avvenuta, con i disagi e le difficoltà che Maria e Giuseppe avevano dovuto affrontare e che il piccolo Gesù si era trovato a vivere. Egli era un bambino - il Dio fatto uomo, il più umile degli uomini - che per questa ragione subiva tutte le difficoltà che la vita gli presentava, fin dal primo istante. Importante risulta notare che nella sua ricostruzione Francesco si basa anche sul racconto dei Vangeli apocrifi. I Vangeli tradizionali, infatti, non accennano al bue o all’asinello, mentre quelli apocrifi riportano con dovizia questi ed altri dettagli. Francesco recupera queste immagini, consapevole, forse, proprio del loro valore umano e popolare. Con la rappresentazione viva del Presepe la gente, la folla, avrebbe avuto di fronte a sé i brani del Vangelo. Tutti avrebbero potuto vivere la natività di Cristo, immedesimandosi nei personaggi ed avendo un contatto più vicino e diretto con il miracolo della Natività. Francesco riuscì a trasportare, in questo modo, il racconto evangelico dal piano della religione colta – non bisogna infatti dimenticare che la lettura dei testi avveniva in latino con voce del sacerdote che commentava nella predica la lettura dei passi evangelici, ma questa non riusciva a penetrare nei cuori e nelle anime e rimaneva distaccata dalle necessità della gente comune, che conosceva poco il latino o non lo conosceva affatto e non era in grado di seguire discorsi di teologia – al piano della religione popolare – infatti in questo modo la folla aveva davanti a sé il Bambino, la scena della Natività, poteva viverla e poteva avvicinarsi alla comprensione della Parola che era così percepita in maniera più immediata e diretta.
Racconta Tommaso da Celano, suo primo biografo:


"Francesco era felice, profondamente commosso. Si rivestì di parametri diaconali e cantò con la sua bella voce il Vangelo, predicò con parole dolcissime, trascinò ed entusiasmò gli astanti rievocando la piccola città di Betlemme, il Bambino divino e poverissimo, con tale entusiasmo infuocato che un cavaliere ebbe una visione: ‘gli sembrava infatti che un neonato giacesse esanime nella mangiatoia, che il santo di Dio si avvicinasse e destasse quel medesimo bambino da quella specie di sonno profondo. Questa visione non mancava di un suo significato perché davvero il fanciullo Gesù giaceva dimenticato nel cuore di molti e per grazia di Cristo, tramite il servo suo Francesco, fu risuscitato e il suo ricordo impresso in una memoria di nuovo partecipe’


Importante era, quindi, il significato profondo che si dava alla rappresentazione popolare della Natività: quello, cioè, di far rivivere nel cuore delle persone semplici, dei contadini, degli umili, l’immagine vivida di Gesù Bambino, che si era andata allontanando dall’immaginario popolare rimanendo serrata nei libri e negli strumenti di religiosità colta, per arrivare a far parte, infine, anche di quella che era la religione popolare.
In questo episodio, come in tutti gli altri legati ai miracoli di Francesco, si nota sempre più evidente l’avvicinamento del santo agli umili e ai poveri, in tutti i sensi. La sua religione è una religione popolare dall’inizio, con il Presepio ed anche dopo la morte, con le Stimmate.

Francesco non vuole i libri per predicare, per studiare, per imparare ed insegnare. Francesco vuole solo ascoltare e divulgare la parola di Gesù, con il canto, con le immagini, con l’esempio. In questo sta il profondo significato della sua opera: egli è diventato un povero, un lebbroso, un emarginato, per divulgare la parola di Dio, secondo le forme caratteristiche della religiosità popolare, ha tentato di capire a fondo, e vi è riuscito, le esigenze spirituali della gente, e, contemporaneamente, è rimasto nell’ambito della Chiesa, senza cadere nell’eresia e nell’insubordinazione nei confronti dell’autorità ecclesiastica.
Il significato intimo del Presepe è più volte evidenziato nelle fonti francescane, sia come strumento di obbedienza alla Chiesa, sia come strumento di elevazione nella povertà. Dalle parole di vari biografi e nei brani di teologi francescani risulta chiara l’importanza della rappresentazione del Presepe.
Ad esempio nella Cronaca delle sette tribolazioni di Angelo Clareno a proposito dell’amore di Cristo e della povertà si legge:


Egli poi, a quelli che sentiva perfetti nell’amore di Cristo, apriva i secreti del suo cuore, ricevuti direttamente da Cristo e insegnava che l’amore e l’osservanza fedele e piena della povertà e dell’umiltà di Cristo è il fondamento, la sostanza e la radice della vita evangelica e della Regola a lui rivelata da Cristo: quella povertà ed umiltà che Cristo, il Figlio di Dio, consacrò: egli che è nato in una grotta da madre povera, che è stato deposto nel presepio, involto in pannicelli, perché non c’era posto per lui nell’albergo; e poi circonciso e offerto, e fuggì in Egitto e poi ritornando abitò a Nazaret, mendicando per tre giorni, e poi digiunò, predicò, morì, fu sepolto in un sepolcro altrui e risorse da morte. "


Questa, diceva, è radice dell’obbedienza, madre della rinuncia, morte del compiacimento di sé e dell’avidità e dell’avarizia, obbedienza della fede, costruzione della speranza, dimostrazione dell’umiltà, prova e genitrice della pace di Dio, che supera ogni senso .
Ne L’Albero della vita di Ubertino da Casale, ritorna ancora il motivo della povertà:


Essa [la povertà] si strinse a te con tanta fedeltà che fin da quando eri nel seno della madre incominciò il suo ossequio" (Tommaso da Celano, Vita Prima)


La Vita Prima è più poetica e spirituale rispetto alla Vita seconda e la prima parte si conclude con il ricordo di questa ‘innovazione’ di Francesco: l’immagine del Presepio. E' il Dio bambino, Gesù bambino, di Francesco: un bambino che ha bisogno di essere amato e curato.
Importante da notare è il cambiamento di Francesco stesso nei confronti di Gesù. Non è più il Crocifisso che gli parla, è un Bambino, che va amato e protetto. Va rianimato nel cuore delle persone. Francesco avrà nei confronti delle immagini del Bambino una tenerezza e delicatezza nuova. Francesco rimane il figlio di Dio e servo di Cristo, ma diventa anche il ‘padre’ del Bambino, che ha bisogno di essere accudito, amato ed onorato.
Anche negli Scritti di Chiara d’Assisi compare evidente l’insegnamento di Francesco ad amare la povertà:


E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio, e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre indumenti vili” e ancora:

Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia! Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce,rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: O voi tutti, che sulla strada passate,fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, aduna voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia” .