A quanti, in Roma, siete prediletti da Dio e chiamati ad esser santi (Rm 1,7)... Giacché, infatti, era verosimile che, fra i credenti, certi provenissero dalla classe dirigente, mentre altri fossero privati cittadini e di modeste condizioni, Paolo, prescindendo da qualsiasi discriminazione di carattere sociale, si rivolge loro con un unico appellativo. Se, d`altronde, nelle cose più importanti e di carattere spirituale, come l`amore di Dio, la vocazione, il Vangelo, l`adozione a figli di Dio, la grazia, la pace, la santificazione e tutto il resto; se in queste cose, dicevo, tutto è ugualmente accessibile tanto agli schiavi quanto agli uomini liberi, non sarebbe allora il colmo della follia ritenere che coloro che Dio ha unito e reso eguali nelle cose più importanti, debbano poi distinguersi l`uno dall`altro in considerazione della rispettiva posizione sociale? Fin dall`esordio, perciò, il beato apostolo, nell`intento di stornare questo terribile vizio, invita i fedeli all`umiltà, madre di tutte le virtù. Ciò rendeva, da un lato, migliori gli schiavi, giacché essi apprendevano a non temere alcun danno dalla loro schiavitù, dal momento che godevano dell`autentica libertà; i padroni, d`altra parte, venivano ammaestrati a non aspettarsi alcun vantaggio dalla loro libertà, se non avessero anteposto a tutto le cose riguardanti la fede. Perché, d`altronde, tu comprenda che Paolo, nel far questo, non creava confusione né sconvolgeva ogni cosa, ma introduceva, anzi, un validissimo criterio di distinzione; perché tu comprenda questo, dicevo, egli non scrive semplicemente: «A tutti voi che siete a Roma» bensì esclusivamente «a quanti siete prediletti da Dio». Questa, infatti, è un`eccellente discriminante e, inoltre, mostra chiaramente donde provenga la santificazione.
Da dove, allora, proviene la santità? Dall`amore. Dopo aver detto, infatti, «ai prediletti da Dio», Paolo soggiunge: ...«chiamati ad esser santi»; mostrando, così, come questa sia la fonte di tutti i beni. Per santi, poi, egli intende tutti i fedeli. Grazia e pace a voi! (Rm 1,7). Di quanto bene è foriero un augurio del genere! Cristo stesso comanda agli apostoli di pronunciare anzitutto queste parole, all`atto di entrare in una casa. Paolo, pertanto, è sempre in questo modo che esordisce, cioè dall`augurio di grazia e di pace. La guerra che Cristo ha combattuto, infatti, non è stata piccola, ma incessante, molteplice e quotidiana; e ciò non certo per i nostri sforzi, ma per la sua grazia. Poiché, dunque, l`amore ha recato la grazia, e la grazia a sua volta è stata portatrice di pace, Paolo prega, con quella sua forma di saluto, che la grazia e la pace persistano saldamente e non si scateni una nuova guerra. Per questo rivolge la sua preghiera a colui che elargisce questi doni, affinché li conservi durevolmente, e lo implora con le parole: Grazia e pace a voi da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo (Rm 1,7). Ed ecco che, a questo punto, quel «da parte di» risulta riferito, allo stesso modo, sia al Padre che al Figlio: è come se Paolo indicasse, in questo modo, la fonte donde provengono la grazia e la pace. Non ha detto, infatti: «Grazia e pace a voi da parte di Dio Padre per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo», ma «da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo».
Che risultato straordinario ha ottenuto l`amore di Dio! I nemici e i malvagi sono immediatamente divenuti santi e figli di Dio. Quando il Padre chiama, infatti, è ai suoi figli che si rivolge, mostrando, così, tutto il tesoro dei suoi beni. Cerchiamo di conservare, dunque, un patrimonio così prezioso, conducendo una vita degna e perseverando nella pace e nella santità. Gli altri onori, infatti, sono destinati a sparire e passano insieme con la vita presente: anche con il denaro si possono acquistare. Hanno soltanto il nome di prestigioso e affidano la loro forza allo sfarzo degli abiti e all`adulazione dei cortigiani. Questo dono della santità e dell`adozione, appunto perché ottenuto da Dio, non ci verrà tolto con la morte, ma, dopo averci fatto risplendere in questo mondo, rimarrà insieme a noi anche nella vita futura. Chi conserva l`adozione da parte di Dio, infatti, e custodisce premurosamente la propria santità, appare di gran lunga più splendido e più felice di colui che si cinge d`un diadema o si veste di porpora; nella vita presente egli gode di una grande tranquillità, nutrendo la buona speranza, non avendo alcuna occasione per turbarsi e angosciarsi e rimanendo, insomma, sempre felice. Non la grandezza del potere, infatti, né la forza del denaro né l`ostentazione del lusso né l`energia del corpo né l`abbondanza dei cibi né lo sfarzo nel vestire né alcun`altra cosa umana valgono a donare il buonumore e l`allegria, ma soltanto la giusta dimensione spirituale e la buona coscienza. Colui che ha cura di serbare questa pura, potrà anche esser vestito di stracci e tormentato dalla fame, ma sarà sempre più lieto di coloro che vivono nel lusso più smodato; chi, invece, è cosciente dei propri torti, benché circondato da grandi ricchezze, sarà il più infelice di tutti. Per questo Paolo, a dispetto della continua fame e della nudità e delle frustate che ogni giorno era costretto a subire, era contento e felice più dei re; Acab, invece, pur regnando e godendo di ogni delizia, per il fatto di aver commesso quel peccato (cf. 1Re 16,29ss), piangeva, stava in apprensione e il suo volto appariva depresso, sia prima che dopo il peccato.
