lunedì 17 marzo 2008

LA SETTIMANA SANTA

Amici di Jeshua, Santa Settimana.


Ho pubblicato una raccolta di opere spirituali dal contenuto notevole, che mi hanno arricchito ed alimentato, preparandomi, per quanto sia possibile, alla comprensione del mistero della morte di Gesù. Il suo estremo sacrificio d'Amore è narrato da anime oranti che chi teologicamente, chi bibblicamente, chi chirurgicamente e chi profeticamente, hanno cercato d'introdurci con l'anima ad uno sguardo mistico sugli utlimi giorni del Redentore. Come ogni articolo proposto è sempre prima vagliato e sottoposto alla mia crescita e cultura e poi se per me utile a voi riproposto. Mi auguro che questo umilissimo lavoro di trascrittura, simile a quello medioevale degli "emanuensi" che riportavano i testi sacri riscrivendoli per la Chiesa, possa aiutarvi ed introdurvi al Golgota e possa rendere Gloria e Culto al solo e vero Re, il Signore Jeshua che Era, che E', e che viene!

Joshua

La Passione di Cristo secondo il chirurgo


dal volume di Pierre Barbet

Descrizione degli atroci dolori sofferti da Gesù durante la sua Passione, fatta da un dottore francese sulla base dei Vangeli e della Sindone
Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per tredici anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l'anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione.
Gesù entrato in agonia nel Getsemani - scrive l'evangelista Luca-pregava più intensamente. E diede in un sudore "come gocce di sangue" che cadevano fino a terra.
Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico.
Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l'angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiacciato il Martire.
Tale tensione estrema produce la rottura delle finissime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudoripare, il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra.
Conosciamo la farsa del processo imbastito dal Sinedrio ebraico, l'invio di Gesù a Pilato e il ballottaggio fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione. I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna apposita, alta circa tre metri, che termina con un anello. La flagellazione si effettua con delle strisce di cuoio multiple su cui sono fissate due palline di piombo. Le tracce nella Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulla spalla, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto.
I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla.
A ogni colpo Gesù trasale in un soprassalto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse appeso, quasi, per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.
Poi lo scherno della coronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell'acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di corona e glielo applicano sul capo. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare (i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio capelluto). Dalla Sindone si rivela che un forte colpo di bastone, dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell'ala cartilaginea.
Pilato, dopo aver mostrato quell'Uomo straziato alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione. Caricano sulle spalle di Gesù il grosso legno della croce; pesa una cinquantina di chili, ma peserebbe di più se non toccasse il terreno con il palo verticale. Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare, cosparso di ciottoli. I soldati lo tirano con le corde. Il percorso, fortunatamente, non e molto lungo: circa seicento metri. Gesù, a fatica, trascina un piede dopo l'altro; spesso cade sulle ginocchia. E la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando Egli cade a terra, la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.
Sul Calvario ha inizio la crocifissione. I carnefici, spogliano il Condannato; ma la sua tunica è incollata alle ferite e il toglierla è atroce. Avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l'anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si tratta.
Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva: a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto dalle piaghe. I carnefici danno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce non provoca uno svenimento?
Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene disteso sul dorso. Le sue piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sulla croce, gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi. Le spalle della Vittima hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della corona gli hanno lacerato il cranio. La sua povera testa è inclinata in avanti, poiché lo spessore della corona di spine le impedisce di appoggiarsi al legno. Ogni volta che il Martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime.
Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno: orribile supplizio! Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento violento si e posto in opposizione nel palmo della mano; il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita, è passato, come una lingua di fuoco, nella spalla e gli ha folgorato il cervello. È il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca uno svenimento e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto!
Invece (lo si constata spesso sperimentalmente) il nervo è distrutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino teso sul ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà, risvegliando dolori strazianti. Un supplizio che durerà tre ore. Così fanno anche per l'altra mano.
Gli inchiodano i piedi, il sinistro sopra il destro, con un chiodo grosso e lungo il doppio di quello usato per le mani. Operazione ancora più difficile delle mani, perché i piedi scivolano per la scossa del martello.
Il boia e i suoi aiutanti impugnano le estremità della croce; sollevano Gesù, poi rapidamente la incastrano nella buca già preparata per sostenere il patibolo.
È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto dalla sera precedente. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue. La bocca è semiaperta e il labbro inferiore comincia a pendere.
La gola, secca, gli brucia, ma Egli non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende, sulla punta della canna, una spugna imbevuta di bevanda acidula, in uso tra i militari. Tutto ciò è una tortura atroce.
Uno strano fenomeno si produce sul corpo di Gesù.
I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i muscoli delle spalle e delle braccia sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono descrivere. È ciò che i medici chiamano tetania, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori.
Il respiro si è fatto, a poco a poco, più corto. L'aria entra con un sibilo, ma non riesce più ad uscire. Gesù respira con l'apice dei polmoni. Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico.
Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d'aria, nonpossonopiù svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall'orbita. Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio!
Ma cosa avviene? Lentamente con uno sforzo sovrumano, il Crocifisso ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si tira su alleggerendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono.
La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.
Perché questo sforzo? Perché Gesù vuole parlare: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l'asfissia riprende.
Sono state tramandate sette frasi, pronunciate dal Signore in croce: ogni volta che vuol parlare, dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi: inimmaginabile!
Sciami di mosche, grosse mosche verdi e blu, ronzano attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso e sulle piaghe, ma Egli non può scacciarle. Dopo un po', il cielo si oscura, il sole si nasconde: d'un tratto la temperatura si abbassa.
Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre: di quando in quando si solleva per respirare. È l'asfissia periodica dell'infelice che viene strozzato. Una tortura che dura tre ore.
Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibrazioni dei nervi mediani, gli hanno strappato un lamento: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Ai piedi della croce stava la Madre di Gesù. Potete immaginare quale strazio Ella provò? A Lei affida Giovanni.
Poi Gesù esclama: "Tutto è compiuto!".
Infine, con immensa rassegnazione, dice: "Padre, nelle tue mani raccomando il mio Spirito".
Emette un alto grido.

