mercoledì 26 marzo 2008

La risurrezione: evento storico e affermazione di fede

di Giovanni Paolo II (25 gennaio 1989)

1. In questa catechesi ci mettiamo di fronte alla verità culminante della nostra fede in Cristo, documentata dal nuovo testamento, creduta e vissuta come centrale dalle prime comunità cristiane, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, non mai negletta dai veri cristiani, e oggi ben approfondita, studiata e predicata come parte essenziale del mistero pasquale, insieme con la croce: ossia la risurrezione di Cristo. Di lui infatti il Simbolo degli apostoli dice che “il terzo giorno risuscitò da morte”; e il Simbolo niceno-costantinopolitano precisa: “Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”. E un dogma della fede cristiana, che si innesta in un fatto storicamente avvenuto e costatato. Noi cercheremo di investigare “con le ginocchia della mente inchine” il mistero enunciato dal dogma e racchiuso nel fatto, cominciando con l'esame dei testi biblici che lo attestano.

2. La prima e più antica testimonianza scritta sulla risurrezione di Cristo si trova nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi. In essa l'apostolo ricorda ai destinatari della lettera (verso la Pasqua del 57 d.C.): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto. quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1Cor 15,3-8). Come si vede, l'Apostolo parla qui della viva tradizione della risurrezione, della quale egli aveva preso conoscenza dopo la sua conversione alle porte di Damasco (cf. At 9,3-18). Durante il suo viaggio a Gerusalemme aveva incontrato l'apostolo Pietro, e anche Giacomo, come viene precisato dalla lettera ai Galati (1,18s), che ora cita come i due principali testimoni del Cristo risorto.

3. E anche da notare che, nel testo citato, san Paolo non solo parla della risurrezione avvenuta il terzo giorno “secondo le Scritture” (riferimento biblico che già tocca la dimensione teologica del fatto), ma nello stesso tempo fa ricorso ai testimoni, a coloro ai quali Cristo è apparso personalmente. E un segno, tra altri, che la fede della prima comunità dei credenti, espressa da Paolo nella lettera ai Corinzi, è basata sulla testimonianza di uomini concreti, noti ai cristiani e in gran parte ancora viventi in mezzo a loro. Questi “testimoni della risurrezione di Cristo” (cf. At 1,22), sono prima di tutto i dodici apostoli, ma non solamente loro: Paolo parla addirittura di oltre cinquecento persone, alle quali Gesù apparve in una sola volta, oltre che a Pietro, a Giacomo e a tutti gli apostoli.

4. Di fronte a questo testo paolino perdono ogni ammissibilità le ipotesi, con cui in diversi modi si è tentato di interpretare la risurrezione di Cristo astraendo dall'ordine fisico, in modo da non riconoscerla come un fatto storico: per esempio l'ipotesi, secondo la quale la risurrezione non sarebbe altro che una specie d'interpretazione dello stato in cui Cristo si trova dopo la morte (stato di vita, e non di morte), oppure l'altra ipotesi che riduce la risurrezione all'influsso che Cristo, dopo la sua morte, non cessò di esercitare - e anzi riprese con nuovo, irresistibile vigore - sui suoi discepoli. Queste ipotesi sembrano implicare una pregiudiziale ripugnanza alla realtà della risurrezione, considerata solamente come il “prodotto” dell'ambiente, ossia della comunità di Gerusalemme. Né l'interpretazione né il pregiudizio trovano riscontro nei fatti. San Paolo, invece, nel testo citato, ricorre ai testimoni oculari del “fatto”: la sua convinzione sulla risurrezione di Cristo ha dunque una base sperimentale. E legata a quell'argomento “ex factis”, che vediamo scelto e seguito dagli apostoli proprio in quella prima comunità di Gerusalemme. Quando infatti si tratta dell'elezione di Mattia, uno dei discepoli più assidui di Gesù, per integrare il numero dei “Dodici” rimasto incompleto per il tradimento e la fine di Giuda Iscariota, gli apostoli richiedono come condizione che colui che verrà eletto non solo sia stato loro “compagno” nel periodo in cui Gesù insegnava ed operava, ma che soprattutto egli possa essere “testimone della sua risurrezione” grazie all'esperienza fatta nei giorni antecedenti il momento in cui Cristo - come essi dicono - “è stato di tra noi assunto in cielo” (At 1,22).

