martedì 22 gennaio 2008

ECCO L'AGNELLO DI DIO (Giovanni 1, 29-34.)


di Pd Raniero Cantalamessa


Nel Vangelo ascoltiamo Giovanni Battista che, presentando Gesù al mondo, esclama: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” L’agnello, nella Bibbia, come del resto in altre culture, è il simbolo dell’essere innocente, che non può fare del male ad alcuno, ma solo riceverlo. Proseguendo questo simbolismo, la prima lettera di Pietro chiama Cristo “l’agnello senza macchia”, che, “oltraggiato, non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta”. Gesù, in altre parole, è, per eccellenza, l’Innocente che soffre. È stato scritto che il dolore degli innocenti “è la roccia dell’ateismo”. Dopo Auschwitz, il problema si è posto in maniera ancora più acuta. Non si contano i libri e i drammi scritti intorno a questo tema. Sembra di essere in un processo e di ascoltare la voce del giudice che ordina all’imputato di alzarsi. L’imputato in questo caso è Dio, la fede.Che ha da rispondere la fede a tutto ciò? Anzitutto, è necessario che ci mettiamo tutti, credenti e non credenti, in un atteggiamento di umiltà, perché se non è in grado la fede di “spiegare” il dolore, ancor meno lo è la ragione. Il dolore degli innocenti è qualcosa di troppo puro e misterioso per poterlo racchiudere dentro le nostre povere “spiegazioni”. Gesù, che di spiegazioni da dare ne aveva certo più di noi, davanti al dolore della vedova di Naim e delle sorelle di Lazzaro, non seppe far di meglio che commuoversi e piangere.La risposta cristiana al problema del dolore innocente è racchiusa in un nome: Gesù Cristo! Gesù non è venuto a darci delle dotte spiegazioni sul dolore, ma è venuto a prenderlo silenziosamente su di sé. Prendendolo su di sé, però, lo ha cambiato dall’interno: da segno di maledizione, ne ha fatto uno strumento di redenzione. Di più: ne ha fatto il valore supremo, l’ordine di grandezza più alto in questo mondo. Dopo il peccato, la vera grandezza di una creatura umana si misura dal fatto di portare su di sé il minimo possibile di colpa e il massimo possibile di pena del peccato stesso. Non sta tanto nell’una nell’altra cosa presa separatamente -cioè o nell’innocenza o nella sofferenza-, quanto nella compresenza delle due cose nella stessa persona. Questo è un tipo di sofferenza che avvicina a Dio. Solo Dio, infatti, se soffre, soffre da innocente in senso assoluto.Gesù non ha dato però solo un senso al dolore innocente, gli ha conferito anche un potere nuovo, una misteriosa fecondità. Guardiamo cosa scaturì dalla sofferenza di Cristo: la risurrezione e la speranza per tutto il genere umano. Ma guardiamo a quello che succede anche intorno a noi. Quante energie ed eroismi suscita spesso, in una coppia, l’accettazione di un figlio minorato, inchiodato al letto per anni! Quanta solidarietà insospettata intorno ad essi! Quanta capacità d’amore altrimenti sconosciuta!La cosa più importante però, quando si parla di dolore innocente, non è spiegarlo; è non aumentarlo con i nostri atti e con le nostre omissioni. Non basta neppure non aumentare il dolore innocente; bisogna anche cercare di alleviare quello che c’è! Dinanzi allo spettacolo di una bimba intirizzita di freddo che piangeva per i morsi della fame, un uomo gridò, un giorno, nel suo cuore a Dio: “O Dio, dove sei? Perché non fai qualcosa per quella bambina innocente?” E Dio gli rispose: “Certo che ho fatto qualcosa per lei: ho fatto te!”.

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