martedì 22 aprile 2008

VIVERE NEL MONDO COME VERI ADORATORI DI DIO


(di Antonio Lanfranchi Vescovo di Cesena- Sarsina)

“ Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” ( Mt 2,12 )

Mi sembra utile , per comprendere che cosa voglia dire “ vivere nel mondo da veri adoratori” ricuperare il significato della parola “ adorazione”. L’etimologia della parola fa riferimento al gesto di portare la mano alla bocca per tacere e ascoltare, e al gesto di prostrarsi fino a toccare la terra con la bocca. Adorazione significa dunque umiltà profonda, silenzio pieno di stupore, ascolto attento e obbediente.
Portare la mano alla bocca per tacere e ascoltare: essere capace di silenzio profondo, quasi sospendere il respiro per avvertire la presenza discreta di Gesù che ci parla.
Mi ha sempre colpito il fatto che nel Catechismo della Chiesa Cattolica , nella quarta parte dedicata alla preghiera, a modello della preghiera di contemplazione, potremmo dire della preghiera di adorazione, non è stato scelto un grande mistico, come Santa Teresa d’Avila o San Giovanni della Croce, ma un umile contadino di Ars, che, alla scuola del suo parroco ( il Santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney), aveva imparato a recarsi in Chiesa prima di iniziare il suo lavoro o al termine di esso. Un giorno che il suo compagno di lavoro non lo vide arrivare, seppe dove andare a trovarlo. Entrò in Chiesa e lo trovò assorto in preghiera; gli chiese allora come mai si attardasse e il contadino rispose semplicemente: “ Io guardo Lui e Lui guarda me”, come a dire: io guardo Lui, cioè Gesù -Eucaristia, e cerco di comprendere me alla luce del suo sguardo.
Stupenda descrizione della preghiera di adorazione! Io comprendo me alla luce dello sguardo di Gesù su di me.
Adorare porta ad accogliersi dalle mani di Dio, del suo amore.
Nell’adorazione emerge la verità della nostra vita come “ appartenenza”.
La vera adorazione di Dio porta l’uomo a superare la falsa concezione di essere lui il padrone della sua vita per riconoscersi creatura.
Uno dei valori più grandi e più cari all’uomo d’oggi è indubbiamente quello della libertà. Ma come vive la sua libertà? Che uso ne fa?
A volte mi sembra che assomigli tanto all’indemoniato che Gesù incontra a Cerasa. L’evangelista Marco sottolinea che: “Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a temerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo” ( Mc 5, 3-4 ).
La scena è di una intensa drammaticità. Potremmo dire che quest’uomo goda di una libertà assoluta: nulla e nessuno riesce a mettergli dei freni.Ma che libertà è la sua, se la usa per percuotersi, per farsi del male?
L’uomo contemporaneo è giustamente geloso della sua libertà, ma tante volte spinge la concezione della libertà fino al punto di avere la pretesa di essere “ libertà che si autoprogetta”, e non semplicemente “libertà donata”. In altre parole ha la pretesa di determinare lui stesso ciò che è bene e ciò che è male, di determinare lui il senso e la verità della vita. E’ vero ciò che io ritengo sia vero, è falso ciò che io dico falso; è buono ciò che io ritengo che sia buono, mentre è male ciò che io chiamo male.
Al centro c’è il proprio io e tutto ruota intorno ad esso.
Questa concezione porta a penalizzare o a ridicolizzare i valori cristiani, da cui bisogna liberarsi per poter affermare veramente la propria vita. Oppure a non negare Dio o combatterlo, ma semplicemente ignorarlo : si vive praticamente , ignorandolo. Non si pone la questione di Dio, si vive come se non esistesse. Se questa visione può dare un senso di ebbrezza, di onnipotenza quando le cose vanno bene, può anche generare nell’uomo un’angoscia opprimente, quando le cose vanno male, facendogli sperimentare tutta la sua fragilità e non potendo confidare su nessuno per potersi rialzare.
Se vuole riconoscere la verità di se stesso, l’uomo non è libertà che si autoprogetta, ma libertà donata, non si appartiene, riceve da Dio la vita e la verità della vita.
Diventare sempre più veri significa cambiare la nostra falsa coscienza di essere padroni di noi stessi e arrivare alla consapevolezza di appartenere totalmente a un Altro.
Questo cambiamento di mentalità non è mortificante per l’uomo, ma è la via alla vera felicità, alla serenità, alla speranza.
Proviamo a pensare come sarebbe la nostra vita se sviluppassimo veramente la coscienza di appartenere a un Dio che è Padre?