La morte di Gesù in Giovanni (Gv 19)

di Padre Claudio Traverso


Tutti e quattro gli evangelisti raccontano della spartizione delle vesti. I beni dei condannati appartenevano ai crocifissori, ma Giovanni aggiunge il particolare della tunica senza cuciture, che non deve essere lacerata. E vede in questo fatto un adempimento del salmo 22,19, che infatti viene citato. E' chiaro che Giovanni attribuisce a questo particolare un forte significato simbolico. Dallo storico Giuseppe Flavio sappiamo che questa era la veste tipica del sommo sacerdote, e l'accenno all'impossibilita' della lacerazione della tunica potrebbe riprendere anche il significato che nel giudaismo veniva dato alla veste del sommo sacerdote, quello di rappresentare l'unita' dell'universo. E Gesu' non aveva detto che sulla croce egli e' capace di attirare "tutti" a se'?Questa spiegazione sembra la piu' fondata: il luogo in cui gli uomini possono trovare unita' e' solo il crocifisso che innalzato sulla croce ci lascia la sua veste senza cuciture, perche' ci ricordiamo dell'unita' profonda fra gli uomini che corrisponde al disegno originario di Dio. Davanti al crocifisso comprendiamo finalmente il legame che ci unisce, piu' forte di ogni lacerazione che la storia possa aver provocato. Nel nome del crocifisso ogni differenza tra gli uomini va intessuta, quindi ricomposta e superata, con quella altrui. Il pensiero che la diversita' debba essere motivo di scontro, di odio, di sopraffazione, e' dunque contrario al disegno di Dio che tesse con un'unico filo le vicende degli uomini. E in questa sezione del vangelo, all'atteggiamento dei soldati e della loro volonta' divisoria l'evangelista contrappone l'unita' dei credenti raccolti ai piedi della croce.

Altro particolare da notare: gli altri evangelisti pongono il gruppo delle donne a distanza della croce. Matteo e Marco parlano solo delle donne che guardano da lontano, perche' i discepoli erano tutti fuggiti. Luca aggiunge a queste donne che guardano da lontano, "tutti i suoi conoscenti". Ma Giovanni annulla ogni distanza tra questo gruppo e Gesu' crocifisso, collocandolo nel luogo stesso della croce. Si realizzano cosi' le parole di Gesu' del cap. 12, dove il discepolo che segue Gesu' sta dove sta lui laddove egli perde la sua vita, come il chicco di grano che muore per portare frutto. E' proprio questa verita' dell'esistenza del discepolo autentico che viene resa nel contrasto tra il "vedere da lontano", con cui gli altri evangelisti parlano di questo gruppo, e lo "stavano presso la croce" di Giovanni. In questa vicenda drammatica emergono particolarmente due figure: la madre e il discepolo amato. La madre di Gesu' era stata gia' presentata dall'evangelista alle nozze di Cana e anche li' essa era stata apostrofata da Gesu' con "donna". Il discepolo amato invece era stato presentato nel racconto della cena, come colui che adagiato accanto a Gesu', si era chinato sul suo petto per conoscere il nome del traditore. Ma qual'e' l'intenzione dell'evangelista nel dirci che Gesu' consegna Maria come madre al discepolo e il discepolo come figlio alla madre, con la notazione che da quell'ora (cioe' dall'ora della croce che e' al tempo stesso l'ora della gloria, della fecondita' del dono di Gesu') il discepolo la prese con se'? Tra le molte interpretazioni la piu' aderente al contesto originario e' la seguente: il fatto che Maria venga qui chiamata "donna" allo stesso modo in cui fu chiamata a Cana, ci dice che c'e' un collegamento tra i due episodi. Ora a Cana, Maria rappresentava con il suo atteggiamento fiducioso verso Gesu', coloro che da lui attendono la salvezza e costoro (Giovanni, i primi discepoli, Natanaele), sempre nella narrazione che precede l'episodio di Cana, appartengono all'Israele che attende il messia. Maria rappresenta cioe' quella parte del popolo che e' aperta a Gesu', il giudaismo credente. Essa e' la vergine, figlia di Sion, il grembo da cui i cristiani vengono. Il discepolo amato e' invece la figura ideale del discepolo, al quale Gesu' svela il suo intimo, colui che trasmette e spiega il messaggio di Gesu'. Egli e' la pace perche', come leggiamo nella lettera agli Efesini (Ef 2,14-18), ha annullato nel suo sangue il muro divisorio che rende estranei e lontani i popoli, perche' tutti abitino nella stessa casa. Altro particolare da notare: Giovanni fa precedere il racconto della morte di Gesu' con l'abbeveramento mediante aceto (in realta' si tratta di vino reso fortemente acidulo, a quel tempo molto in uso specie tra i soldati come bevanda dissetante); quando ebbe preso l'aceto, Gesu' disse: "Tutto e' compiuto! E, chinato il capo, spiro'". Mentre per Matteo, Marco e Luca sono gli altri che prendono l'iniziativa di dissetare Gesu', in Giovanni questa iniziativa viene da Gesu' che dice: "Ho sete". C'e' quindi una sete di Gesu' che deve essere soddisfatta perche' la sua missione giunga a termine, perche' si compia cio' per cui egli e' venuto. Questo viene presentato come adempimento della Scrittura e il riferimento e' probabilmente al salmo 69,22 (quando avevo sete, mi hanno dato aceto). In quel salmo tutto l'accento poggia sul contrasto tra la sete del giusto sofferente e l'aceto con cui viene dissetato per aggiungere sofferenza a sofferenza. In Giovanni invece il contrasto scompare, dato che l'aceto simboleggia proprio quello che Gesu' cerca, se poi dice che "Tutto e' stato compiuto". Il senso della sete sembra cioe' non esprimere tanto la sofferenza, quanto un bisogno piu' profondo che deve raggiungere il suo scopo. Nel vangelo di Giovanni ci si dice piu' volte di quale sete si tratta. Gesu' ad esempio domanda da bere alla Samaritana, nel cap. IV del vangelo, e la sua sete indica il desiderio di adempiere alla missione che il Padre gli ha affidato. In Giov 7, 38-39, Gesu' promette a coloro che credono in lui il dono dello Spirito, che fara' sgorgare dal cuore dei credenti fiumi di acqua viva, quando sara' glorificato. E sulla croce Gesu' da' lo Spirito. Sempre nel cap. IV, al v. 34, anche se non si parla di sete, ma di cibo, Gesu' afferma che il suo cibo e' di fare la volontà di colui che l'ha mandato e di compiere la sua opera. E, a Pietro, al momento della cattura, Gesu' dice: non berro' il calice che il Padre mi ha dato? Fame e sete rappresentano quindi il desiderio, anzi il bisogno di Gesu' di adempiere alla volontà del Padre che l'ha inviato. Gesu' vuole bere fino all'ultima goccia il calice della sofferenza e della morte, in maniera consapevole.

