lunedì 17 marzo 2008

SOFFERENZE DI GESU'

di Pd.Enzo Ridolfi


Noi non sappiamo quanto è costato a Gesù essere Salvatore e per Maria essere al fianco dei suo Figlio. Non sappiamo con che eroismo, con che generosità, con che mitezza, Gesù e Maria hanno subìto le loro torture per la carità di salvarci.
La missione di redentori è una missione austera. La più austera di tutte. Quella rispetto alla quale la vita del monaco o della monaca della più severa regola è un fiore rispetto ad un mucchio di spine.
Le sofferenze della Passione sono servite a riparare le nostre innumerevoli colpe. Niente nel corpo del Signore fu escluso dai patimenti, perché niente nell'uomo è esente da colpa. Gesù è venuto per annullare gli effetti del peccato col suo Sangue, lavando in esso le nostre anime e renderci solidi contro il male.
Le mani di Gesù sono state ferite e imprigionate, dopo essersi stancate di benedire e di portare la Croce, per riparare a tutti i delitti fatti dalle nostre mani di uomini. Da quelli veri e propri di reggere e manovrare un'arma contro un fratello, facendo di noi dei Caini, a quelli di rubare, di scrivere false accuse, di offendere, di fare atti contro il nostro corpo, o di oziare in cose che sono terreno propizio al sorgere dei vizi. Per le nostre illecite libertà delle mani, Gesù ha fatto crocifiggere le sue inchiodandole al legno e privandole d'ogni moto più che lecito e necessario.
I piedi del nostro Salvatore, dopo essersi affaticati e contusi sulle pietre del suo cammino di passione, sono stati trafitti, immobilizzati, per riparare a tutto il male che noi facciamo coi piedi, usandoli per andare in luoghi non benedetti dal Signore.
Col suo sangue Gesù ha segnato le vie, le piazze, le case, le scale di Gerusalemme, per purificare tutte le vie, le piazze, le scale, le case della terra da tutto il male che vi è dentro, contrario alla legge di Dio.
Le carni del Signore si sono maculate, contuse, lacerate per punire in Lui tutto il culto esagerato che noi diamo al corpo, l'idolatria di amare cose e persone più di quanto dobbiamo amare Dio.
Sopra ogni amore ed ogni vincolo della terra ci deve essere l'amore per il Signore. Nessun altro affetto deve essere superiore a questo. Amiamo i nostri cari in Dio, non sopra a Dio. Amiamo con tutto noi stessi Dio, come il comandamento insegna (Libro del Deuteronomio 6,5; Vangelo di Matteo 22,37). Ciò non assorbirà il nostro amore al punto da renderci indifferenti ai congiunti, ma anzi alimenterà il nostro amore per loro della perfezione attinta da Dio, poiché chi ama Dio ha Dio in sé e, avendo Dio, ha la perfezione dell'amore.
Gesù ha fatto delle sue carni una piaga per levare alle nostre il veleno del senso, del non pudore, del non rispetto, dell'ambizione e ammirazione per ciò che è destinato a tornare polvere. Non è col culto al corpo che si porta il corpo alla bellezza, bensì è con l'amore verso lo spirito immortale che si dà al corpo la bellezza eterna del cielo.
La testa del Signore fu afflitta da mille torture: percosse, sole, urla, spine, per riparare alle colpe della nostra mente. Superbia, impazienza, insopportabilità, insofferenza, pensieri cattivi, pullulano come un fungaio nel nostro cervello. Gesù ha fatto di esso un organo torturato e decorato di sangue, per riparare a tutto ciò che di cattivo sgorga dal nostro pensiero.
Anche se era Re, l'unica corona che Gesù ha voluto fu quella delle spine. La corona che solo un pazzo o un suppliziato può portare. Gesù era giudicato pazzo, e pazzo, soprannaturalmente, divinamente pazzo, era, avendo voluto morire per noi che non lo amiamo o lo amiamo così poco. Egli era in balia dell'uomo: suo prigioniero, suo condannato. Gesù, Dio, condannato dall'uomo!
Quante impazienze noi abbiamo per delle inezie, quante insoffribilità per dei semplici malesseri! Ma guardiamo il nostro Salvatore! Meditiamo cosa doveva essere di straziante quel pungere continuo della corona in nuovi posti, quell'impigliarsi nelle ciocche dei capelli, quello spostarsi continuo senza dar modo di muovere il capo, di appoggiarlo in nessun modo che non desse tormento! Ma pensiamo cosa erano per la sua testa torturata, dolente, febbrile, le urla della folla, le percosse sul capo, il sole cocente! Ma riflettiamo quale dolore doveva avere nel suo povero cervello, andato all'agonia del Venerdì già tutto un dolore per lo sforzo subìto nella sera del Giovedì, al quale saliva la febbre di tutto il corpo straziato e delle intossicazioni provocate dalle torture!
E nel capo gli occhi, il naso, la bocca, la lingua ebbero il loro tormento, per riparare ai nostri sguardi così amanti di vedere ciò che è male e così dimentichi di cercare Dio, per riparare alle troppe e troppo inutili e cattive parole che diciamo invece di usare le labbra per insegnare, per pregare, per confortare; per riparare alle nostre golosità, senza pietà di chi ha fame e sprecando ciò che per molti è necessario.
Gli organi del Signore non furono esenti dal soffrire. Non uno di essi. Soffocazioni e tosse per i polmoni contusi dalla barbara flagellazione e resi edematici dalla posizione sulla croce. Affanno e dolore al cuore spostato e reso infermo dalla crudele flagellazione, dal dolore morale che l'aveva preceduta, dalla fatica della salita sotto il grave peso del legno, dall'anemia consecutiva a tutto il sangue che già aveva sparso.
Cuore, fegato, milza, reni sopraffaticati e percossi oltremisura.
E poi la sete! Quale tortura la sete! Eppure non ci fu uno, fra tanti, che in quelle ore seppe dare al Maestro una goccia d'acqua. Dalla cena del Giovedì in poi, Egli non ebbe più nessun conforto. Febbre, sole, calore, polvere, dissanguamento, sudore, gli causarono una sete fortissima. Ma Gesù non volle addolcimenti al suo patire e respinse il vino mirrato che produce intontimento al dolore (Vangelo di Marco 15,23). Solo sulla croce chiese da bere per dare compimento alle Scritture.
Questo il soffrire di Gesù nel suo corpo innocente. E non parliamo delle torture dell'affetto per sua Madre e per il suo dolore! Ci voleva anche questo, ma per Gesù è stato lo strazio più crudele. La presenza della Mamma, infatti, se è stata la cosa più desiderata dal suo Cuore divino che aveva bisogno di avere quel conforto nella solitudine infinita che lo circondava - infinita solitudine veniente da Dio e dagli uomini - fu tortura per il Figlio.
Maria doveva esser là, angelo di carne, per impedire alla disperazione di assalire il Figlio dell'uomo, come l'angelo spirituale l'aveva impedito nel Getsemani (Vangelo di Luca 22,43). Maria doveva esser là per unire il dolore di Gesù al suo, per la nostra redenzione. Maria doveva esser là per ricevere l'investitura di Madre del genere umano. Ma, vederla morire ad ogni suo fremito, fu per Gesù il più grande dolore. Neppure il tradimento, neppure la cognizione che il suo Sacrificio sarebbe stato inutile per molti - questi due dolori che poche ore prima gli erano parsi tanto grandi da farlo sudare sangue - erano paragonabili a questo di veder soffrire sua Madre e di vederla piangere.

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