Vi invito a leggere e a meditare il capitolo 43 del Profeta Isaia: “ Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: ‘Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno, se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo…Non temere, perché io sono con te” ( Is. 43, 1-5).
Proviamo a rileggere la nostra vita nella luce positiva dell’amore di Dio per noi, un amore fedele, qualsiasi sia stata o sia la nostra risposta; questo dovrebbe aiutarci a rinnovare la speranza , a dare un respiro più grande alla nostra vita. Dal riconoscere che tutti apparteniamo al Signore, dovrebbero nascere rapporti nuovi tra noi, più profondi di quelli che nascono dalla carne, dal piacere, dall’interesse, dalla convenienza.
La vera adorazione rende tutta la vita un culto gradito a Dio
Giovanni Paolo II nel Messaggio ci esorta con forza: “ Siate adoratori dell’unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza” ( n. 5 ).
E’ il secondo aspetto che vorrei richiamare Lo vorrei fare anzitutto con l’aiuto di S. Teresa d’Avila. Nella sua biografia leggiamo che a quarant’anni circa , dopo 20 anni di monastero vissuti nell’osservanza delle regole, Teresa viveva un momento di crisi, di stanchezza spirituale, perché in un certo senso sentiva ancora il cuore diviso tra Dio e le creature: amava Dio ma amava molto anche le creature. “ La mia vita – scrive – era tra le più penose che si possa immaginare perché non godevo di Dio, né trovavo felicità nel mondo…Anelavo a vivere, giacché mi rendevo conto di non stare vivendo, bensì lottando contro un’ombra di morte…” .
Teresa superò la crisi contemplando Cristo , in cui si componeva quella tensione che lei provava tra il mondo di Dio e il mondo degli uomini, tra l’amore dovuto al Signore e quello dovuto al prossimo, Lui è insieme il nostro Dio e il nostro prossimo, l’eterno che è entrato nel tempo, l’amico con cui si può vivere, parlare, stare come e più di quanto si faccia con ogni altro amico.Cristo è il centro in cui tutto può e deve essere raccolto.
In Cristo Teresa comprese che Dio non andava messo tanto al primo posto ma all’unico posto nel nostro cuore, per ricevere da Lui tutto, creature umane e beni del creato, per amare con il suo amore tutte le creature ricevute in dono da Lui.
Dio non ci distoglie dall’amore delle creature, ma lo potenzia e nello stesso tempo gli toglie il carattere di assoluto, di idolo. Amare le creature con l’amore di Dio vuol dire tendere con il suo aiuto ad amarle con la stessa intensità di amore e con la stessa intenzionalità con cui le ama Dio. E Dio ci ama davvero in termini unici, gratuiti, eterni!
Quando uno si mette in questa prospettiva, diventa vero adoratore di Dio nel mondo.
Gesù disse alla Samaritana: “ E’ giunto il momento , ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori “ ( Gv 4, 23 ).
E’ vero adoratore del Padre chi in ogni momento della sua vita, in ogni situazione ricerca la volontà di Dio, come ha fatto Gesù.
Nella Lettera agli Ebrei leggiamo: “Entrando nel mondo,Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco,io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare , o Dio, la tua volontà. Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo” ( Eb.10, 5-10 ).
Forse non pensiamo abbastanza alla rivoluzione che Gesù introduce nella storia della religione e che queste parole manifestano. Prima il rapporto con Dio veniva significato dall’offerta a Dio di sacrifici, a cui non corrispondeva tante volte l’impegno a obbedirgli nelle scelte della vita.
D’ora in poi il sacrificio non sarà l’offerta di qualcosa, ma solo l’offerta della propria vita a Dio; d’ora in poi la vita religiosa non sarà più un settore, per quanto ampio, della vita dell’uomo ma coinvolgerà tutta la vita dell’uomo. Diventa culto il lavoro, lo studio, il divertimento, la vita familiare, i rapporti interpersonali, l’impegno politico, l’impegno culturale. Tutto. Tutto perché tutto può e deve essere vissuto secondo la volontà di Dio. Dio non vuole il sacrificio di una parte della vita; vuole che tutta la vita dell’uomo sia trasfigurata e diventi portatrice di amore e di giustizia. Se questo avviene, tutta l’esistenza diventa un sacrificio vivo, santo e gradito a Dio. Si diventa veri adoratori di Dio nella vita. San Paolo nella Lettera ai Romani ci dice: “ vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” ( Rom. 12, 1-2 ).