Chinando il capo, Gesu' "consegna" lo Spirito. Chinando il capo, cioe' morendo, Gesu' puo' dare lo Spirito perche' e' stato "glorificato", giacche' la morte in croce coincide in Giovanni con la glorificazione di Gesu'. Esso esprime i vari aspetti della passione di Gesu'. Se si parla quindi di un "consegnare lo Spirito" da parte di Gesu', si parla non solo e non principalmente del rendere lo spirito a Dio, ma della consegna del suo Spirito a noi che e' il compimento ultimo della croce. Per cui l'espressione"chino' il capo" indica una morte pienamente accettata, mentre la sottolineatura secondo cui "consegnò lo Spirito" sta a significare l'effetto di questa morte, quello che nella scena seguente viene espresso con il sangue e l'acqua, il battesimo e l'eucaristia, che la Chiesa riceve dal costato aperto del Crocifisso. In ogni caso predomina l'aspetto simbolico. Ora nella prima lettera di Giovanni, ci viene ripetuto che sono tre a dare testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, con un chiaro riferimento al sangue versato da Cristo e all'acqua del battesimo. "Vedere" qui non indica una semplice vista fisica, ma il vedere della fede. Il discepolo che ha ricevuto lo Spirito, coglie cioe' il senso del costato trafitto da cui esce sangue ed acqua e annuncia la fecondita' della croce, nella quale e' radicato sia il dono dello Spirito che l'eucaristia e il battesimo che alimentano la vita della comunita'. Nella croce arriva quindi a compimento tutto il senso delle Scritture: sorge la nuova Pasqua, quella del vero agnello pasquale a cui non viene spezzato alcun osso, ma che viene innalzato per noi. E si adempie cosi' la misteriosa profezia del profeta Zaccaria che aveva parlato di un misterioso uomo trafitto per colpa del popolo, che diventa in coloro che lo contemplano origine della conversione. Sulla croce Gesu' e' innalzato, per attirare tutti a se'. Gli uomini debbono semplicemente cogliere il significato di quella morte per ricevere lo Spirito e la vita nuova che essi debbono testimoniare nel mondo. Davanti alla croce di Gesu', ma anche davanti alla morte di qualsiasi innocente, di fronte alla sofferenza senza motivo di tanti uomini e donne - senza motivo cioe' che non sia quello della violenza e della sopraffazione di altri uomini - occorre anzitutto sostare, capire, comprendere, contemplare colui che e' stato trafitto. Solo dopo saremo in grado di agire perche' diminuisca la misura di sofferenza e di morte che regnano nel mondo. Ma saremo in grado di agire nella maniera giusta, solo se avremo contemplato e compreso il senso di quello che e' accaduto allora, e continua ad accadere ancora adesso, nei corpi martoriati degli uomini e delle donne innocenti.

