martedì 5 giugno 2007

Silenzio, sussurro di Dio (di Piero Pisarra)




Rumori del traffico. Decibel da discoteca. Musiche da aeroporto. iPod e telefonini. Un rumore di fondo accompagna l’uomo occidentale nelle sue giornate. È come se la modernità fosse nemica del silenzio. O come se di esso si cogliesse soltanto la polarità negativa. Perché c’è un silenzio di morte e uno di vita, il silenzio dei cimiteri e quello del neonato soddisfatto dopo la poppata. Un silenzio di disprezzo, di sfida. E uno di compassione, di pietas. Un silenzio di complicità con il male. E un altro che è in realtà urlo assordante di fronte alle ingiustizie. Il silenzio spaventa. E affascina. Spaventa, perché obbliga a guardarsi dentro, nelle profondità dell’anima, col rischio di scoprire il vuoto abissale di una vita riempita soltanto dagli oggetti. Affascina, perché è il "luogo" del possibile, in cui riposarsi, prendere fiato, dedicarsi a un vero faccia a faccia con Dio. Il silenzio è sempre di più una "merce" rara, un frutto esotico da coltivare come un bene prezioso. Roba da eccentrici. E da monaci.
Se la spiritualità cristiana insiste sul valore del silenzio, è perché in esso scorge il luogo in cui ritrovare l’unità del cuore, mettendosi alla presenza di Dio. L’Altissimo non è, infatti, nel frastuono, non è nei proclami roboanti, non è nei fuochi d’artificio, nelle apparizioni in technicolor, negli effetti speciali di una religiosità ridotta a psicodramma o allucinazione collettiva. Non è nel furore o nel clangore delle armi, nella retorica dello scontro di civiltà. È nel sussurro di una brezza leggera, nella «voce di un silenzio sottile», come sperimenta Elia sul Monte Horeb (1Re 19,12).
Dai padri del deserto ai certosini, da Teresa d’Avila ai mistici renani e fiamminghi, dalle Piccole sorelle di Gesù alle nuove comunità monastiche, il silenzio è la via del cuore, condizione indispensabile per aprirsi all’ascolto. Perché non vi è attenzione senza silenzio, la capacità di far tacere i rumori del mondo, i pensieri che accaparrano ogni energia, per concentrarsi sull’essenziale. Per i cristiani il silenzio è anche lotta, frutto di ascesi, una battaglia invisibile che ha come teatro il cuore di ognuno. «Siamo come guerrieri sotto la tenda», diceva san Bernardo di Chiaravalle, parlando dei monaci. Strani guerrieri. Che combattono una ancora più strana battaglia, in cui vincitore e vinto sono la stessa persona.
Questo silenzio implica sempre due movimenti, come in una sinfonia breve o incompiuta: il primo, "negativo", è il ritrarsi, il distaccarsi dai rumori e dalle agitazioni, dal vaniloquio che mortifica la parola, alla ricerca di un rifugio sicuro in cui ritrovarsi e ritrovare gli altri, senza il velo delle illusioni, delle distinzioni di classe, del potere o del rango, ma nella loro "nudità" di esseri umani. È il deserto degli antichi monaci, popolato da bestie feroci, terra di insidie e di miraggi, ma anche luogo in cui gli occhi, come scrive Giovanni Crisostomo, «possono fissarsi su Dio solo e le orecchie protendersi unicamente nell’ascolto attento delle parole divine». Nel deserto, l’udito interiore – aggiunge il santo patriarca di Costantinopoli – si diletta talmente «della sinfonia armoniosa dello spirito che l’anima, affascinata da quella melodia, la preferisce a ogni altra cosa, dimenticando il cibo, la bevanda e il sonno».

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