di Maria, Elisa, Enrico Marotta
Le parole di San Bruno «Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo. Che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?».
Le parole di San Bruno «Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo. Che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?».
Così si esprimeva Bruno, il primo certosino. Parole folgoranti che, per tutti coloro di cui è il padre, tratteggiano e illuminano il cammino della contemplazione; ma anche parole disincantate, visto che non fanno che aprire l'orizzonte su un mistero insondabile e ineffabile. Ciò che è chiesto è di procedere sempre più lontano, sempre più in alto, sempre più in profondità. Il Cristo Gesù Cristo è «la via, la verità e la vita». Nessuno va al Padre senza passare attraverso di Lui, poiché «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Di fatto la Parola che ha spiegato i cieli si è come nascosta nella carne di un popolo, fino a farsi essa stessa carne, per abitare in mezzo a noi. «Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, questo vi annunziamo!». Il Figlio nella sua carne ci rivela il Padre e fa di noi dei figli. «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te». Più noi siamo uniti a Cristo per mezzo della forza dei sacramenti e della fedeltà nella preghiera, e più, per Lui, con Lui ed in Lui, penetriamo nell'intimità del Padre.
Ascolto nel silenzio
Per disporsi ad un tale incontro niente è più importante di rimanere nell'ascolto. Divenire silenzio nell'ascolto del silenzio, al fine di percepire nel cuore di esso la voce dell'amato. «Dio conduce il suo servo nella solitudine per parlargli al cuore, ma solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore. Abbia dunque familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie. Così, purificato dalla pazienza, consolato e nutrito dall'assidua meditazione delle Scritture, e introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, il monaco diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui». Mistero di ascolto, mistero di fede, mistero dello Spirito. Lui che condusse Gesù nel deserto e lo fece esultare di gioia, Lui per il quale l'amore di Dio è stato versato nei nostri cuori, e viene in soccorso della nostra debolezza perché non sappiamo come pregare, e ci insegna a dire: «Abbà! Padre!». Purificato, vivificato, fortificato per mezzo dell'amore di Cristo, rianimato, sospinto dal soffio dello Spirito, abbracciato nel desiderio dal Padre.... il monaco solitario entra in comunione con il Dio tre volte santo, partecipa allo scambio ineffabile di conoscenza e di amore che è la vita delle persone divine nella Trinità. Tutta la sua esistenza non diventa altro che stupore davanti alla bellezza infinita, immutabile e trascendente di Dio nell'immensità del suo amore.
Semplicità Desiderare, contemplare, accostare il Dio tre volte santo, eterno ed insondabile, richiede una perseveranza a tutta prova, che non dispensa assolutamente dall'invocare il Signore della tenerezza e della misericordia. Di fatto per vivere negli anni un'esistenza fondata sulla sola contemplazione è necessario che questa vita sia improntata ad una grande semplicità. Lontano da ogni genere di complessità, di molteplicità e di dispersione, il solitario si attiene con forza all' «unico necessario». Egli ordina con equilibrio ed armonia tutte le cose all'unione con Dio, applicandosi serenamente al compito di ogni momento. L'alternanza di vita solitaria in cella e di vita comunitaria, di preghiera personale e liturgica, di studio e di lavoro manuale, come anche la differenza tra la sobrietà quotidiana e la letizia dei giorni di festa, lungi dall'essere fonte di dispersione, fanno della vita certosina un insieme sapientemente costruito, dove ogni elemento riceve piena forza e valore solo se visto nella totalità. Con un cuore semplice e uno spirito purificato, il monaco si sforza di fissare in Dio i suoi pensieri e le sue emozioni, al fine di divenire una dimora tranquilla dello Spirito, un tempio abitato dalla Maestà divina, alla quale tutto si consacra con amore. «In cella - dicono gli Statuti - la nostra attività scaturisca sempre come da una sorgente interiore, sull'esempio di Cristo, che opera sempre con il Padre, di modo che il Padre, dimorando in lui, compia egli stesso le opere. Così seguiremo Gesù nella sua umile e nascosta vita di Nazaret, sia pregando il Padre nel segreto, sia lavorando al suo cospetto in spirito di obbedienza».