SULLA CROCE GESÙ HA COMPLETATO LA SUA MISSIONE DI REDENTORE, MA ANCHE DI MAESTRO


di Pd.Enzo Ridolfi

Sulla croce Gesù ha completato la sua missione di Redentore, ma anche di Maestro.Ci ha insegnato il perdono, con le parole: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Vangelo di Luca 23,34), perdonando ai suoi uccisori e a chi lo offendeva come Dio e come morente.Ci ha insegnato ad aver fede nella misericordia concessa a chi si pente, con le parole: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso" (Vangelo di Luca 23,43), promettendo il paradiso a Disma (Vangelo di Luca 23,43).Ci ha insegnato a chi andare per non sentirvi soli, a Maria che ci è Madre, con le parole: "Ecco la tua madre" (Vangelo di Giovanni 19,27).Ci ha insegnato a chiedere umilmente ed a soffrire pazientemente, anche delle necessità corporali, con le parole: "Ho sete" (Vangelo di Giovanni 19,28), chiedendo un sorso per le sue labbra arse. Ci ha insegnato a non lamentarci se quel sorso è aceto e fiele. Aceto e fiele che è dato non soltanto alle labbra, ma spesso al cuore che chiede di amare e riceve ripulse e offese. II nostro Gesù, di questa amarissima mistura, ne ha avuto saturo il cuore.Ci ha insegnato chi invocare nelle ore in cui il dolore si precipita su noi e ci pare che tutti, anche Dio, ci abbiano abbandonato, con le parole: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Vangelo di Matteo 27,46).Gesù era, per necessità di Redenzione, realmente abbandonato dal Padre, ma l'ha ugualmente invocato. Così dobbiamo fare anche noi nelle ore di prova e di dolore.Se anche Dio ci pare lontano, chiamarlo lo stesso in soccorso. Dargli sempre filiale amore. Egli ci darà i suoi doni. Potranno non essere quelli che invochiamo. Saranno altri ancora più utili a noi. Dobbiamo fidarci dei Padre nostro. Egli ama e provvede (Libro della Genesi 22,14). Dio premia chi crede nella sua bontà.Sulla croce Gesù ci ha insegnato il grande valore che ha l'anima, con le parole: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Vangelo di Luca 23,46).L'estrema sollecitudine del Morente va al suo spirito, prossimo a liberarsi dalla carne per tornare all'Origine da cui era venuto. Lo raccomanda al Padre.Gesù ci ha insegnato che una sola cosa e preziosa nella vita e preziosa oltre la vita: lo spirito. Esso deve avere tutte le nostre cure durante l'esistenza e le nostre previdenze nell'ora della morte.Valore immisurabile del nostro vivere di uomini è lo spirito, signore del nostro essere. Tutto quanto possediamo sulla terra è cosa che muore con la carne. Nulla ci segue nell'altra vita. Ma lo spirito resta e ci precede (Vangelo di Giovanni 6,63). Si presenta al Giudice e riceve la prima sentenza, poi riscuote la carne nell'ora dell'ultimo Giudizio e la fa di nuovo viva, beata con lo spirito o con esso maledetta. Secoli o attimi di morte conosce la carne avanti la sua risurrezione, ma lo spirito non conosce che una morte da quella non risorge. Di questa dobbiamo aver paura (Vangelo di Matteo 10,28; Libro dell'Apocalisse 20,14 15;21,8).Affidiamo in vita e in morte il nostro spirito al Potente, al Santo, al Misericordioso Iddio. Allo spirito che si affida a Lui poco può nuocere Satana sulla terra allo spirito che nell'agonia invoca Dio sono risparmiati terrori che il Nemico suscita per ultima vendetta; allo spirito che spira in Dio gli viene aperto il cielo e da morte passa a vita eterna, santa, beata.Sulla croce Gesù ci ha insegnato la gioia che viene dal compiere la volontà di Dio, con le parole: "Tutto è compiuto" (Vangelo di Giovanni 19,30).Al dolore angoscioso di quella morte, subentrò in Gesù la gioia d'averci conquistato la Vita. Così avvienE anche per noi quando moriamo in grazia di Dio.

