martedì 6 maggio 2008

IL FRUTTO DELLO SPIRITO SANTO

di Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 1,3-4

A quanti, in Roma, siete prediletti da Dio e chiamati ad esser santi (Rm 1,7)... Giacché, infatti, era verosimile che, fra i credenti, certi provenissero dalla classe dirigente, mentre altri fossero privati cittadini e di modeste condizioni, Paolo, prescindendo da qualsiasi discriminazione di carattere sociale, si rivolge loro con un unico appellativo. Se, d`altronde, nelle cose più importanti e di carattere spirituale, come l`amore di Dio, la vocazione, il Vangelo, l`adozione a figli di Dio, la grazia, la pace, la santificazione e tutto il resto; se in queste cose, dicevo, tutto è ugualmente accessibile tanto agli schiavi quanto agli uomini liberi, non sarebbe allora il colmo della follia ritenere che coloro che Dio ha unito e reso eguali nelle cose più importanti, debbano poi distinguersi l`uno dall`altro in considerazione della rispettiva posizione sociale? Fin dall`esordio, perciò, il beato apostolo, nell`intento di stornare questo terribile vizio, invita i fedeli all`umiltà, madre di tutte le virtù. Ciò rendeva, da un lato, migliori gli schiavi, giacché essi apprendevano a non temere alcun danno dalla loro schiavitù, dal momento che godevano dell`autentica libertà; i padroni, d`altra parte, venivano ammaestrati a non aspettarsi alcun vantaggio dalla loro libertà, se non avessero anteposto a tutto le cose riguardanti la fede. Perché, d`altronde, tu comprenda che Paolo, nel far questo, non creava confusione né sconvolgeva ogni cosa, ma introduceva, anzi, un validissimo criterio di distinzione; perché tu comprenda questo, dicevo, egli non scrive semplicemente: «A tutti voi che siete a Roma» bensì esclusivamente «a quanti siete prediletti da Dio». Questa, infatti, è un`eccellente discriminante e, inoltre, mostra chiaramente donde provenga la santificazione.
Da dove, allora, proviene la santità? Dall`amore. Dopo aver detto, infatti, «ai prediletti da Dio», Paolo soggiunge: ...«chiamati ad esser santi»; mostrando, così, come questa sia la fonte di tutti i beni. Per santi, poi, egli intende tutti i fedeli. Grazia e pace a voi! (Rm 1,7). Di quanto bene è foriero un augurio del genere! Cristo stesso comanda agli apostoli di pronunciare anzitutto queste parole, all`atto di entrare in una casa. Paolo, pertanto, è sempre in questo modo che esordisce, cioè dall`augurio di grazia e di pace. La guerra che Cristo ha combattuto, infatti, non è stata piccola, ma incessante, molteplice e quotidiana; e ciò non certo per i nostri sforzi, ma per la sua grazia. Poiché, dunque, l`amore ha recato la grazia, e la grazia a sua volta è stata portatrice di pace, Paolo prega, con quella sua forma di saluto, che la grazia e la pace persistano saldamente e non si scateni una nuova guerra. Per questo rivolge la sua preghiera a colui che elargisce questi doni, affinché li conservi durevolmente, e lo implora con le parole: Grazia e pace a voi da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo (Rm 1,7). Ed ecco che, a questo punto, quel «da parte di» risulta riferito, allo stesso modo, sia al Padre che al Figlio: è come se Paolo indicasse, in questo modo, la fonte donde provengono la grazia e la pace. Non ha detto, infatti: «Grazia e pace a voi da parte di Dio Padre per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo», ma «da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo».
Che risultato straordinario ha ottenuto l`amore di Dio! I nemici e i malvagi sono immediatamente divenuti santi e figli di Dio. Quando il Padre chiama, infatti, è ai suoi figli che si rivolge, mostrando, così, tutto il tesoro dei suoi beni. Cerchiamo di conservare, dunque, un patrimonio così prezioso, conducendo una vita degna e perseverando nella pace e nella santità. Gli altri onori, infatti, sono destinati a sparire e passano insieme con la vita presente: anche con il denaro si possono acquistare. Hanno soltanto il nome di prestigioso e affidano la loro forza allo sfarzo degli abiti e all`adulazione dei cortigiani. Questo dono della santità e dell`adozione, appunto perché ottenuto da Dio, non ci verrà tolto con la morte, ma, dopo averci fatto risplendere in questo mondo, rimarrà insieme a noi anche nella vita futura. Chi conserva l`adozione da parte di Dio, infatti, e custodisce premurosamente la propria santità, appare di gran lunga più splendido e più felice di colui che si cinge d`un diadema o si veste di porpora; nella vita presente egli gode di una grande tranquillità, nutrendo la buona speranza, non avendo alcuna occasione per turbarsi e angosciarsi e rimanendo, insomma, sempre felice. Non la grandezza del potere, infatti, né la forza del denaro né l`ostentazione del lusso né l`energia del corpo né l`abbondanza dei cibi né lo sfarzo nel vestire né alcun`altra cosa umana valgono a donare il buonumore e l`allegria, ma soltanto la giusta dimensione spirituale e la buona coscienza. Colui che ha cura di serbare questa pura, potrà anche esser vestito di stracci e tormentato dalla fame, ma sarà sempre più lieto di coloro che vivono nel lusso più smodato; chi, invece, è cosciente dei propri torti, benché circondato da grandi ricchezze, sarà il più infelice di tutti. Per questo Paolo, a dispetto della continua fame e della nudità e delle frustate che ogni giorno era costretto a subire, era contento e felice più dei re; Acab, invece, pur regnando e godendo di ogni delizia, per il fatto di aver commesso quel peccato (cf. 1Re 16,29ss), piangeva, stava in apprensione e il suo volto appariva depresso, sia prima che dopo il peccato.
Se vogliamo, dunque, esser felici, fuggiamo anzitutto il male e pratichiamo la virtù, giacché non esiste altra via per conquistare la gioia, anche se salissimo sul trono stesso dei re. E` per questo che Paolo avvertiva: Il frutto dello Spirito è la carità, la gioia, la pace (Gal 5,22). Conservando, perciò, con cura questo frutto in noi, quaggiù potremo esser felici e, un giorno, ci renderemo meritevoli di conseguire il regno futuro.

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