Semplicità Desiderare, contemplare, accostare il Dio tre volte santo, eterno ed insondabile, richiede una perseveranza a tutta prova, che non dispensa assolutamente dall'invocare il Signore della tenerezza e della misericordia. Di fatto per vivere negli anni un'esistenza fondata sulla sola contemplazione è necessario che questa vita sia improntata ad una grande semplicità. Lontano da ogni genere di complessità, di molteplicità e di dispersione, il solitario si attiene con forza all' «unico necessario». Egli ordina con equilibrio ed armonia tutte le cose all'unione con Dio, applicandosi serenamente al compito di ogni momento. L'alternanza di vita solitaria in cella e di vita comunitaria, di preghiera personale e liturgica, di studio e di lavoro manuale, come anche la differenza tra la sobrietà quotidiana e la letizia dei giorni di festa, lungi dall'essere fonte di dispersione, fanno della vita certosina un insieme sapientemente costruito, dove ogni elemento riceve piena forza e valore solo se visto nella totalità. Con un cuore semplice e uno spirito purificato, il monaco si sforza di fissare in Dio i suoi pensieri e le sue emozioni, al fine di divenire una dimora tranquilla dello Spirito, un tempio abitato dalla Maestà divina, alla quale tutto si consacra con amore. «In cella - dicono gli Statuti - la nostra attività scaturisca sempre come da una sorgente interiore, sull'esempio di Cristo, che opera sempre con il Padre, di modo che il Padre, dimorando in lui, compia egli stesso le opere. Così seguiremo Gesù nella sua umile e nascosta vita di Nazaret, sia pregando il Padre nel segreto, sia lavorando al suo cospetto in spirito di obbedienza».
Pace e gioia
Consacrare tutta la propria vita a Dio nella contemplazione è sorgente di pace e di gioia sempre nuove. Tale è stata l'esperienza di San Bruno, che, secondo la testimonianza dei suoi figli, aveva sempre il viso in festa. Nella sua lettera alla comunità della Certosa egli apre la sua anima traboccante di gioia e invita i suoi fratelli ad unirsi al suo canto di esultanza: «Veramente esulto e mi sento portato a lodare il Signore..... Gioite dunque, fratelli miei carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l'abbondanza della grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato».
Separazione dal mondo
I primi monaci certosini «seguivano il lume dell'oriente, ossia di quegli antichi monaci che, ardenti d'amore per il ricordo del Sangue del Signore versato di recente, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di spirito. Bisogna quindi che i certosini, calcando le loro orme, dimorino come loro in un eremo sufficientemente remoto dalle abitazioni degli uomini; ma soprattutto bisogna che si rendano essi stessi estranei anche alle preoccupazioni mondane». Secondo la tradizione dei Padri del deserto la ricerca dell'unione con Dio, nel modo più diretto possibile, richiede normalmente la separazione dal mondo. La pace esteriore della solitudine protegge la pace interiore del cuore. Così il monastero è costruito lontano da abitazioni, e ciascun monaco vive solo in cella all'interno della cinta muraria, astenendosi da ogni ministero, escluso quello della preghiera. Questo costituisce per il certosino un'esigenza che gli Statuti esprimono con forza: «Essendo il nostro Ordine totalmente dedito alla contemplazione, è necessario che conserviamo in modo assolutamente fedele la nostra separazione dal mondo. Ci asteniamo perciò da qualsiasi ministero pastorale, pur nell'urgente necessità di apostolato attivo, per adempiere nel Corpo mistico di Cristo la nostra funzione specifica».