ERA QUESTO CHE VOLEVA SATANA: PORTARE IL CRISTO ALLA DISPERAZIONE

di Pd Enzo Ridolfi

Gesù è il Figlio del Dio Altissimo, ma è anche il Figlio dell'uomo. Colui che, pur essendo di natura divina, ha preso la nostra natura umana (Lettera ai Filippesi 2,6-8). Maria, la casta Madre di Gesù, ha portato il Figlio non solo per i nove mesi con cui ogni donna porta il frutto dell'uomo, ma per tutta la vita. I cuori dell'Uomo e della Donna erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato sempre insieme. Non c'era lacrima materna che cadesse senza rigare il cuore di Gesù, e non c'era interno lamento di Gesù che non aumentasse la sofferenza materna.Se fa pena pensare alla madre di un figlio destinato alla morte per malattia, o alla madre di un innocente ucciso dalla cattiveria umana, pensiamo a Maria che, dal momento in cui ha concepito Gesù, ha tremato, sapendo che era il Condannato. Pensiamo a questa Madre che, quando ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee del suo Neonato, ha sentito sulle labbra il sangue delle sue future piaghe; a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la vita per impedire al Redentore di divenire Uomo e di giungere al momento dell'immolazione; a questa Madre che sapeva, e che doveva desiderare quell'oratremenda, per accettare la volontà del Signore e per il bene dell'umanità.Non vi fu agonia più lunga per una donna, finita in un dolore più grande, di quella della Madre di Dio. E non vi è stato un dolore più grande e più completo per un uomo, di quello del Dio della Madre.Gesù sentiva, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Lui. A testimonianza degli increduli, che non volevano comprendere chi era Gesù, il Padre aveva aperto per tre volte il Cielo: al fiume Giordano, sul monte Tabor e in Gerusalemme nella vigilia della passione (Vangelo di Matteo 3,17; 17,5; Vangelo di Giovanni 12,28). Ma l'aveva fatto per gli uomini, perché credessero, non per dare sollievo al Figlio. Costui ormai era l'Espiatore.Gesù è il Redentore che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia la pena d'esser guardato con severità dal Padre ed essere abbandonato da Lui. Più l'ora dell'espiazione si avvicinava e più sentiva allontanarsi il conforto celeste.La separazione da Dio porta con sé tristezza, paura, attaccamento alla vita, stanchezza, malinconia, insoddisfazione, turbamento. Più la separazione è profonda e più sono forti queste conseguenze. Quando la separazione è totale porta la disperazione, e tanto più ne soffre chi non l'ha meritata.Gesù ha dovuto conoscere tutto il dolore, per poter tutto perorare presso il Padre in nostro favore. Anche le nostre disperazioni Gesù le ha provate. Ha provato cosa significa dire: "Sono solo. Tutti mi hanno tradito, tutti mi hanno abbandonato. Anche il Padre nonm'aiuta più".Nella sera del Giovedì santo solo Gesù sa quanto aveva bisogno di un conforto spirituale! Era già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l'addio ad una Madre amatissima, la vicinanza dell'amico traditore. Erano due piaghe che bruciavano il cuore dell'Uomo-Dio. Una col suo pianto, l'altro col suo odio.Gesù era l'Espiatore, la Vittima, l'Agnello. L'agnello, prima d'esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamento, conosce la vendita al beccaio. Solo alla fine conosce il gelo del coltello, che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Gesù, Agnello di Dio, ha conosciuto tutto.Allora, mentre il Padre si ritirava nei cieli, è venuto Satana. Glielo aveva promesso (Vangelo di Luca 4,13). Con la sua astuzia perfetta, Satana presentò al Salvatore le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Gesù vinse il demonio pregando, e lo spirito signoreggiò la paura del corpo.Gli presentò allora l'inutilità del suo morire, l'utilità di vivere per Se stesso senza occuparsi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per sua Madre e non farla soffrire. Vivere per portare a Dio, con un lungo apostolato, tanti uomini. Una volta morto Gesù, gli uomini si sarebbero dimenticati di Lui; mentre se fosse stato Maestro non per tre anni, ma per decenni, avrebbero finito ad immedesimarsi della sua dottrina. Ed anche il Padre lo avrebbe perdonato, vedendo l'abbondante messe dei credenti da Lui raccolta.Satana presentò poi a Gesù l'abbandono di Dio.II Padre non lo amava più, perché era carico dei peccati del mondo. Gli faceva ribrezzo. Lo abbandonava al ludibrio di una folla feroce e non gli concedeva neppure il suo divino conforto. Solo! In quell'ora non c'era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, poiché non lo amavano o erano indifferenti.Gesù pregava per coprire con la sua preghiera le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva sul Cristo, come le pietre della lapidazione, e lo schiacciava sotto il suo peso. Invano la sua preghiera era lanciata contro i cieli chiusi.Allora il Martire senti l'amaro del fondo del calice. II sapore della disperazione. Era questo, infatti, che voleva Satana: portare il Cristo a disperare, per fare di Lui un suo schiavo. Ma Gesù ha vinto la disperazione, e l'ha vinta con le sole sue forze, perché ha voluto vincerla. Con le sole sue forze di Uomo.Sulla croce il Redentore sperimentò la sua ultima tentazione, la più forte e la più tremenda, perché quella finale. L'ultima occasione in mano di Satana per vincere il suo Nemico. Gesù ha sudato ancora sangue in quel momento, e questa volta senza conforto angelico (Vangelo di Luca 22,43). Ha sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio (Vangelo di Luca 22,44). Gesù ha vinto facendo la volontà del Padre, solamente quella. Non rispose più a colui che lo accusava, perché quando Satana diventa fortissimo l'unica cosa da fare è ignorarlo: silenzio e fedeltà.Il diavolo allora se ne andò vinto, vinto anche dal Padre, ma deciso a tormentare fino alla fine dei secoli i figli del suo Figlio.I nostri nomi! I nomi dei salvati dal sacrificio del Cristo! Tutti li ha avuti presenti Gesù nella lotta contro la disperazione. Ogni nome di persona buona fu per Lui come un farmaco nelle vene per ridargli speranza. Ognuno dei salvati dal suo Sangue fu per Lui vita che torna, luce che nasce, forza che aumenta, gioia che viene. Nelle inumane torture della crocifissione, per non urlare il suo dolore di Uomo e per non disperare di un Dio troppo severo verso la sua Vittima, Gesù si è ripetuto i nostri nomi. Egli ci ha visti nel futuro del suo eterno presente. Ci ha benedetti da allora e da allora ci ha portati nel cuore.Benedetti i salvati dal suo Sangue! Conforto del Cristo morente! La Madre amatissima, il discepolo prediletto, le donne pietose e molti altri erano intorno al suo morire, ma noi pure c'eravamo. I suoi occhi morenti si sono chiusi così. Beati di chiudersi per averci salvati. Noi, che abbiamo meritato il Sacrificio di un Dio, dobbiamo essere perseveranti, vivere nel bene, fuggire dal male, tenerci stretti alla croce, santificandoci nella fede, nella speranza e nella carità.

