lunedì 17 marzo 2008

La morte di Gesù in Giovanni (Gv 19)

di Padre Claudio Traverso


Tutti e quattro gli evangelisti raccontano della spartizione delle vesti. I beni dei condannati appartenevano ai crocifissori, ma Giovanni aggiunge il particolare della tunica senza cuciture, che non deve essere lacerata. E vede in questo fatto un adempimento del salmo 22,19, che infatti viene citato. E' chiaro che Giovanni attribuisce a questo particolare un forte significato simbolico. Dallo storico Giuseppe Flavio sappiamo che questa era la veste tipica del sommo sacerdote, e l'accenno all'impossibilita' della lacerazione della tunica potrebbe riprendere anche il significato che nel giudaismo veniva dato alla veste del sommo sacerdote, quello di rappresentare l'unita' dell'universo. E Gesu' non aveva detto che sulla croce egli e' capace di attirare "tutti" a se'?Questa spiegazione sembra la piu' fondata: il luogo in cui gli uomini possono trovare unita' e' solo il crocifisso che innalzato sulla croce ci lascia la sua veste senza cuciture, perche' ci ricordiamo dell'unita' profonda fra gli uomini che corrisponde al disegno originario di Dio. Davanti al crocifisso comprendiamo finalmente il legame che ci unisce, piu' forte di ogni lacerazione che la storia possa aver provocato. Nel nome del crocifisso ogni differenza tra gli uomini va intessuta, quindi ricomposta e superata, con quella altrui. Il pensiero che la diversita' debba essere motivo di scontro, di odio, di sopraffazione, e' dunque contrario al disegno di Dio che tesse con un'unico filo le vicende degli uomini. E in questa sezione del vangelo, all'atteggiamento dei soldati e della loro volonta' divisoria l'evangelista contrappone l'unita' dei credenti raccolti ai piedi della croce.

Altro particolare da notare: gli altri evangelisti pongono il gruppo delle donne a distanza della croce. Matteo e Marco parlano solo delle donne che guardano da lontano, perche' i discepoli erano tutti fuggiti. Luca aggiunge a queste donne che guardano da lontano, "tutti i suoi conoscenti". Ma Giovanni annulla ogni distanza tra questo gruppo e Gesu' crocifisso, collocandolo nel luogo stesso della croce. Si realizzano cosi' le parole di Gesu' del cap. 12, dove il discepolo che segue Gesu' sta dove sta lui laddove egli perde la sua vita, come il chicco di grano che muore per portare frutto. E' proprio questa verita' dell'esistenza del discepolo autentico che viene resa nel contrasto tra il "vedere da lontano", con cui gli altri evangelisti parlano di questo gruppo, e lo "stavano presso la croce" di Giovanni. In questa vicenda drammatica emergono particolarmente due figure: la madre e il discepolo amato. La madre di Gesu' era stata gia' presentata dall'evangelista alle nozze di Cana e anche li' essa era stata apostrofata da Gesu' con "donna". Il discepolo amato invece era stato presentato nel racconto della cena, come colui che adagiato accanto a Gesu', si era chinato sul suo petto per conoscere il nome del traditore. Ma qual'e' l'intenzione dell'evangelista nel dirci che Gesu' consegna Maria come madre al discepolo e il discepolo come figlio alla madre, con la notazione che da quell'ora (cioe' dall'ora della croce che e' al tempo stesso l'ora della gloria, della fecondita' del dono di Gesu') il discepolo la prese con se'? Tra le molte interpretazioni la piu' aderente al contesto originario e' la seguente: il fatto che Maria venga qui chiamata "donna" allo stesso modo in cui fu chiamata a Cana, ci dice che c'e' un collegamento tra i due episodi. Ora a Cana, Maria rappresentava con il suo atteggiamento fiducioso verso Gesu', coloro che da lui attendono la salvezza e costoro (Giovanni, i primi discepoli, Natanaele), sempre nella narrazione che precede l'episodio di Cana, appartengono all'Israele che attende il messia. Maria rappresenta cioe' quella parte del popolo che e' aperta a Gesu', il giudaismo credente. Essa e' la vergine, figlia di Sion, il grembo da cui i cristiani vengono. Il discepolo amato e' invece la figura ideale del discepolo, al quale Gesu' svela il suo intimo, colui che trasmette e spiega il messaggio di Gesu'. Egli e' la pace perche', come leggiamo nella lettera agli Efesini (Ef 2,14-18), ha annullato nel suo sangue il muro divisorio che rende estranei e lontani i popoli, perche' tutti abitino nella stessa casa. Altro particolare da notare: Giovanni fa precedere il racconto della morte di Gesu' con l'abbeveramento mediante aceto (in realta' si tratta di vino reso fortemente acidulo, a quel tempo molto in uso specie tra i soldati come bevanda dissetante); quando ebbe preso l'aceto, Gesu' disse: "Tutto e' compiuto! E, chinato il capo, spiro'". Mentre per Matteo, Marco e Luca sono gli altri che prendono l'iniziativa di dissetare Gesu', in Giovanni questa iniziativa viene da Gesu' che dice: "Ho sete". C'e' quindi una sete di Gesu' che deve essere soddisfatta perche' la sua missione giunga a termine, perche' si compia cio' per cui egli e' venuto. Questo viene presentato come adempimento della Scrittura e il riferimento e' probabilmente al salmo 69,22 (quando avevo sete, mi hanno dato aceto). In quel salmo tutto l'accento poggia sul contrasto tra la sete del giusto sofferente e l'aceto con cui viene dissetato per aggiungere sofferenza a sofferenza. In Giovanni invece il contrasto scompare, dato che l'aceto simboleggia proprio quello che Gesu' cerca, se poi dice che "Tutto e' stato compiuto". Il senso della sete sembra cioe' non esprimere tanto la sofferenza, quanto un bisogno piu' profondo che deve raggiungere il suo scopo. Nel vangelo di Giovanni ci si dice piu' volte di quale sete si tratta. Gesu' ad esempio domanda da bere alla Samaritana, nel cap. IV del vangelo, e la sua sete indica il desiderio di adempiere alla missione che il Padre gli ha affidato. In Giov 7, 38-39, Gesu' promette a coloro che credono in lui il dono dello Spirito, che fara' sgorgare dal cuore dei credenti fiumi di acqua viva, quando sara' glorificato. E sulla croce Gesu' da' lo Spirito. Sempre nel cap. IV, al v. 34, anche se non si parla di sete, ma di cibo, Gesu' afferma che il suo cibo e' di fare la volontà di colui che l'ha mandato e di compiere la sua opera. E, a Pietro, al momento della cattura, Gesu' dice: non berro' il calice che il Padre mi ha dato? Fame e sete rappresentano quindi il desiderio, anzi il bisogno di Gesu' di adempiere alla volontà del Padre che l'ha inviato. Gesu' vuole bere fino all'ultima goccia il calice della sofferenza e della morte, in maniera consapevole.