Guigo, il monaco a cui lo Spirito ha affidato la missione di redigere la prima regola dei certosini, da parte sua ha celebrato al seguito di tutti i Padri le ricchezze spirituali offerte al solitario: «Sapete infatti che nell'Antico e soprattutto nel Nuovo Testamento quasi tutti i più grandi e profondi segreti furono rivelati ai servi di Dio non nel tumulto delle folle, ma quando erano soli. Gli stessi servi di Dio, tutte le volte che li accendeva il desiderio di meditare più profondamente qualche verità o di pregare con maggiore libertà o di liberarsi dalle cose terrene con l'estasi dello spirito, quasi sempre evitavano gli ostacoli della moltitudine e ricercavano i vantaggi della solitudine (…) considerate voi stessi quanto profitto spirituale nella solitudine trassero i santi e venerabili padri Paolo, Antonio, Ilarione, Benedetto e innumerevoli altri, e avrete la prova che nulla, più della solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l'applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della contemplazione e il dono delle lacrime».Esodo nel deserto «Lasciare il mondo per dedicarsi nella solitudine ad una preghiera più intensa, non è altro che un particolare modo di esprimere il mistero pasquale di Cristo, che è una morte per una resurrezione». La Sacra Scrittura presenta l'Esodo attraverso il deserto come l'evento principale della storia d'Israele. Sotto la guida di Mosè gli ebrei uscirono dall'Egitto; e dopo aver attraversato il Mar Rosso, vissero quaranta anni nel deserto. Non mancarono le prove, ma giunti nel cuore del deserto, al Sinai, Dio si manifestò in modo straordinario e concluse con loro un'alleanza. I Padri della Chiesa e tutti i monaci hanno visto nell'Esodo una prefigurazione dell'itinerario mistico dell'uomo alla ricerca di Dio. Guigo nel suo elogio della vita solitaria ha ricordato al certosino l'esempio dei grandi contemplativi della Bibbia, che nella solitudine hanno vissuto il mistero dell'incontro con Dio: Giacobbe, che lottò solo con l'Angelo e ricevette la grazia di un nome migliore; Elia, che visse per lungo tempo nel burrone di un torrente e marciò quaranta giorni e quaranta notti fino all'Oreb dove Dio si manifestò a lui in una brezza leggera; Eliseo, che amava ritirarsi in preghiera nella camera al piano superiore preparata dalla sunamita; e soprattutto Giovanni Battista, che è considerato come il patrono degli eremiti. Lo stesso Gesù ha cercato la solitudine: subito dopo il suo battesimo nel Giordano fu condotto nel deserto dallo Spirito Santo; ed in molti episodi dei vangeli lascia la folla e si ritira solo sulla montagna per pregare; un giorno invita i suoi apostoli ad andare in disparte in un luogo solitario; infine solo sulla croce, abbandonato da tutti, si offre al Padre per la salvezza del mondo. Il monaco, seguendo Cristo nel deserto, partecipa al mistero che riconduce nel seno del Padre il Figlio crocifisso e resuscitato dai morti. Nella solitudine egli compie un vero Esodo spirituale, in cui dalla morte sgorga una nuova vita.
Solitudine della cella
La clausura nel cui interno si pone il monastero è per il certosino il segno visibile della sua separazione dal mondo. Al di fuori dello spazio settimanale il monaco non è autorizzato a uscire dalla casa, salvo in rari casi e per una reale necessità. Lo stesso priore della Gran Certosa, pur essendo superiore generale dell'Ordine, non oltrepassa mai i limiti del suo deserto. Tuttavia è soprattutto nel segreto della loro cella che i padri vivono la loro vocazione di solitari; mentre i fratelli la vivono in parte nella cella e in parte nelle obbedienze dove essi lavorano. Ciascuno ha così la sua propria solitudine nel seno di un monastero, che è esso stesso solitario. Gli Statuti ricordano a tutti che la cella è un luogo privilegiato di unione con Dio: «Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come un amico col suo amico. In essa frequentemente l'anima fedele viene unita al Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano alle terrene, le divine alle umane». Anche le obbedienze di lavoro sono separate le une dalle altre come le celle, e sono organizzate affinché si salvaguardi il più possibile la solitudine. In tal modo la solitudine è adeguata alla situazione di ognuno. I Padri del deserto hanno celebrato a gara i benefici della fedeltà alla cella, dove il solitario, secondo un'immagine usata da loro e ripresa dagli Statuti Certosini, si trova come un pesce nell'acqua. Guglielmo di Saint-Thierry scrisse ai certosini di Mont-Dieu: «la cella non deve esser mai una reclusione forzata ma una dimora di pace; la porta chiusa non nascondiglio ma ritiro. Colui con il quale Dio è, infatti, non è mai meno solo di quando è solo. Allora infatti gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo per godere di sé e di sé in Dio».