LE PASSIONI DELL’UOMO GESÙ LE HA PROVATE


di Pd. Enzo Redolfi


Uno dei grandi dolori di Gesù crocifisso fu quello di avere dovuto straziare Maria sua Madre, l'avere dovuto vederla piangere. È per questo che Egli non le nega nulla. Maria gli ha dato tutto. Gesù le dà tutto. Maria ha sofferto tutto il dolore. Gesù le dà tutta la gioia.Quando pensiamo alla Vergine dovremmo meditare questa sua agonia, durata trentatré anni e culminata ai piedi della croce. Ella l'ha sofferta per noi.Per noi le derisioni della folla che la giudicava Madre di un pazzo. Per noi i rimproveri dei parenti e delle persone influenti. Per noi la sua vìta nascosta neì segreti della contemplazione. Per noi il dolore di vivere lontana dal Figlio. Per noi il voto della sua verginità, per noi l'ubbidienza totale alla volontà di Dio. Per noi il sacrificio di lasciare la sua casetta e mescolarsi alle folle. Per noi il disagio di lasciare la sua piccola patria per ìl tumulto dì Gerusalemme. Per noì il dovere essere a contatto con un demonio come Giuda, che covava in cuore il tradimento. Per noi il dolore di sentire suo Figlio accusato di possessione diabolica, di tradimento e di eresia. Per noi lo strazio della croce e l'insulto dei crocifissori. Per noi la solitudine che precedette la risurrezione. Per noi gli anni trascorsi prima della sua assunzione al cielo. Tutto, tutto ha sofferto per noi. Noi non sappiamo quanto Gesù ha amato la Madre sua. Noi non riflettiamo come il cuore del Figlio di Maria e di Giuseppe fosse sensibile agli affetti. E crediamo che la sua tortura sia stata puramente fisica; al massimo vi aggiungiamo la tortura spirituale dell'abbandono finale del Padre (Vangelo di Marco 15, 34).Gesù ha sofferto molto nel corpo e nello spirito, ma anche nel morale. Le passioni dell'uomo, Gesù-Uomo le ha provate. Ha sofferto di veder soffrire sua Madre, di doverla condurre, come agnella mansueta, al supplizio, di doverla straziare coi successivi addii: a Nazareth prima dell'evangelizzazione, al Cenacolo prima della passione, sul Calvario prima della morte, sul monte degli Ulivi prima dell'ascensione.Gesù ha sofferto di vedersi schernito, odiato, calunniato, circuito da curiosità malsane che evolvevano in male. Ha sofferto di tutte le menzogne che ha dovuto udire o vedere agenti al suo fianco. Le menzogne dei farisei ipocriti, che lo chiamavano Maestro e gli facevano domande non per fede nella sua intelligenza ma per tendergli tranelli. Le menzogne dei beneficati da Lui e che gli si volsero in accusatori nel Sinedrio e nel Pretorio. La menzogna premeditata, lunga, sottile di Giuda, che l'ha venduto ed hacontinuato a fingersi discepolo, che l'ha indicato ai carnefici col bacio: segno dell'amore. Ha sofferto della menzogna di Pietro, preso per paura umana.Quanta menzogna! Quanta menzogna tanto rivoltante per Gesù, che è la Verità! E quanta anche ora ve ne è nel mondo, così contraria a Lui, così contraria al bene!Infine, Gesù ha sofferto pensando che davanti al valore infinito del suo Sacrificio, il Sacrificio di un Dio, troppo pochi si sarebbero salvati. Tutti coloro che nei secoli dei secoli della terra avrebbero preferito la morte alla vita eterna, rendendo vana la sua oblazione, Gesù li ha avuti presenti. E con questa cognizione è andato incontro alla morte.

PIAGATO PER LE NOSTRE INIQUITA’

di Pd Enzo Redolfi

Gesù Cristo ora vive in paradiso e radiosa è la sua Umanità. Ma durante la Passione essa era simile a quella di un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L'Uomo-Dio che aveva in Sé la perfezione della bellezza fisica, perché Figlio di Dio e della Donna senza macchia, apparve allora un verme, l'obbrobrio degli uomini, il rifiuto della gente, come dice la Scrittura (Salmo 21, 7).
L'amore per il Padre e per le sue creature portò Gesù ad abbandonare il suo corpo a chi lo percuoteva, a chi lo schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria strappandogli i capelli e la barba, trapassandogli la testa con le spine, slogandogli le membra, scoprendo le sue ossa, strappandogli le vesti e dando così alla sua purezza la più grande delle torture, configgendolo ad un legno e innalzandolo come agnello sgozzato sul palo della croce, in una tremenda agonia.
Accusato, condannato, ucciso, tradito, rinnegato, venduto. Abbandonato anche da Dio, perché su Lui erano i delitti di cui si era addossato. Reso più povero del viandante derubato dai briganti, perché non gli fu lasciata neppur la veste per coprire la sua nudità di Martire. Non risparmiato neppur oltre la morte dallo sfregio della ferita al cuore e dalle calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i nostri peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più luce dal cielo che rispondesse al suo sguardo morente, né voce divina che rispondesse al suo estremo invocare. Isaia spiega la ragione di tanto dolore: "Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Libro del profeta lsaia 53,4).
I nostri dolori. Sì, Gesù li ha portati per noi! Per sollevarci dal peccato e dalle sue conseguenze. Sul Cristo era la lebbra dei nostri numerosi peccati, come una veste di penitenza, come un peso che curva e uccide: "Trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità... il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Libro del profeta lsaia 53.5-6).
Sarebbe bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici. Ma Gesù era venuto volontariamente per compiere il sacrificio e, come Agnello - poiché Egli è l'Agnello di Dio e lo è in eterno - si è lasciato condurre, per essere spogliato e ucciso e per fare della sua Morte la nostra Vita: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca" (Libro del profeta lsaia 53,7).
II nostro Salvatore non è bianco nella veste e biondo nel capo, come dovrebbe essere. Non ha lo sguardo di zaffiro e il sorriso di un amico, come dovrebbe avere un Maestro buono. II suo vestito è rosso di sangue, è lacero, coperto di immondezze e di sputi (Libro del profeta lsaia 63,1-6; Libro dell'Apocalisse 19,11-16). Il suo volto è tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue, dal sudore e dal pianto, e ci guarda attraverso occhi di dolore. Le sue mani sono inchiodate e non possono più benedire per salvare.
Gesù si lascia condannare e appendere, si lascia insultare e uccidere dai molti che non lo vogliono amare. Ma, ai pochi fedeli che lo onorano e lo seguono, Egli promette il beato paradiso e la vita eterna.
"Nessuno ha un amore più grande di questo dare la vita per i propri amici