Chinando il capo, Gesu' "consegna" lo Spirito. Chinando il capo, cioe' morendo, Gesu' puo' dare lo Spirito perche' e' stato "glorificato", giacche' la morte in croce coincide in Giovanni con la glorificazione di Gesu'. Esso esprime i vari aspetti della passione di Gesu'. Se si parla quindi di un "consegnare lo Spirito" da parte di Gesu', si parla non solo e non principalmente del rendere lo spirito a Dio, ma della consegna del suo Spirito a noi che e' il compimento ultimo della croce. Per cui l'espressione"chino' il capo" indica una morte pienamente accettata, mentre la sottolineatura secondo cui "consegnò lo Spirito" sta a significare l'effetto di questa morte, quello che nella scena seguente viene espresso con il sangue e l'acqua, il battesimo e l'eucaristia, che la Chiesa riceve dal costato aperto del Crocifisso. In ogni caso predomina l'aspetto simbolico. Ora nella prima lettera di Giovanni, ci viene ripetuto che sono tre a dare testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, con un chiaro riferimento al sangue versato da Cristo e all'acqua del battesimo. "Vedere" qui non indica una semplice vista fisica, ma il vedere della fede. Il discepolo che ha ricevuto lo Spirito, coglie cioe' il senso del costato trafitto da cui esce sangue ed acqua e annuncia la fecondita' della croce, nella quale e' radicato sia il dono dello Spirito che l'eucaristia e il battesimo che alimentano la vita della comunita'. Nella croce arriva quindi a compimento tutto il senso delle Scritture: sorge la nuova Pasqua, quella del vero agnello pasquale a cui non viene spezzato alcun osso, ma che viene innalzato per noi. E si adempie cosi' la misteriosa profezia del profeta Zaccaria che aveva parlato di un misterioso uomo trafitto per colpa del popolo, che diventa in coloro che lo contemplano origine della conversione. Sulla croce Gesu' e' innalzato, per attirare tutti a se'. Gli uomini debbono semplicemente cogliere il significato di quella morte per ricevere lo Spirito e la vita nuova che essi debbono testimoniare nel mondo. Davanti alla croce di Gesu', ma anche davanti alla morte di qualsiasi innocente, di fronte alla sofferenza senza motivo di tanti uomini e donne - senza motivo cioe' che non sia quello della violenza e della sopraffazione di altri uomini - occorre anzitutto sostare, capire, comprendere, contemplare colui che e' stato trafitto. Solo dopo saremo in grado di agire perche' diminuisca la misura di sofferenza e di morte che regnano nel mondo. Ma saremo in grado di agire nella maniera giusta, solo se avremo contemplato e compreso il senso di quello che e' accaduto allora, e continua ad accadere ancora adesso, nei corpi martoriati degli uomini e delle donne innocenti.

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