Il silenzio
Silenzio e solitudine vanno di pari passo, poiché il primo protegge la solitudine interiore e favorisce il raccoglimento: «Solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore». I certosini sono dei fratelli che vivono fianco a fianco nel silenzio, rispettando reciprocamente il loro colloquio interiore con Dio. Grande è la virtù del silenzio. «Benché nei primi tempi tacere possa essere una fatica, gradualmente, se saremo stati fedeli, dallo stesso nostro silenzio nascerà in noi l’attrattiva verso un silenzio ancora maggiore». L'incontro dell'anima con Dio avviene al di là di ogni discorso, in un semplice scambio di sguardi: linguaggio dell'amore che non è altro che il linguaggio dell'eternità. «Noi riconosceremo la qualità della parola divina, quando consacreremo il tempo in cui non abbiamo da parlare ad un silenzio privo di preoccupazioni e accompagnato da un'ardente ricordo di Dio». Vi è infatti un silenzio interiore che è ben più difficile della semplice assenza di parole. Esso consiste nel distaccarsi da pensieri erranti che penetrano nel cuore attraverso l'immaginazione. I Padri del deserto a questo riguardo mettevano i loro discepoli in guardia, e cercavano al di sopra di tutto la purezza di cuore, ossia l'amore di Dio preferito ad ogni altra cosa. Come scrisse uno di essi, Cassiano: «In vista dunque della purezza di cuore tutto deve essere compiuto e inteso da noi. Per essa deve essere cercata la solitudine.... Pertanto le virtù che vi si accompagnano, e cioè i digiuni, le veglie, la solitudine, la meditazione delle Scritture, ci conviene esercitarle in vista dello scopo principale, vale a dire della purezza di cuore, che è la carità»
Fratelli in Cristo
Lo scopo di tutta la vita monastica è la perfezione dell'amore di Dio. Ma il Cristo ci ha insegnato che non si possono separare l'amore di Dio e l'amore del prossimo; l'uno e l'altro si approfondiscono insieme. Tutta la vita cristiana, e dunque anche la vita certosina, comportano una dimensione fraterna. Durante l'ultima cena Gesù ha detto: «vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». L'apostolo San Giovanni, indirizzandosi alle prime comunità cristiane, fa eco alle parole del suo Maestro: «Ecco il comandamento che abbiamo ricevuto da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello... Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore viene da Dio. Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore..... Se ci amiamo gli uni gli altri Dio dimora in noi e il suo amore è perfetto in noi.... Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». Come già detto, i certosini formano una famiglia; essi sono dei solitari che vivono come dei fratelli riuniti attorno a Cristo presente in mezzo ad essi. Solitudine e vita fraterna si equilibrano mutuamente: una solitudine che non è isolamento o ripiegamento su sé stessi, ma desiderio di Dio e comunione dei santi; una vita comunitaria che non è né libero sfogo né ricerca di compensazioni affettive, ma ricerca delle esigenze dell'amore, se c'è bisogno fino alla croce. Nella vita concreta del certosino non mancano le occasioni di mettere in pratica la carità fraterna, dal semplice sorriso, quando capita di incontrare un fratello con cui non si è potuto rompere il silenzio, fino ad altri momenti in cui la carità può rivelarsi più difficile, poiché l'amore vero esige sovente la rinuncia a se stesso: «Se non siamo d'accordo con un altro, sappiamolo ascoltare, e cerchiamo di capire il suo modo di vedere.... di certo conviene in modo tutto speciale a noi, che dimoriamo nella casa del Signore, testimoniare la carità che procede da Dio, accogliendo amorevolmente i fratelli coi quali conviviamo e sforzandoci di comprenderne con il cuore e la mente i temperamenti e i caratteri, sebbene diversi dai nostri». All'interno di una vera solitudine il certosino conosce la gioia di essere unito a dei fratelli con legami di reciproco affetto; così da poter cantare con il salmista: «Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!».Il monaco «non può entrare nella quiete contemplativa, se non dopo essersi cimentato nello sforzo di una dura lotta, sia mediante le austerità nelle quali persiste per la familiarità con la Croce, sia