PADRE PERDONA

di Pier Angelo Piai


Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno!

Oggi stesso sarai con me in Paradiso.

Donna, ecco tuo figlio!

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!

Ho sete!

Padre, nelle tue mani rimetto il mio Spirito!


Egli ci ha amati sino alla fine. Anche in quella terribile situazione pensava al Padre e a noi. Non ha avuto parole di vendetta, ma una grande compassione verso i suoi carnefici. E' il massimo dell'amore : amare chi ci odia e ci fa del male. Quella è stata l'ora che ha confermato la validità di tutto il suo insegnamento e delle sue opere. Se fosse stato un impostore non avrebbe potuto superare una prova così difficile : tormentato nella carne e nello spirito, attorniato da un "branco di cani", spettacolo per una folla cinica, inerme nei confronti del dolore di chi tra i presenti amava più di tutti : sua madre e l'amico Giovanni.
Pensiamo poco al dolore di Maria, donna innocente e umile nello spirito. I vangeli non riportano una sola parola da lei espressa durante l'agonia di suo Figlio, ma la sua sofferenza è stata indescrivibile: il suo mutismo era partecipazione profonda alla passione del suo amatissimo unico Figlio. Amare e far amare è sempre stata la priorità nella missione del Figlio. Un amore così folle non s'era mai visto sulla faccia della terra.
In qualche modo ognuno di noi riproduce qualcosa della vita di Cristo. Egli non si è incarnato per diventare solo un modello da imitare. Si è incarnato per assimilarci alla sua vita, rendendoci partecipi dei suoi dolori e delle sue gioie, proprio perché tutte le cose sono state create per mezzo di Lui ed in vista di Lui. Per questo si offre a noi ogni giorno anche attraverso l'Eucaristia: mangiando il suo corpo ci divinizziamo ed entriamo gradualmente nel dinamismo trinitario. Altrimenti per quale motivo ci avrebbe creati se non per darci la possibilità di partecipare alla sua pienezza divina? Dovremmo tutti essere "alter Christi". Guardo al mio passato e trovo assurdità, contraddizioni, errori, superficialità, mediocrità. E' mai possibile che in me si annida un "alter Christi"?
Nella passione e morte in Croce è possibile anche questo, perché i miei peccati sono stati purificati dal suo sangue. E saranno porificati anche quelli futuri, se deciderò per la conversione. Gesù comprende la nostra fragilità... sempre!

SOFFERENZE DI GESU'