5. Non si può dunque presentare, come fa una certa critica neotestamentaria poco rispettosa dei dati storici, la risurrezione come un “prodotto” della prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme. La verità sulla risurrezione non è un prodotto della fede degli apostoli o degli altri discepoli pre o postpasquali. Dai testi risulta piuttosto che la fede “prepasquale” dei seguaci di Cristo è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro maestro. Egli stesso aveva annunziato questa prova, specialmente con le parole rivolte a Simon Pietro quando si era ormai alla soglia dei tragici eventi di Gerusalemme: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (Lc 22,31-32). La scossa provocata dalla passione e morte di Cristo fu così grande che i discepoli (almeno alcuni tra di loro) inizialmente non credettero alla notizia della risurrezione. In ogni Vangelo ne troviamo le prove. In particolare Luca ci fa sapere che quando le donne, “tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo (ossia il sepolcro vuoto) agli Undici e a tutti gli altri... quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse” (Lc 24,9.11).

6. Del resto l'ipotesi che nella risurrezione vuol vedere un “prodotto” della fede degli apostoli, è confutata anche da quanto è riferito quando il Risorto “in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”. Essi infatti “credevano di vedere un fantasma”. In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che “era lui”: “Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. E poiché essi “ancora non credevano ed erano stupefatti”, Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e “lo mangiò davanti a loro” (cf. Lc 24,36-43).

7. E inoltre ben noto l'episodio di Tommaso, il quale non si trovava con gli altri apostoli quando Gesù venne da loro per la prima volta, entrando nel cenacolo nonostante che la porta fosse chiusa (cf. Gv 20,19). Quando, al suo rientro, gli altri discepoli gli dissero: “Abbiamo visto il Signore”, Tommaso manifestò meraviglia e incredulità, e ribatté: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato - non crederò”. Dopo otto giorni Gesù venne nuovamente nel cenacolo, per soddisfare la richiesta di Tommaso “incredulo” e gli disse: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. E quando Tommaso professò la sua fede con le parole “Mio Signore e mio Dio!” Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,24-29). L'esortazione a credere, senza pretendere di vedere ciò che è nascosto nel mistero di Dio e di Cristo, resta sempre valida; ma la difficoltà dell'apostolo Tommaso ad ammettere la risurrezione senza avere sperimentato personalmente la presenza di Gesù vivente, e poi il suo cedere dinanzi alle prove fornitegli da Gesù stesso, confermano ciò che risulta dai Vangeli circa la resistenza degli apostoli e dei discepoli ad ammettere la risurrezione. Non ha perciò consistenza l'ipotesi che la risurrezione sia stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli apostoli. La loro fede nella risurrezione era nata invece - sotto l'azione della grazia divina - dalla diretta esperienza della realtà del Cristo risorto.

8. E Gesù stesso che dopo la risurrezione si mette in contatto con i discepoli allo scopo di dar loro il senso della realtà e di dissipare l'opinione (o la paura) che si tratti di un “fantasma”, e quindi di essere vittime di un'illusione. Infatti egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso, che abbiamo appena ricordato, ma anche nell'incontro descritto nel Vangelo di Luca, quando Gesù dice ai discepoli sbigottiti: “Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho” (24,39). Li invita a constatare che il corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso. Quel corpo possiede però al tempo stesso nuove proprietà: è “reso spirituale” e “glorificato”, e quindi non è più sottoposto alle limitazioni consuete agli esseri materiali e perciò ad un corpo umano (infatti Gesù entra nel cenacolo malgrado le porte chiuse, appare e sparisce, ecc.). Ma nello stesso tempo quel corpo è autentico e reale. Nella sua identità materiale sta la dimostrazione della risurrezione di Cristo.

9. L'incontro sulla via di Emmaus, riferito nel Vangelo di Luca, è un evento che rende visibile in modo particolarmente evidente come sia maturata nella consapevolezza dei discepoli la persuasione della risurrezione appunto mediante il contatto col Cristo risorto (cf. Lc 24,15-21). Quei due seguaci di Gesù, che all'inizio del cammino erano “tristi ed abbattuti”, al ricordo di quanto era successo al maestro il giorno della crocifissione e non nascondevano la delusione provata al veder crollare la speranza riposta in lui come messia liberatore (“Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”), sperimentano in seguito una totale trasformazione, quando per loro diventa chiaro che lo sconosciuto, col quale hanno parlato, è proprio lo stesso Cristo di prima, e si rendono conto che egli è dunque risorto. Da tutta la narrazione risulta che la certezza della risurrezione di Gesù aveva fatto di loro quasi degli uomini nuovi. Non solo avevano riacquistato la fede in Cristo, ma erano anche pronti a rendere testimonianza alla verità sulla sua risurrezione. Tutti questi elementi del testo evangelico, tra loro convergenti, provano il fatto della risurrezione, che costituisce il fondamento della fede degli apostoli e della testimonianza, che, è al centro della loro predicazione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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