Sappiamo che nella concezione biblica il corpo non è una parte dell’uomo, è tutto l’uomo nella sua realtà sociale, nel suo rapportarsi con gli altri. Quindi offrire il corpo vuol dire offrire tutta la vita, anche i pensieri e i sentimenti, tutto quello che entra nella costruzione dell’esistenza.
Paolo esorta ad offrire il proprio corpo come sacrificio gradito a Dio. Gradito a Dio. Quando Dio lo guarda, lo riconosce conforme alla sua volontà, al suo progetto.Proviamo ad esemplificare.
Prendiamo il nostro rapporto con gli altri, è gradito a Dio, quando Dio, guardandolo, può dire : “ Mi piace! Lo approvo!”. Immaginiamo come è un’amicizia, un rapporto di amore che Dio gradisce. O pensiamo al lavoro o allo studio, fatti in modo che Dio li approvi, perché vi ritrova almeno una scintilla della sua volontà.
Tutto quello che fa parte della vita può trasformarsi in culto.
Se io dicessi che cosa istintivamente chiamo sacrificio offerto a Dio, mi verrebbe da dire l’atto di culto o i “ riti che celebriamo”. Invece , secondo Paolo, il culto autentico è la vita quotidiana. E’ culto il lavoro, lo studio, l’amicizia, l’amore, quando sono vissuti nella volontà di Dio.
L’adorazione di Dio nella vita porta a liberarsi degli idoli che di volta in volta possiamo costruirci.
Chi aderisce al Dio di Gesù Cristo sa apprezzare la bellezza e la bontà di tutte le creature, riceve tutto in dono. Nello stesso tempo non assolutizza nulla, non fa cioè diventare nulla idolo della sua vita.
La vera alternativa di fronte alla quale è messo ogni uomo non è tanto tra fede e ateismo, ma tra fede e idolatria, tra l’accettazione del Dio vivente attraverso il servizio obbediente per fede o il rifiuto di Lui con la conseguente accettazione del servizio agli idoli .
La Bibbia parla degli idoli in questi termini: “ Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non sentono…” ( Sal 115,4 ss), ma nei confronti dell’uomo che li serve, alienandosi in loro, sono delle potenze.
L’idolo è una realtà , di per sé buona, che s’insinua nel cuore dell’uomo prendendo gradualmente il posto di Dio, diventando la cosa più importante a cui subordinare tutto .Gli idoli sono potenti ed efficaci, non dimentichiamolo.
Il nostro mondo è popolato da idoli. Ogni creatura che viene assolutizzata , perdendo il suo riferimento al Creatore diventa un idolo,perché separa da Dio, usurpando a Lui la sua signoria.Tutto nella nostra esistenza può diventare idolo : le cose che sono e quelle che noi produciamo, se diventano un assoluto, se catturano la nostra libertà , se concentrano su di sé le nostre attenzioni dandoci le vertigini sono idoli.
Idolo può essere il corpo, il benessere, il denaro , il successo, il sesso, il potere, il divertimento, il lavoro, lo studio.
Non è sbagliato avere cura del proprio corpo, anzi è un dovere, ma quando questo diventa la preoccupazione dominante, che assorbe tutte le proprie energie, come se l’importanza della persona dipendesse dal suo corpo, allora diventa un idolo. Non è sbagliato cercare il successo, aspirare a migliorare la propria posizione, ma quando il denaro, la bramosia di guadagno, è tutto, fino a sacrificare affetti, cura di sé, doveroso riposo, allora diventa idolo. Così il divertimento, così il lavoro.Quante persone ,invidiate perché ricche o potenti, se potessero , darebbero tutto in cambio di un vero affetto. Quanti giovani ricercano la felicità in un esasperato divertimento e si ritrovano più soli e angosciati di prima. L’idolo è potente, schiaccia.
Mi verrebbe da dire che ,mentre il nostro Dio ha dato la vita perchè potessimo essere veramente liberi , l’idolo ti toglie la libertà, ti porta ad alienare la vita.
Non resta allora che smascherare gli idoli e abbatterli. Non con le nostre forze, ma in nome di Colui che li ha vinti sulla croce e ci ha donato il Suo Spirito perché potessimo contrastarli e vincerli anche noi: Gesù il Cristo, il Salvatore.
Ognuno di noi è sempre posto di fronte alla scelta tra gli idoli e Dio, ma in questa scelta non è mai solo.
Il fascino di una vita liberata dagli idoli ci è testimoniata dai Santi, in particolare dai martiri, che, chiamati alla fede in un mondo idolatra, per fede vivono, oltre la morte.
La vera adorazione di Dio non è dunque qualcosa di intimistico, ma la strada che porta alla vera libertà, ad apprezzare e a valorizzare il dono di tutto il creato, senza rendersene schiavi.
Vorrei concludere con un bellissimo principio di Edith Stein: “ Sento la mia anima sempre più libera quando obbedisco”. Nell’obbedienza a Dio la nostra vera libertà.

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