di Pd.Enzo Ridolfi


Noi non sappiamo quanto è costato a Gesù essere Salvatore e per Maria essere al fianco dei suo Figlio. Non sappiamo con che eroismo, con che generosità, con che mitezza, Gesù e Maria hanno subìto le loro torture per la carità di salvarci.
La missione di redentori è una missione austera. La più austera di tutte. Quella rispetto alla quale la vita del monaco o della monaca della più severa regola è un fiore rispetto ad un mucchio di spine.
Le sofferenze della Passione sono servite a riparare le nostre innumerevoli colpe. Niente nel corpo del Signore fu escluso dai patimenti, perché niente nell'uomo è esente da colpa. Gesù è venuto per annullare gli effetti del peccato col suo Sangue, lavando in esso le nostre anime e renderci solidi contro il male.
Le mani di Gesù sono state ferite e imprigionate, dopo essersi stancate di benedire e di portare la Croce, per riparare a tutti i delitti fatti dalle nostre mani di uomini. Da quelli veri e propri di reggere e manovrare un'arma contro un fratello, facendo di noi dei Caini, a quelli di rubare, di scrivere false accuse, di offendere, di fare atti contro il nostro corpo, o di oziare in cose che sono terreno propizio al sorgere dei vizi. Per le nostre illecite libertà delle mani, Gesù ha fatto crocifiggere le sue inchiodandole al legno e privandole d'ogni moto più che lecito e necessario.
I piedi del nostro Salvatore, dopo essersi affaticati e contusi sulle pietre del suo cammino di passione, sono stati trafitti, immobilizzati, per riparare a tutto il male che noi facciamo coi piedi, usandoli per andare in luoghi non benedetti dal Signore.
Col suo sangue Gesù ha segnato le vie, le piazze, le case, le scale di Gerusalemme, per purificare tutte le vie, le piazze, le scale, le case della terra da tutto il male che vi è dentro, contrario alla legge di Dio.
Le carni del Signore si sono maculate, contuse, lacerate per punire in Lui tutto il culto esagerato che noi diamo al corpo, l'idolatria di amare cose e persone più di quanto dobbiamo amare Dio.
Sopra ogni amore ed ogni vincolo della terra ci deve essere l'amore per il Signore. Nessun altro affetto deve essere superiore a questo. Amiamo i nostri cari in Dio, non sopra a Dio. Amiamo con tutto noi stessi Dio, come il comandamento insegna (Libro del Deuteronomio 6,5; Vangelo di Matteo 22,37). Ciò non assorbirà il nostro amore al punto da renderci indifferenti ai congiunti, ma anzi alimenterà il nostro amore per loro della perfezione attinta da Dio, poiché chi ama Dio ha Dio in sé e, avendo Dio, ha la perfezione dell'amore.
Gesù ha fatto delle sue carni una piaga per levare alle nostre il veleno del senso, del non pudore, del non rispetto, dell'ambizione e ammirazione per ciò che è destinato a tornare polvere. Non è col culto al corpo che si porta il corpo alla bellezza, bensì è con l'amore verso lo spirito immortale che si dà al corpo la bellezza eterna del cielo.
La testa del Signore fu afflitta da mille torture: percosse, sole, urla, spine, per riparare alle colpe della nostra mente. Superbia, impazienza, insopportabilità, insofferenza, pensieri cattivi, pullulano come un fungaio nel nostro cervello. Gesù ha fatto di esso un organo torturato e decorato di sangue, per riparare a tutto ciò che di cattivo sgorga dal nostro pensiero.
Anche se era Re, l'unica corona che Gesù ha voluto fu quella delle spine. La corona che solo un pazzo o un suppliziato può portare. Gesù era giudicato pazzo, e pazzo, soprannaturalmente, divinamente pazzo, era, avendo voluto morire per noi che non lo amiamo o lo amiamo così poco. Egli era in balia dell'uomo: suo prigioniero, suo condannato. Gesù, Dio, condannato dall'uomo!
Quante impazienze noi abbiamo per delle inezie, quante insoffribilità per dei semplici malesseri! Ma guardiamo il nostro Salvatore! Meditiamo cosa doveva essere di straziante quel pungere continuo della corona in nuovi posti, quell'impigliarsi nelle ciocche dei capelli, quello spostarsi continuo senza dar modo di muovere il capo, di appoggiarlo in nessun modo che non desse tormento! Ma pensiamo cosa erano per la sua testa torturata, dolente, febbrile, le urla della folla, le percosse sul capo, il sole cocente! Ma riflettiamo quale dolore doveva avere nel suo povero cervello, andato all'agonia del Venerdì già tutto un dolore per lo sforzo subìto nella sera del Giovedì, al quale saliva la febbre di tutto il corpo straziato e delle intossicazioni provocate dalle torture!
E nel capo gli occhi, il naso, la bocca, la lingua ebbero il loro tormento, per riparare ai nostri sguardi così amanti di vedere ciò che è male e così dimentichi di cercare Dio, per riparare alle troppe e troppo inutili e cattive parole che diciamo invece di usare le labbra per insegnare, per pregare, per confortare; per riparare alle nostre golosità, senza pietà di chi ha fame e sprecando ciò che per molti è necessario.
Gli organi del Signore non furono esenti dal soffrire. Non uno di essi. Soffocazioni e tosse per i polmoni contusi dalla barbara flagellazione e resi edematici dalla posizione sulla croce. Affanno e dolore al cuore spostato e reso infermo dalla crudele flagellazione, dal dolore morale che l'aveva preceduta, dalla fatica della salita sotto il grave peso del legno, dall'anemia consecutiva a tutto il sangue che già aveva sparso.
Cuore, fegato, milza, reni sopraffaticati e percossi oltremisura.
E poi la sete! Quale tortura la sete! Eppure non ci fu uno, fra tanti, che in quelle ore seppe dare al Maestro una goccia d'acqua. Dalla cena del Giovedì in poi, Egli non ebbe più nessun conforto. Febbre, sole, calore, polvere, dissanguamento, sudore, gli causarono una sete fortissima. Ma Gesù non volle addolcimenti al suo patire e respinse il vino mirrato che produce intontimento al dolore (Vangelo di Marco 15,23). Solo sulla croce chiese da bere per dare compimento alle Scritture.
Questo il soffrire di Gesù nel suo corpo innocente. E non parliamo delle torture dell'affetto per sua Madre e per il suo dolore! Ci voleva anche questo, ma per Gesù è stato lo strazio più crudele. La presenza della Mamma, infatti, se è stata la cosa più desiderata dal suo Cuore divino che aveva bisogno di avere quel conforto nella solitudine infinita che lo circondava - infinita solitudine veniente da Dio e dagli uomini - fu tortura per il Figlio.
Maria doveva esser là, angelo di carne, per impedire alla disperazione di assalire il Figlio dell'uomo, come l'angelo spirituale l'aveva impedito nel Getsemani (Vangelo di Luca 22,43). Maria doveva esser là per unire il dolore di Gesù al suo, per la nostra redenzione. Maria doveva esser là per ricevere l'investitura di Madre del genere umano. Ma, vederla morire ad ogni suo fremito, fu per Gesù il più grande dolore. Neppure il tradimento, neppure la cognizione che il suo Sacrificio sarebbe stato inutile per molti - questi due dolori che poche ore prima gli erano parsi tanto grandi da farlo sudare sangue - erano paragonabili a questo di veder soffrire sua Madre e di vederla piangere.