mediante quelle visite con le quali il Signore lo avrà provato come oro nel fuoco… lungo è il cammino attraverso brulla e riarsa strada prima di arrivare alle fonti d'acqua e alla terra promessa». Perché il monaco possa pervenire all'unione intima con Dio, il suo cuore e il suo spirito devono essere purificati nel crogiolo dell'ascesi. La solitudine, la beata solitudine, certi giorni può essere molto dolorosa: in assenza di ogni scappatoia, per valida che sia (di distrazione, avrebbe detto Pascal), il monaco è lasciato di fronte a se stesso in una povertà e nudità spesso radicali. Poiché in definitiva non sono tanto il quadro e il genere di vita che mettono alla prova, quanto piuttosto ciò che essi rivelano ad ognuno: i propri deserti e le proprie miserie. Vivere nella solitudine alla ricerca di Dio solo non concede molte soddisfazioni alla natura umana; chiede piuttosto una grande spoliazione a livello dello spirito e del cuore. Il monaco rinuncia a tutto ciò che renderebbe vana la clausura esterna del monastero: evita le visite di parenti ed amici (dalla regola sono previsti due giorni all'anno per i parenti più prossimi); salvo necessità si astiene dal comunicare per lettera o per telefono con le persone esterne; non legge libri profani, e ancor meno le riviste e i giornali che possono turbare il suo silenzio interiore. Gli Statuti dell'Ordine Certosino vietano esplicitamente la presenza di radio e televisione nei monasteri. Il certosino dunque, in parte controcorrente in una società dove regna la triade avere- sapere- potere, riprende il cammino delle virtù evangeliche, altro modo di chiamare l'ascesi. Umiltà, povertà, castità, obbedienza, pazienza, temperanza, e al di sopra di tutto la carità: ecco ciò che nello scorrere dei giorni egli apprende alla scuola dello Spirito Santo. Tra tutte queste virtù conviene sottolineare il posto privilegiato dell'obbedienza. Secondo la parola di una grande figura del deserto, «noi preferiamo molto di più l'obbedienza all'ascesi, perché l'ascesi è maestra d'orgoglio, mentre l'obbedienza è messaggera di umiltà». In effetti l'obbedienza, prima ancora delle diverse pratiche di penitenza, è per il monaco la traduzione nel vissuto quotidiano della rinuncia alla propria volontà. Certo tutti i religiosi fanno voto di obbedienza, ma il monaco solitario deve essere particolarmente fedele a tale impegno, poiché più grande è per lui il rischio di divenire maestro di se stesso. Attraverso la mediazione del priore, testimone e garante dell'opera dello Spirito in coloro che sono a lui affidati, e di una saggia guida spirituale, egli si aprirà e si offrirà docilmente all'azione dello Spirito Santo. L'ascesi sarà di ben poca utilità se non scava e libera uno spazio aperto ad un incontro, se non conduce all'uomo nuovo, ricreato secondo Dio. Il certosino sa che non può “possedere” Dio, in una preghiera continua, se prima non si lascia spossessare da Lui, divenendo sempre più spogliato di tutto, distaccato da tutto. Povero per Dio, egli allora sarà ricco di Dio. Liberato da Dio, Egli diventa libero per Lui ed in Lui. «Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera continua e nella gioiosa penitenza, pur nella urgente necessità di apostolato attivo, conservano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo, in cui "tutte le membra non hanno la stessa funzione"». I contemplativi sono nel cuore della Chiesa; essi compiono una funzione essenziale nella comunità ecclesiale: la glorificazione di Dio. Il certosino si ritira nel deserto innanzitutto per adorare Dio, per lodarlo, per ammirarlo, per lasciarsi sedurre da Lui, per donarsi a Lui, e questo a nome di tutti gli uomini. La sua vocazione è di cantare la lode nella Chiesa di oggi, in attesa di farlo con la totalità degli eletti alla presenza di Dio nell'eternità. Ogni giorno, in tutti gli uffici liturgici e nella celebrazione dell'Eucaristia essi pregano per tutti i vivi e i morti. Per mezzo di Cristo, «che è alla destra di Dio, vivente per sempre per intercedere a favore degli uomini», essi portano davanti a Dio le attese e i problemi del mondo, insieme alle gravi intenzioni e preoccupazioni della Chiesa intera.
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