martedì 27 novembre 2007

Il Presepe nelle fonti francescane


(di Roberta Fidanzia)

A partire dal 1223, dopo l’approvazione della Regola, per alcuni biografi di Francesco si aprì quel periodo chiamato della “grande tentazione”, ovvero tentazione di abbandonare tutto, tutto quello che egli aveva fondato ma che da altri e da altre necessità era stato modificato. A momenti di sconforto, però, si univano anche momenti di remissione e di pacificazione con se stesso. Uno di questi momenti può essere senza dubbio quello della celebrazione del Santo Natale a Greccio nel 1223.
L’intenzione di Francesco era quella di organizzare una “sacra rappresentazione corale che trasformasse in attore anche il pubblico accorso ad assistervi”. Tutte le persone potevano così partecipare veramente e sentitamente all’evento più importante per i cristiani: la nascita di Cristo. Nell’idea di Francesco era viva l’intenzione di rappresentare la Natività come essa era realmente avvenuta, con i disagi e le difficoltà che Maria e Giuseppe avevano dovuto affrontare e che il piccolo Gesù si era trovato a vivere. Egli era un bambino - il Dio fatto uomo, il più umile degli uomini - che per questa ragione subiva tutte le difficoltà che la vita gli presentava, fin dal primo istante. Importante risulta notare che nella sua ricostruzione Francesco si basa anche sul racconto dei Vangeli apocrifi. I Vangeli tradizionali, infatti, non accennano al bue o all’asinello, mentre quelli apocrifi riportano con dovizia questi ed altri dettagli. Francesco recupera queste immagini, consapevole, forse, proprio del loro valore umano e popolare. Con la rappresentazione viva del Presepe la gente, la folla, avrebbe avuto di fronte a sé i brani del Vangelo. Tutti avrebbero potuto vivere la natività di Cristo, immedesimandosi nei personaggi ed avendo un contatto più vicino e diretto con il miracolo della Natività. Francesco riuscì a trasportare, in questo modo, il racconto evangelico dal piano della religione colta – non bisogna infatti dimenticare che la lettura dei testi avveniva in latino con voce del sacerdote che commentava nella predica la lettura dei passi evangelici, ma questa non riusciva a penetrare nei cuori e nelle anime e rimaneva distaccata dalle necessità della gente comune, che conosceva poco il latino o non lo conosceva affatto e non era in grado di seguire discorsi di teologia – al piano della religione popolare – infatti in questo modo la folla aveva davanti a sé il Bambino, la scena della Natività, poteva viverla e poteva avvicinarsi alla comprensione della Parola che era così percepita in maniera più immediata e diretta.
Racconta Tommaso da Celano, suo primo biografo:


"Francesco era felice, profondamente commosso. Si rivestì di parametri diaconali e cantò con la sua bella voce il Vangelo, predicò con parole dolcissime, trascinò ed entusiasmò gli astanti rievocando la piccola città di Betlemme, il Bambino divino e poverissimo, con tale entusiasmo infuocato che un cavaliere ebbe una visione: ‘gli sembrava infatti che un neonato giacesse esanime nella mangiatoia, che il santo di Dio si avvicinasse e destasse quel medesimo bambino da quella specie di sonno profondo. Questa visione non mancava di un suo significato perché davvero il fanciullo Gesù giaceva dimenticato nel cuore di molti e per grazia di Cristo, tramite il servo suo Francesco, fu risuscitato e il suo ricordo impresso in una memoria di nuovo partecipe’


Importante era, quindi, il significato profondo che si dava alla rappresentazione popolare della Natività: quello, cioè, di far rivivere nel cuore delle persone semplici, dei contadini, degli umili, l’immagine vivida di Gesù Bambino, che si era andata allontanando dall’immaginario popolare rimanendo serrata nei libri e negli strumenti di religiosità colta, per arrivare a far parte, infine, anche di quella che era la religione popolare.
In questo episodio, come in tutti gli altri legati ai miracoli di Francesco, si nota sempre più evidente l’avvicinamento del santo agli umili e ai poveri, in tutti i sensi. La sua religione è una religione popolare dall’inizio, con il Presepio ed anche dopo la morte, con le Stimmate.

Francesco non vuole i libri per predicare, per studiare, per imparare ed insegnare. Francesco vuole solo ascoltare e divulgare la parola di Gesù, con il canto, con le immagini, con l’esempio. In questo sta il profondo significato della sua opera: egli è diventato un povero, un lebbroso, un emarginato, per divulgare la parola di Dio, secondo le forme caratteristiche della religiosità popolare, ha tentato di capire a fondo, e vi è riuscito, le esigenze spirituali della gente, e, contemporaneamente, è rimasto nell’ambito della Chiesa, senza cadere nell’eresia e nell’insubordinazione nei confronti dell’autorità ecclesiastica.
Il significato intimo del Presepe è più volte evidenziato nelle fonti francescane, sia come strumento di obbedienza alla Chiesa, sia come strumento di elevazione nella povertà. Dalle parole di vari biografi e nei brani di teologi francescani risulta chiara l’importanza della rappresentazione del Presepe.
Ad esempio nella Cronaca delle sette tribolazioni di Angelo Clareno a proposito dell’amore di Cristo e della povertà si legge:


Egli poi, a quelli che sentiva perfetti nell’amore di Cristo, apriva i secreti del suo cuore, ricevuti direttamente da Cristo e insegnava che l’amore e l’osservanza fedele e piena della povertà e dell’umiltà di Cristo è il fondamento, la sostanza e la radice della vita evangelica e della Regola a lui rivelata da Cristo: quella povertà ed umiltà che Cristo, il Figlio di Dio, consacrò: egli che è nato in una grotta da madre povera, che è stato deposto nel presepio, involto in pannicelli, perché non c’era posto per lui nell’albergo; e poi circonciso e offerto, e fuggì in Egitto e poi ritornando abitò a Nazaret, mendicando per tre giorni, e poi digiunò, predicò, morì, fu sepolto in un sepolcro altrui e risorse da morte. "


Questa, diceva, è radice dell’obbedienza, madre della rinuncia, morte del compiacimento di sé e dell’avidità e dell’avarizia, obbedienza della fede, costruzione della speranza, dimostrazione dell’umiltà, prova e genitrice della pace di Dio, che supera ogni senso .
Ne L’Albero della vita di Ubertino da Casale, ritorna ancora il motivo della povertà:


Essa [la povertà] si strinse a te con tanta fedeltà che fin da quando eri nel seno della madre incominciò il suo ossequio" (Tommaso da Celano, Vita Prima)


La Vita Prima è più poetica e spirituale rispetto alla Vita seconda e la prima parte si conclude con il ricordo di questa ‘innovazione’ di Francesco: l’immagine del Presepio. E' il Dio bambino, Gesù bambino, di Francesco: un bambino che ha bisogno di essere amato e curato.
Importante da notare è il cambiamento di Francesco stesso nei confronti di Gesù. Non è più il Crocifisso che gli parla, è un Bambino, che va amato e protetto. Va rianimato nel cuore delle persone. Francesco avrà nei confronti delle immagini del Bambino una tenerezza e delicatezza nuova. Francesco rimane il figlio di Dio e servo di Cristo, ma diventa anche il ‘padre’ del Bambino, che ha bisogno di essere accudito, amato ed onorato.
Anche negli Scritti di Chiara d’Assisi compare evidente l’insegnamento di Francesco ad amare la povertà:


E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio, e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre indumenti vili” e ancora:

Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia! Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce,rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: O voi tutti, che sulla strada passate,fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, aduna voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia” .


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