Se vogliamo, dunque, esser felici, fuggiamo anzitutto il male e pratichiamo la virtù, giacché non esiste altra via per conquistare la gioia, anche se salissimo sul trono stesso dei re. E` per questo che Paolo avvertiva: Il frutto dello Spirito è la carità, la gioia, la pace (Gal 5,22). Conservando, perciò, con cura questo frutto in noi, quaggiù potremo esser felici e, un giorno, ci renderemo meritevoli di conseguire il regno futuro.
Da dove, allora, proviene la santità? Dall`amore. Dopo aver detto, infatti, «ai prediletti da Dio», Paolo soggiunge: ...«chiamati ad esser santi»; mostrando, così, come questa sia la fonte di tutti i beni. Per santi, poi, egli intende tutti i fedeli. Grazia e pace a voi! (Rm 1,7). Di quanto bene è foriero un augurio del genere! Cristo stesso comanda agli apostoli di pronunciare anzitutto queste parole, all`atto di entrare in una casa. Paolo, pertanto, è sempre in questo modo che esordisce, cioè dall`augurio di grazia e di pace. La guerra che Cristo ha combattuto, infatti, non è stata piccola, ma incessante, molteplice e quotidiana; e ciò non certo per i nostri sforzi, ma per la sua grazia. Poiché, dunque, l`amore ha recato la grazia, e la grazia a sua volta è stata portatrice di pace, Paolo prega, con quella sua forma di saluto, che la grazia e la pace persistano saldamente e non si scateni una nuova guerra. Per questo rivolge la sua preghiera a colui che elargisce questi doni, affinché li conservi durevolmente, e lo implora con le parole: Grazia e pace a voi da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo (Rm 1,7). Ed ecco che, a questo punto, quel «da parte di» risulta riferito, allo stesso modo, sia al Padre che al Figlio: è come se Paolo indicasse, in questo modo, la fonte donde provengono la grazia e la pace. Non ha detto, infatti: «Grazia e pace a voi da parte di Dio Padre per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo», ma «da parte di Dio, nostro Padre, e del Signore Gesù Cristo».
Che risultato straordinario ha ottenuto l`amore di Dio! I nemici e i malvagi sono immediatamente divenuti santi e figli di Dio. Quando il Padre chiama, infatti, è ai suoi figli che si rivolge, mostrando, così, tutto il tesoro dei suoi beni. Cerchiamo di conservare, dunque, un patrimonio così prezioso, conducendo una vita degna e perseverando nella pace e nella santità. Gli altri onori, infatti, sono destinati a sparire e passano insieme con la vita presente: anche con il denaro si possono acquistare. Hanno soltanto il nome di prestigioso e affidano la loro forza allo sfarzo degli abiti e all`adulazione dei cortigiani. Questo dono della santità e dell`adozione, appunto perché ottenuto da Dio, non ci verrà tolto con la morte, ma, dopo averci fatto risplendere in questo mondo, rimarrà insieme a noi anche nella vita futura. Chi conserva l`adozione da parte di Dio, infatti, e custodisce premurosamente la propria santità, appare di gran lunga più splendido e più felice di colui che si cinge d`un diadema o si veste di porpora; nella vita presente egli gode di una grande tranquillità, nutrendo la buona speranza, non avendo alcuna occasione per turbarsi e angosciarsi e rimanendo, insomma, sempre felice. Non la grandezza del potere, infatti, né la forza del denaro né l`ostentazione del lusso né l`energia del corpo né l`abbondanza dei cibi né lo sfarzo nel vestire né alcun`altra cosa umana valgono a donare il buonumore e l`allegria, ma soltanto la giusta dimensione spirituale e la buona coscienza. Colui che ha cura di serbare questa pura, potrà anche esser vestito di stracci e tormentato dalla fame, ma sarà sempre più lieto di coloro che vivono nel lusso più smodato; chi, invece, è cosciente dei propri torti, benché circondato da grandi ricchezze, sarà il più infelice di tutti. Per questo Paolo, a dispetto della continua fame e della nudità e delle frustate che ogni giorno era costretto a subire, era contento e felice più dei re; Acab, invece, pur regnando e godendo di ogni delizia, per il fatto di aver commesso quel peccato (cf. 1Re 16,29ss), piangeva, stava in apprensione e il suo volto appariva depresso, sia prima che dopo il peccato.
Se vogliamo, dunque, esser felici, fuggiamo anzitutto il male e pratichiamo la virtù, giacché non esiste altra via per conquistare la gioia, anche se salissimo sul trono stesso dei re. E` per questo che Paolo avvertiva: Il frutto dello Spirito è la carità, la gioia, la pace (Gal 5,22). Conservando, perciò, con cura questo frutto in noi, quaggiù potremo esser felici e, un giorno, ci renderemo meritevoli di conseguire il regno futuro.
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